Flickr/Rusty Stewart, CC BY-SA
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Bambini separati dai genitori senza motivo, senza possibilità di decidere sulla propria vita. È una storia che non ha geografia, comune a molti paesi del mondo.
È difficile trovare un equilibrio tra il superiore interesse del minore, principio di diritto internazionale inevitabilmente imperfetto, e il diritto dei minori di essere ascoltati.
A volte, però, i governi hanno agito in base a pregiudizi e stereotipi, dimenticando quello che dovrebbe essere l’obiettivo più importante: il benessere del bambino o della bambina.
Nel corso del tempo, alcuni stati hanno messo in atto pratiche legislative per separare bambini e bambine dal proprio nucleo familiare, perché consideravano la cultura di appartenenza pregiudizievole per il loro sviluppo, solo perché diversa.
In alcuni casi questo fenomeno ha raggiunto dimensioni notevoli, ma anche se molto ridimensionato, potrebbe non essere scomparso del tutto.
È la storia di Paul e di tanti, troppi bambini aborigeni.
A soli cinque mesi, Paul, un bambino nato nel Victoria, fu separato dalla madre senza motivo.
A seguito di un ricovero in ospedale, le autorità ritennero la madre incapace di prendersi cura di Paul, separandoli con la promessa che si sarebbero ricongiunti non appena la madre fosse guarita. Non è andata così.
Infatti, dopo poco tempo, Paul venne dato in affido, perché “era stato impossibile trovare la madre”. I tentativi per cercarla erano però stati pochi, quasi assenti.
La madre continuò a cercarlo ogni giorno, ma le sue grida non trovarono nessuna risposta da parte delle autorità, ormai convinte di aver fatto il bene del bambino.
“Nel 1967 fui affidato a una famiglia in adozione,” dice Paul, “questa collocazione fu un lugubre fallimento, durata solo sette mesi. Mi rifiutarono, chiedendo il mio allontanamento perché ero insensibile, noioso e di fronte agli ospiti non mi comportavo come avrei dovuto”.
Paul venne poi trasferito in un orfanotrofio, dove venne rinchiuso per altri due anni.
“Ricordo di essermi chiuso in me stesso e di essere molto spaventato. Non parlai con nessuno per giorni e giorni. Ricordo chiaramente di essere stato messo in fila ogni 15 giorni, dove potenziali genitori adottivi potevano vedere tutti i bambini. Fui sempre lasciato indietro. Ricordo che le persone venivano all’orfanotrofio, e mi portavano a casa loro nei fine settimana, ma mi riportavano sempre indietro. Non ero proprio il bambino che stavano cercando.”
La sua carnagione scura era un problema, ricorda Paul. L’orfanotrofio cercava sempre di rassicurare i potenziali genitori adottivi, affermando che il bambino poteva essere considerato di origine sud europea.
Nel 1970, Paul venne affidato a una nuova famiglia. Consapevole del suo colore di pelle, si sentiva estremamente diverso dagli altri bambini. Nessuno parlava mai delle sue origini, né di sua mamma.
“Quando chiedevo alla mia famiglia affidataria – ‘perché sono di un colore diverso?’- ridevano di me, e mi dicevano di bere molto latte – ‘poi somiglierà’ di più a noi’. Gli altri figli della famiglia mi chiamavano con nomi come “il loro piccolo Abo” e mi prendevano in giro. All’epoca, non sapevo cosa significasse, ma faceva davvero male, e scappavo in camera da letto piangendo. Minacciavano di farmi del male se avessi detto a qualcuno che dicevano queste cose.”
“Mia mamma non ha mai smesso di cercarmi”, ha detto Paul. Infatti, per anni scrisse lettere allo stato, chiedendo e supplicando di restituirle il figlio. Biglietti di compleanno, di auguri di Natale, lettere. Tutto buttato. La madre venne trattata con disprezzo e tutte le sue richieste furono respinte.
Nel 1982, quando Paul aveva ormai 18 anni, la verità venne a galla. Un ufficiale del Senior Welfare raccontò a Paul quello che era successo in quegli anni.
Paul era stato separato dalla propria famiglia perché pensavano che la madre non fosse capace di prendersi cura del figlio.
“Mi mise davanti 368 pagine del mio fascicolo, insieme a lettere, foto e biglietti di auguri. L’assistente sociale scarabocchiò su un pezzo di carta l’attuale indirizzo di mia madre nel caso volessi incontrarla. Piansi lacrime di sollievo, colpa e rabbia.”
Paul e sua madre si ricongiunsero poco dopo. Si conobbero solo per 6 anni, fino alla morte della madre a 45 anni.
Molti bambini e bambine sono stati separati dai genitori nel Victoria, stato dell’Australia, tra il 1869 e il 1969 a seguito dell’istituzione del Victorian Board for the Protection of Aborigines.
I bambini venivano sottratti per essere affidati o adottati da famiglie bianche. Spesso venivano abbandonati negli orfanotrofi.
Ai bambini veniva cambiato il nome e veniva impedito loro di parlare le lingue tradizionali. Molti soffrirono di traumi psicologici ed emotivi a causa delle loro esperienze, separati non solo dai genitori, ma anche dai loro fratelli e sorelle.
Non è possibile valutare con precisione quanti bambini siano stati sottratti o perché mancano le registrazioni o perché sono andate perdute. Si ritiene che, nel periodo che va approssimativamente dal 1910 al 1970, dal 10% al 33% dei bambini nativi sia stato allontanato con la forza dalle famiglie e dalle comunità.
Le scuse e i risarcimenti
Dal 1995 al 1997 la Commissione per i diritti umani e le pari opportunità del governo australiano condusse un’inchiesta nazionale sulle generazioni rubate. Nell’aprile 1997, fu pubblicato un rapporto contenente leggi, politiche e pratiche che avevano permesso la separazione dei bambini e bambine dalle proprie famiglie.
A distanza di anni, nel 2002 il primo rappresentante delle generazioni rubate ha ricevuto un risarcimento per le aggressioni sessuali e le lesioni subite dopo che le autorità lo avevano allontanato dalla sua famiglia. Da allora, diversi stati hanno istituito regimi di compensazione per i bambini separati dai genitori.
Nel 2008 le autorità chiesero scusa formalmente ai membri delle generazioni rubate.
Scarica la scheda di approfondimento a cura del nostro Coordinamento Minori: