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A un anno dalla firma dell’accordo di pace tra il governo e le Forze armate rivoluzionarie di Colombia (Farc), una nuova ricerca condotta dai nostri ricercatori descrive una nazione in cui conflitto armato è ancora una realtà per milioni di colombiani.
Gruppi guerriglieri e paramilitari si contendono ancora parti del territorio con conseguenze drammatiche per la popolazione civile. Nel dipartimento di Chocó, una regione ricca di risorse e ambita sia dai gruppi armati della guerriglia che dai paramilitari nella Colombia occidentale, il 60 per cento della popolazione è riconosciuta come vittima del conflitto armato.
“La Colombia è di fronte a un grande bivio – ha dichiarato in una nota ufficiale Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International –. Se il governo non coglierà l’occasione di proteggere comunità terrorizzate per tanto tempo dai gruppi armati, il futuro continuerà a essere tetro. Le autorità devono assicurare che l’accordo di pace venga attuato fino in fondo e che saranno presi ulteriori provvedimenti per impedire che gli altri gruppi guerriglieri e paramilitari proseguano a seminare terrore nella popolazione“.
I nostri ricercatori hanno visitato alcune zone del Chocó e intervistato i nativi e i discendenti africani che abitano nella zona. Le testimonianze raccolte lamentano la lentezza dell’applicazione dell’accordo di pace e la presenza di altri gruppi nel territorio, dove si avverte invece la mancanza dello stato.
La presenza di vari gruppi armati nel Chocó ha costretto migliaia di persone a lasciare le loro case e i loro mezzi di sostentamento, senza ottenere protezione e sostegno da parte dello stato. In alcuni casi, le comunità si sono trasferite in zone altrettanto pericolose e sovraffollate, senza accesso all’acqua potabile, con cibo insufficiente e con poche prospettive di fare rientro.
I difensori dei diritti umani e i leader delle comunità locali che denunciano le violenze subiscono minacce e sono persino uccisi. Una delle ultime vittime è stata Aulio Isaramá Forastero, leader indigeno del Chocó, assassinato il 24 ottobre dall’Esercito di liberazione nazionale (Eln).
Nella zona è molto diffusa anche la violenza di genere, ma molte donne e ragazze hanno paura di denunciare gli abusi.
Il 2 maggio 2002 circa 120 civili, per lo più bambini, furono uccisi in uno dei peggiori massacri degli ultimi 15 anni durante scontri tra le Farc e un gruppo paramilitare per assicurarsi il controllo dei terreni nella città di Bojayá. Invano le comunità locali avevano denunciato la crescente tensione nella zona, anche anni prima del massacro.
A 15 anni di distanza, le comunità locali sono ancora in balia dei gruppi armati, tra cui l’Enl e i paramilitari, e si sentono abbandonate dallo stato che non ha intrapreso alcuna misura per garantire la sicurezza della popolazione civile ed evitare il ripetersi della violenza.
L’accordo di pace era stato concepito per porre fine a un conflitto armato iniziato 50 anni prima, che ha causato la morte di oltre 220.000 colombiani e lo sfollamento forzato di quasi sette milioni di persone.
“Le molte sfide intrinseche al processo di pace non possono giustificare la mancanza di azione dello stato per applicare l’accordo e tenere la popolazione civile al sicuro – ha concluso Shetty –. L’unico modo per assicurare che crimini del genere non si ripetano è attuare adeguatamente tutte le parti dell’accordo di pace riguardanti la protezione delle vittime. Le prime cose da fare dovrebbero essere investire più risorse nelle unità responsabili della protezione della popolazione civile, indagare sulle violazioni dei diritti umani e riconoscere che i gruppi paramilitari sono ancora attivi nel Chocó”.