Tempo di lettura stimato: 5'
Da 45 anni il popolo iraniano è impegnato in una resistenza per l’ottenimento della libertà, per uno stato democratico iraniano contro un regime che cerca di distruggere una cultura millenaria, quella persiana.
La teocrazia negli anni ha riconosciuto quali nemici della morale e dello stato studenti, politici, professori, avvocati ma soprattutto vede nella donna il nemico principale. Questa propaganda politica ha continuato a perpetuare abusi e violenze non solo nei confronti delle donne, ma contro tutti coloro i quali nei decenni hanno messo in dubbio la cultura del patriarcato. Cultura o dovremmo chiamarla consuetudine che va oltre ogni confine?
La morte violenta di Masha Jina Amini, ventiduenne curda, la cui colpa è stata il solo fatto di esser donna, ha scosso una popolazione intera. Un popolo, che va ben oltre i confini dell’Iran.
Il motto “Donna Vita Libertà” ha riecheggiato nelle piazze di tutto il mondo e ha mostrato che vogliamo dare il nostro contributo al mondo e lo vogliamo fare come donne, perché è nostro diritto contare!
Quello che una prima chiave di lettura, pressappochista a mio avviso, ha evidenziato è che questa sia una rivolta che riguarda solo le donne iraniane. Invece i primi ad abbracciare questa resistenza sono stati gli uomini. Quei padri e figli, vittime loro stessi di una cultura patriarcale. Vittime doppiamente per aver tradito quel codice che vede l’uomo possedere la donna, l’uomo educare la donna, l’uomo schiacciare la donna. Questa resistenza è universale. C’è un popolo che urla libertà, e questa passa dalla nostra libertà, dalla nostra vita, da noi donne.
Proprio questa richiesta di riconoscimento dei diritti delle donne quali diritti umani inviolabili, che si sta alzando dall’Iran in tutto il mondo, deve vederci, con fermezza, dissociarci e denunciare anche qui in Italia le brutalità e le violazioni commesse dal regime della Repubblica islamica dell’Iran.
In questa macchina dittatoriale l’abuso si propaga con la diversità di genere, una violenza che si attua attraverso vie puramente simboliche della comunicazione e della coscienza, lo si fa attraverso una falsa morale religiosa, attraverso il simbolo del velo. Un “potere ipnotico del dominio” che soffoca i rapporti sociali e a ogni anelito di libertà risponde con la più feroce violenza. Continuano in Iran da parte del regime i processi farsa e le esecuzioni capitali per chi ha partecipato alle manifestazioni, continuano gli arresti, le torture, gli stupri e le minacce. È evidente che queste manifestazioni, che questa resistenza non rappresentino più solo una questione domestica iraniana ma riguarda ormai tutta la comunità internazionale. Il mondo che viviamo non è una civiltà per noi donne.
La Repubblica islamica dell’Iran non è un attore internazionale con cui chiudere accordi di pace, accordi economici e commerciali. Questa è una dittatura che promuove terrorismo, mafia e guerre.
Il nostro è un cammino di pace straziante lungo millenni che ci ha insegnato a rispondere alle brutalità subite a chi ci ritiene nulla con la nostra voce, la nostra presenza, la nostra vita con la speranza del futuro. Siamo portatrici di pace in una guerra perenne.
Il silenzio accompagna la resistenza delle donne in Iran è diventato insopportabile e trova eco nel resto del mondo. È nostro compito come cittadini europei e italiani far riecheggiare il canto di libertà e democrazia dell’Iran.
Per noi tutti, per la pace, per la democrazia. Donna, vita, libertà sempre e ovunque!
Articolo a cura di Shady M. Alizadeh, avvocata e attivista iraniana, per il numero 2 del trimestrale I Amnesty.