Un anno fa l’avvelenamento di Navalny: un anno di vergognosa ingiustizia

20 Agosto 2021

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Il 20 agosto 2020 Aleksei Navalny, noto oppositore del presidente russo Vladimir Putin, fondatore della Fondazione anti-corruzione, si sentì male mentre era a bordo di un volo diretto da Tomsk a Mosca. Venne trasferito per cure mediche in Germania, dove rimase 18 giorni in coma. Esperti internazionali hanno concluso che era stato vittima di un avvelenamento col Novichok, un agente nervino per uso militare, vietato dalla Convenzione internazionale sulle armi chimiche.

Le autorità russe non hanno mai aperto un’indagine effettiva, hanno bloccato i tentativi degli avvocati di Navalny di denunciare presso i tribunali la mancanza di azioni giudiziarie e ignorato i forti sospetti che agenti dei servizi di sicurezza federali fossero stati coinvolti nell’avvelenamento.

Dopo il suo ritorno a Mosca, il 17 gennaio 2021, Navalny è stato arrestato e condannato a due anni e mezzo di colonia penale per aver violato i termini della libertà condizionata riferiti a una precedente condanna, emessa per motivi politici.

La Fondazione anti-corruzione e la rete di sostenitori chiamata “Quartier generale Navalny” sono stati iscritti nell’elenco delle organizzazioni “estremiste” e sciolti.

L’11 agosto 2021 Navalny è stato ulteriormente accusato di “aver creato un’organizzazione non-profit per mettere a rischio i diritti dei cittadini”. Se giudicato colpevole, rischia un’ulteriore condanna da uno a tre anni.

Esattamente un anno fa il più noto critico del Cremlino è stato attaccato con un’arma chimica vietata, un orrendo crimine che avrebbe dovuto essere indagato con urgenza dalle autorità russe. Queste, invece, hanno deciso di mettere Navalny con accuse false dietro le sbarre, in condizioni tali da rischiare di ucciderlo, e hanno avviato un’incessante campagna di rappresaglie contro i suoi sostenitori. Ribadiamo la richiesta di un’indagine immediata e imparziale sul tentato avvelenamento di Navalny e la fine della persecuzione nei confronti suoi e dei suoi sostenitori, in primo luogo attraverso la sua scarcerazione”, è stato il commento della Segretaria generale di Amnesty International, Agnes Callamard.