Turchia, termina il processo per l’assassinio di Hrant Dink, stato innocente

16 Gennaio 2012

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A cinque anni di distanza dall’assassinio di Hrant Dink, Amnesty International ha accusato le autorità della Turchia di non aver preso seriamente in considerazione le denunce sul presunto coinvolgimento di funzionari dello stato nell’agguato che, il 19 gennaio 2007, a Trebisonda, costò la vita al giornalista e attivista per i diritti umani di origine armena.

Il processo nei confronti di 18 imputati si chiude oggi, senza che le autorità abbiano approfondito sul piano giudiziario le circostanze dell’omicidio.

Hrant Dink, che all’epoca dirigeva il quotidiano Agos, è stato ucciso per le sue idee, denuncia Amnesty International. Le forze di sicurezza erano a conoscenza dei piani per eliminarlo ed erano in contatto con coloro che sono stati accusati dell’omicidio, ma non fecero nulla per impedirlo.

Nonostante le richieste dei familiari di Dink e una pronuncia della Corte europea dei diritti umani, che nel 2010 ha condannato lo stato turco a un risarcimento per non aver protetto la vita del giornalista, le collusioni e le negligenze delle autorità statali non sono state indagate.

Colpevole dell’omicidio è stato giudicato Ogun Samast, condannato inizialmente all’ergastolo, con pena ridotta a 23 anni in quanto minorenne (aveva 17 anni nel 2007) al momento del reato.

Nel giugno 2011 il colonnello Ali Oz e sei agenti della gendarmeria di Trebisonda sono stati condannati per negligenza, per non aver riferito informazioni sul complotto, che avrebbero potuto impedire l’omicidio. Tuttavia, sottolinea Amnesty International, l’operato della Direzione per la sicurezza di Trebisonda, dell’Ufficio del governatore di Istanbul e della Direzione per la sicurezza di Istanbul, non è stato indagato in modo effettivo.

Dink era un fervente critico della politica turca sull’identità armena e della versione ufficiale sul massacro degli armeni del 1915. Era stato ripetutamente preso di mira per aver espresso la sua opinione su questi temi. Nel 2005, era stato condannato a sei mesi con sospensione della pena per aver ‘denigrato l’identità turca’ nei suoi scritti sui cittadini turchi di origine armena.