Yemen: ripetute violazioni da parte degli houti e degli alleati dell’ex presidente Saleh

20 Maggio 2015

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Accanto ai crimini di diritto internazionale causati dagli attacchi della coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita, Amnesty International ha registrato un’impennata di arresti arbitrari, detenzioni e rapimenti portata avanti dalle milizie armate houthi e da forze vicine all’ex presidente Ali Abdullah Saleh.

Persone di vario orientamento politico, per lo più affiliate al partito islamico sunnita al-Islah, sono state detenute arbitrariamente o rapite dal 26 marzo, data di inizio dell’offensiva aerea guidata dall’Arabia Saudita. Secondo le informazioni raccolte da Amnesty International, negli ultimi due mesi più di 60 persone sono state arrestate nella capitale Sana’a e nella città di Ibb poiché si opponevano alle istituzioni governative insediate dagli houthi o non criticano gli attacchi della coalizione a guida saudita.

A Sana’a e Ibb, Amnesty International ha intervistato decine di ex prigionieri e loro familiari, che hanno denunciato arresti arbitrari senza mandato di cattura e periodi di detenzione in isolamento, in località sconosciute e senza poter ricevere visite o evitandole per paura di una rappresaglia da parte degli houthi. In molti casi, le persone sono state prelevate dalle loro abitazioni e trasferite in più centri non ufficiali, comprese le case private, senza possibilità di contestare la legittimità del loro arresto e di essere informate sulle cause.

Detenzione arbitraria e isolamento dei membri di al-Islah a Sana’a

La maggior parte degli ex prigionieri e le famiglie dei detenuti fermati dal 26 marzo sono affiliati al partito al-Islah. I gemelli Hassan e Hussein Dammaj, rispettivamente di 30 e 29 anni, hanno raccontato ad Amnesty International come il loro padre Mohamed Hasan Dammaj, 77 anni, sia stato prelevato dalla sua casa nel distretto di al-Rawdha a Sana’a alle sette di mattina del 6 aprile, senza un mandato di cattura ufficiale.

Mohamed Hasan Dammaj è membro del Consiglio della shura e del Consiglio supremo del partito al-Islah: “Sono arrivati cinque veicoli militari pieni di soldati e membri di Ansarullah [il braccio politico degli houti]. Hanno portato me, mio padre e altri due parenti alla stazione di polizia di Raslan dove ci hanno domandato cosa facessimo e cosa pensassimo della coalizione saudita. Ci hanno rilasciato il 10 aprile alle cinque di pomeriggio, tranne mio padre, che è stato trasferito in una località ignota. Per ottenere la libertà, abbiamo dovuto firmare un documento in cui condannavamo la coalizione guidata dai sauditi in guerra con lo Yemen” – ha dichiarato Hassan Dammaj. ‘Dopo 16 giorni senza sapere dove fosse nostro padre, ho ricevuto una telefonata da un numero che non conoscevo e mi hanno passato mio padre. Mi ha detto che si trovava sul monte Nigam dentro un deposito di armi mentre c’erano raid aerei su quelle montagne e nei dintorni. Da allora, non abbiamo più avuto sue notizie. Nel frattempo, sua moglie è deceduta e lui non ha potuto darle l’ultimo addio‘.

Allo stesso modo, Abdelrahman al-Ansi ha raccontato dell’arresto del fratello Yasser al-Ansi, 40 anni, membro del partito al-Islah, avvenuto dopo che egli aveva finito di pregare in moschea intorno alle sette del pomeriggio del 6 aprile: ‘Gli houthi lo hanno portato via dicendo di volerlo solo interrogare per poi rimandarlo a casa. All’inizio è stato condotto alla stazione di polizia dove è rimasto per tre giorni. Poi è stato mandato in un posto lontano. Secondo alcune indiscrezioni si troverebbe nell’ufficio della Sicurezza politica ma non siamo stati in grado di parlare con lui né di vederlo dal giorno del suo arresto. Abbiamo chiesto agli houti ma senza alcun risultato. Mia mamma è quella che soffre di più per la scomparsa e il silenzio attorno al caso, è preoccupata e questo minaccia la sua salute‘.

