Uzbekistan: Andizhan un anno dopo

10 Maggio 2006

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Uzbekistan: Andizhan un anno dopo. Amnesty: ‘le vittime non devono essere dimenticate’

CS50-2006: 11/05/2006

Camminando per le strade di Andizhan, si affondava nel sangue e nella pioggia.’
(un testimone oculare degli eventi di Andizhan del 12 e 13 maggio 2005)

Il massacro di Andizhan dello scorso anno continua a essere usato come alibi dalle autorità dell’Uzbekistan per reprimere la libertà di espressione in nome della sicurezza nazionale e della ‘guerra al terrore’.

A un anno esatto dall’uccisione di centinaia di persone, per lo più civili disarmati, Amnesty International pubblica un rapporto e lancia un’azione per chiedere alla comunità internazionale di non chiudere gli occhi di fronte alle violazioni dei diritti umani – tra cui ulteriori uccisioni e uso costante della tortura – nel paese centroasiatico.

Il governo uzbeco ha ignorato con disprezzo le richieste di un’inchiesta internazionale, imparziale, indipendente e completa sugli eventi di Andizhan. Ha rifiutato di prendere qualsiasi provvedimento concreto per indagare sulla violenza compiuta dalle proprie forze di sicurezza e sottoporre a processo i responsabili‘ – ha affermato Amnesty International. ‘Un anno dopo, la necessità di fare luce su quanto accaduto ad Andizhan è più pressante che mai, per incriminare i colpevoli e rendere giustizia alle vittime‘.

Il 13 maggio 2005, le forze di sicurezza uzbeche aprirono il fuoco in maniera indiscriminata contro i partecipanti a una manifestazione indetta per protestare contro le politiche repressive del governo e la diffusa povertà. Centinaia di persone sospettate di aver preso parte alla manifestazione furono arrestate, molte altre vennero sottoposte a maltrattamenti e torture. Altre centinaia cercarono riparo nel vicino Kyrgyzstan. I processi iniqui furono decine e decine.

Da allora, Amnesty International, Human Rights Watch e altre organizzazioni non governative hanno continuato a denunciare la perdurante repressione ai danni della società civile, soprattutto nei confronti di chiunque, compresa la stampa internazionale, abbia osato e osi contestare la versione ufficiale degli eventi di Andizhan.

Imprigionando gli attivisti per i diritti umani e strangolando la stampa indipendente, le autorità uzbeche stanno cercando di seppellire la verità su quanto accaduto un anno fa ad Andizhan. Il loro obiettivo è nascondere l’evidenza, e cioè che quelle pratiche repressive che scatenarono le proteste di Andizhan, come gli arresti arbitrari, i maltrattamenti, le torture, i processi iniqui e la mancanza di libertà di espressione e di associazione, proseguono senza soluzione di continuità’ – ha proseguito Amnesty International.

L’organizzazione per i diritti umani ritiene che le persone arrestate per aver cercato di raccontare la verità sui fatti di Andizhan siano prigionieri di coscienza e chiede il loro rilascio immediato e incondizionato. Amnesty International segnala in particolare quattro casi:

Aleksei Volosevich, giornalista indipendente. Presente il 13 maggio 2005 ad Andizhan, ha pubblicato la propria testimonianza sul principale sito indipendente in lingua russa, www.ferghana.ru.  È stato vittima di un’aggressione dopo che il principale organo governativo d’informazione, Pravda Vostoka, l’aveva accusato di tradimento.

Saidzhakhon Zainabitdinov, attivista per i diritti umani. Il 5 gennaio di quest’anno, al termine di un processo irregolare, è stato condannato a sette anni di carcere, che sta scontando in una località sconosciuta. La sua testimonianza sugli eventi del 13 maggio, in profondo contrasto con quella ufficiale, fu ampiamente ripresa dalla stampa internazionale.

Dilmurov Muhiddov, attivista per i diritti umani. Il 12 gennaio di quest’anno è stato condannato a cinque anni di carcere per ‘tentativo di sovvertire l’ordine costituzionale’. Era stato arrestato l’anno scorso perché trovato in possesso di un documento sui fatti di Andizhan, diffuso dal partito laico di opposizione ‘Birlik’.

Mutabar Tadzhibaeva, presidente di un’associazione locale per i diritti umani e candidata al premio Nobel per la pace 2005. Il 6 marzo di quest’anno è stata condannata a otto anni di carcere per reati di natura economica e politica. Prima dell’arresto, stava svolgendo una ricerca sulle violazioni dei diritti umani nella valle di Fergana.

Amnesty International sollecita inoltre le autorità dell’Uzbekistan a consentire immediatamente l’avvio di un’inchiesta indipendente a livello internazionale e a garantire che tutte le persone incriminate siano sottoposte a un processo equo e pubblico, nel corso del quale sia vietato utilizzare come prove dichiarazioni estorte con la tortura.

FINE DEL COMUNICATO                                                         Roma, 11 maggio 2006

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