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Una cultura dell’impunità profondamente radicata, la mancanza di esperienza e, in alcuni casi, la volontà di ostacolare le indagini stanno negando giustizia a centinaia di vittime che subirono la violenza della polizia durante le proteste di EuroMaidan. È quanto ha dichiarato oggi Amnesty International, in occasione del primo anniversario della fine delle proteste di Kiev, pubblicando un documento intitolato ‘Ucraina, un anno dopo Maidan: giustizia ritardata, giustizia negata‘.
‘La deplorevole mancanza di progressi nel portare giustizia alle persone uccise, ferite o torturate mette in evidenza ancora una volta il forte deficit del sistema di giustizia penale in Ucraina‘ – ha affermato John Dalhuisen, direttore del Programma Europa e Asia Centrale di Amnesty International. ‘L’assenza di giustizia per le violenze di massa praticate durante le proteste di EuroMaidan rischia di rafforzare la duratura cultura dell’impunità di cui beneficiano le forze di polizia. Occorre giustizia, non solo per le persone uccise ma anche quelle, assai di più, che furono sottoposte a maltrattamenti‘ – ha proseguito Dalhuisen.
Le proteste pacifiche iniziate nel novembre 2013 contro il rifiuto del governo di firmare l’accordo di associazione con l’Unione europea si trasformarono in manifestazioni di massa, con violenti scontri tra dimostranti e forze di polizia. Secondo il ministero della Salute morirono 105 persone, tra cui almeno 13 agenti di polizia.
Amnesty International ha documentato numerosi casi di uso illegale della forza, comprese uccisioni e torture, durante le manifestazioni di EuroMaidan. L’organizzazione per i diritti umani ha più volte sottoposto alle autorità ucraine informazioni dettagliate sull’uso arbitrario ed eccessivo della forza ma non ha ancora visto progressi significativi su alcuno dei casi che sta seguendo.
A oggi, solo due agenti di basso rango sono stati condannati dopo che erano stati ripresi dalle telecamere mentre obbligavano un uomo a rimanere nudo in pubblico, con temperature sotto lo zero. Sono stati condannati a tre e due anni di carcere, con sospensione della pena, per ‘eccesso d’autorità o di potere ufficiale’. Altri agenti coinvolti nell’episodio non sono stati incriminati.
Uccisioni e torture
Il primo manifestante a perdere la vita fu il 21enne Serhiy Nihoyan, raggiunto da quattro proiettili alla testa e al collo il 22 gennaio 2014. I responsabili della sua morte restano sconosciuti. Molti manifestanti vennero sottoposti a maltrattamenti e torture. Un uomo di 23 anni venne picchiato e trascinato per le labbra a una camionetta della polizia e gli spruzzarono gas lacrimogeno sui genitali. Una donna di 51 anni che stava assistendo alle proteste subì una frattura al cranio e perse la vista da un occhio dopo essere stata colpita al volto con un manganello da un agente di polizia. Quasi tutte le persone incontrate da Amnesty International hanno riferito di essere state interrogate non come vittime ma in quanto sospettate di aver commesso un reato. A distanza di mesi dalle denunce, nessuna di loro è stata informata su eventuali sviluppi delle indagini.
Indagini ritardate od ostacolate
Dopo la caduta del presidente Yanukovych, il nuovo governo salito al potere nel febbraio 2014 è stato rapido nell’additare lui e i suoi più stretti collaboratori come i principali colpevoli delle violazioni dei diritti umani commesse nel corso delle proteste di EuroMaidan. Queste persone si trovano tutte all’estero. Le nuove autorità ucraine hanno promesso in numerose occasioni di svolgere indagini efficaci su tutte le violazioni dei diritti umani e di portare i responsabili di fronte alla giustizia.
‘Le indagini si sono concentrate sulle uccisioni e sulla presunta responsabilità di alti funzionari della precedente amministrazione. Ma anche in questi casi, i progressi sono stati più annunciati che reali. Sulla maggior parte dei ferimenti e dei maltrattamenti, le indagini sono a malapena iniziate‘ – ha sottolineato Dalhuisen.
I magistrati contattati da Amnesty International hanno indicato come principali ostacoli alle indagini l’immediata distruzione delle prove da parte delle forze di polizia e la riluttanza di queste ultime a collaborare. Hanno anche fatto riferimento alla mancanza di risorse e alla sovrapposizione di competenze tra le varie autorità investigative.
‘Pur riconoscendo l’elevato numero dei casi e la complessità di alcuni di essi, è chiaro che senza una significativa riforma delle strutture responsabili delle indagini sulle violenze delle forze di polizia, la giustizia per le vittime di EuroMaidan resterà una chimera e il circolo vizioso dell’impunità che favorì quelle violazioni non verrà spezzato‘ – ha concluso Dalhuisen.
FINE DEL COMUNICATO Roma, 18 febbraio 2015
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