Abdelrahman al-Ansi ha raccontato ad Amnesty International dell’attacco subito da persone che, pur non legate ad al-Islah, sono parenti degli esponenti più influenti del partito. ‘Anche mio cugino Mohamed Abdelwahab al-Ansi è stato arrestato il 7 aprile dopo che gli houthi sono entrati in casa sua. Non è neanche affiliato ad al-Islah, lo hanno preso solo perché il padre è il segretario generale del partito. Si trova nella sede della direzione per le indagini penali a Sana’a‘. Il figlio di Fathi Mohamed Abdullah al-‘Ezib, 53 anni, membro della segreteria del partito al-Islah, ha narrato come suo padre sia stato catturato davanti ai suoi occhi verso le sette di sera del 5 aprile: ‘Una Hylux e un altro veicolo sono arrivati alla moschea al-Taqwa di Bir al-Ziqar dopo la preghiera. Abbiamo chiesto di vedere un mandato di arresto ma hanno risposto di non averlo. Lo hanno portato nella sede dell’Amministrazione della sicurezza di al-Taqwa e il giorno dopo lo hanno trasferito in una località nascosta, Solo da poco abbiamo avuto il permesso di visitarlo. Ora è detenuto in una delle abitazioni private di ‘Ali Mohsen al-Ahmar, ex generale maggiore dell’esercito yemenita e figura prominente del partito al-Islah nel distretto di Haddah‘.

Molte famiglie hanno confermato che i parenti sono stati trattenuti in centri di detenzione non ufficiali. I familiari di Mohamed Qahtan (56 anni), membro del Consiglio supremo di al-Islah, hanno attestato che dopo l’arresto, avvenuto a Sana’a nel pomeriggio del 4 aprile nella sua abitazione del quartiere di al-Nahdha, lo hanno potuto incontrare solo una volta il 7 aprile quando è stato portato nella casa di Hameed al-Ahmar, imprenditore e figura di spicco del partito al-Islah. Prima del suo arresto, Mohamed Qahtan era stato posto per una settimana agli arresti domiciliari.

Altre famiglie hanno raccontato di parenti arrestati mentre viaggiavano nel paese o tentavano di lasciare lo Yemen. Abdeljalil Said, 58 anni, a capo del Dipartimento progetti di al-Islah, è stato bloccato l’11 maggio a un posto di blocco gestito da Ansarullah nella città di Ibb mentre si stava recando a Ta’iz con la moglie e la figlia dodicenne. È stato portato in un resort per turisti usato dagli houthi come prigione.
Secondo quanto dichiarato dalla famiglia di Abdelmajeed Seif al-Mikhlafi, 57 anni, anche lui membro di al-Islah, l’uomo e suo figlio Fikri Abdelmajeed al-Mikhlafi (34 anni) sono stati bloccati il 18 aprile al posto di blocco di Haradh mentre erano diretti in Arabia Saudita. Dal 20 aprile, la famiglia non ha notizie di loro.

Attacchi contro abitazioni di membri di al-Islah e contro attivisti pacifici nella città di Ibb

Simili arresti e incursioni nelle case si sono verificati a Ibb nelle ultime sei settimane nei confronti di membri del partito al-Islah, delle loro famiglie e di attivisti politici. Abu Ahmed ha parlato ad Amnesty International dell’arresto di suo figlio Ahmed Ali Abdellatif al-Taheri (31 anni), padre del piccolo Sam di quattro mesi, avvenuto nella zona di al-Dhihar: ‘Hanno preso mio figlio Ahmed dopo un raid aereo, il 12 aprile. Gli houthi hanno fatto incursione nelle case del quartiere cercandolo per nome, hanno preso solo lui. È un farmacista e capo del Consiglio della rivoluzione del 2011. Ha criticato con veemenza gli houthi. È la sua seconda cattura in tre mesi‘.

Abdelmalik al-Hunai ha denunciato l’arresto di suo fratello Said al-Hunai, un giornalista indipendente di 36 anni, avvenuto il 28 aprile. Da allora non si hanno sue notizie: ‘Da quando l’hanno portato via, non lo abbiamo più visto né sentito. Da tre settimane indossa gli stessi vestiti. Ha quattro figli, il più grande è Ahmed, di 13 anni, che soffre di epilessia. Chiunque si metta contro di loro [gli houthi] viene arrestato, non guardano in faccia a nessuno. Sappiamo che è trattenuto presso la sede della Sicurezza politica a Ibb, ma non ce lo lasciano vedere e non confermano che è là…Sua moglie è disperata‘.

Vi sono stati casi in cui la persona ricercata non è stata trovata e al suo posto gli houthi e i lealisti dell’ex presidente Saleh hanno arrestato o sequestrato altri membri della famiglia, compresi i bambini, o hanno distrutto le abitazioni per punizione. Questo è il racconto di Osamah al-Wasili: ‘Sono arrivati alle sei di mattina dell’11 aprile, volevano mio padre, ma c’erano solo mia mamma e i miei fratelli. Il mio fratellino Anas, 14 anni, è stato preso al posto di nostro padre e tenuto nella sede del dipartimento per le indagini penali di Ibb per una settimana. Younes (10 anni), Ilyas (8 anni) e le mie sorelle di cinque anni per poco non morivano di paura durante l’irruzione‘.

Gli ex prigionieri del partito al-Islah intervistati a Ibb hanno detto di essere stati interrogati sulla coalizione guidata dai sauditi e sulla posizione del partito circa la guerra in corso. Hameed al-Shuhri, padre di sette figli e funzionario di al-Islah, arrestato l’11 aprile e detenuto per due settimane, ha raccontato la sua esperienza: ‘Quaranta o 50 houthi hanno circondato casa mia, mi hanno arrestato e mi hanno portato al dipartimento per le indagini penali. Volevano sapere perché avessi insultato Abdelmalik al-Huthi [leader degli houthi] e mi hanno chiesto quali fossero i programmi del partito al-Islah. Mi hanno rilasciato solo dopo aver promesso che avrei condannato l’operazione militare dei sauditi e non avrei più criticato gli houti. Mi hanno anche vietato di scrivere su Facebook‘.

Altre famiglie hanno riferito ad Amnesty International che gli houthi e le forze fedeli all’ex presidente Saleh hanno fanno saltare in aria le case dei leader dell’opposizione quando non li hanno trovati all’interno, un atto paragonabile a una punizione collettiva. Suleiman al-Hamati, nipote dello sceicco Mohsin al-Hamati, leader di al-Islah a Ibb, ha raccontato ad Amnesty International in che modo gli houthi e gli alleati dell’ex presidente Saleh abbiano rintracciato suo zio: ‘Il 4 maggio gli houthi e le truppe di Saleh si sono presentati a casa sua, ad al Makhadir. Lui ha rifiutato di consegnarsi e così tre giorni dopo sono tornati con tre automobili e una cisterna, poco prima delle sette di sera. La casa è nuova, ci ha messo un anno per costruirla e ci si era appena trasferito con la sua famiglia.  Loro arrivarono con tre macchine e una cisterna. Hanno portato dentro cinque bombole del gas, le hanno aperte e hanno chiuso le finestre. Poi si sono allontanati e hanno fatto esplodere l’edificio‘.

Ulteriori informazioni

Gli houthi, per la maggior parte appartenenti alla minoranza sciita zaidita del nord dello Yemen, hanno lanciato l’offensiva nel settembre 2014 a partire dalla capitale Sana’a. Nella terza settimana del gennaio 2015 hanno attaccato postazioni militari, il quartiere presidenziale e i palazzi del governo, costringendo alle dimissioni e alla fuga il presidente Abd Rabbu Mansour Hadi e il suo esecutivo e prendendo di fatto il potere, come già successo in altre zone del paese. Il 6 febbraio gli houti hanno sciolto il parlamento e approvato una dichiarazione costituzionale per la creazione di un consiglio presidenziale transitorio con funzioni di governo per due anni. Il 23 marzo, nel sud del paese ancora non conquistato dagli houti, si è acceso un aspro conflitto: da un latro gli houthi, appoggiati da unità dell’esercito e da forze leali all’ex presidente ‘Ali Abdallah Saleh; dall’altro le fazioni dell’esercito fedeli al presidente Hadi, sostenuto da tribù e milizie locali.

Il 26 marzo, una coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita e composta da almeno 10 paesi, ha lanciato una campagna di raid aerei contro gli houthi che ha coinvolto 18 dei 22 governatorati del paese, da nord a sud Il diritto umanitario internazionale, che vincola ogni parte coinvolta in un conflitto armato, compresi i gruppi non statali come gli houti, contiene garanzie fondamentali per le persone private della libertà. Queste comprendono l’obbligo di riservare un trattamento umano e il divieto di ricorrere a sparizioni forzate, cattura di ostaggi e arresti arbitrario. Le punizioni collettive sono a loro volta vietate. Molte delle azioni descritte in questo documento potrebbero dunque costituire crimini di guerra.