Tempo di lettura stimato: 11'
Le autorità dell’Africa Subsahariana devono agire immediatamente per proteggere i detenuti dal Covid-19 con misure che comprendano anche il rilascio dei prigionieri di coscienza, la revisione dei casi di detenzione preventiva e la garanzia dell’accesso all’assistenza e ai prodotti disinfettanti in tutte le strutture.
“Con il diffondersi del Covid-19 nell’Africa Subsahariana il grave sovraffollamento in molte carceri e istituti penitenziari rischia di trasformarsi in una catastrofe sanitaria pubblica, soprattutto a causa della mancanza generale di assistenza sanitaria e delle carenze igieniche“, ha dichiarato in una nota ufficiale Samira Daoud, direttrice di Amnesty International per l’Africa centrale e occidentale.
Chiediamo altresì alle autorità di prendere in considerazione un rilascio anticipato, provvisorio o una liberazione condizionale dei detenuti anziani e di coloro che presentano patologie pregresse, unitamente a donne e ragazze che si trovano in regime di detenzione con figli minori o che sono incinte.
“In molti paesi in tutta la regione, sono numerosi coloro che si trovano in carcere solo per aver esercitato i propri diritti umani in maniera pacifica. Oltre ad essere la cosa giusta da fare, il rilascio immediato e incondizionato dei prigionieri di coscienza libererebbe spazio in quelle strutture e aiuterebbe a proteggere detenuti e personale dal virus“, ha proseguito Samira Daoud.
In tutta la regione dell’Africa Subsahariana, la detenzione preventiva resta uno strumento punitivo ampiamente diffuso ed eccessivamente utilizzato. Al mese di giugno 2019 le persone detenute negli istituti penitenziari in Madagascar, paese con una capacità totale nazionale di 10.360 detenuti, erano 28.045. Oltre il 75 per cento dei 977 ragazzi detenuti si trova in custodia cautelare. Minori e adulti accusati di reati minori sono costretti in penitenziari sporchi e sovraffollati più a lungo di quanto previsto per legge per la detenzione preventiva. In Senegal, prima della liberazione dei detenuti annunciata nel marzo 2020, il paese contava 11.547 persone in 37 carceri con una capacità totale di 4224 carcerati. Situazione simile in Burundi i cui istituti penitenziari, con una capacità di 4194 persone, ospitavano prima del dicembre 2019 11.464 detenuti, il 45,5 per cento dei quali in detenzione preventiva.
Secondo gli ultimi dati disponibili sulla prigione centrale di Makala, nella Repubblica Democratica del Congo, nel 2016 vi erano 8000 detenuti, più di cinque volte la capacità ufficiale di 1500. Nel paese nel corso del 2019 sono stati rilasciati circa 700 detenuti ma almeno 120 prigionieri sono morti per fame, mancanza di accesso ad acqua potabile e assistenza sanitaria adeguata.
“Anche prima della pandemia da Covid-19, gli istituti penitenziari nella Repubblica Democratica del Congo erano luoghi di morte. Oltre a mettere in luce la spaventosa realtà che si trovano ad affrontare persone private della propria libertà, il virus aumenta i rischi a cui i detenuti sono esposti quotidianamente“, ha commentato Deprose Muchena, direttore di Amnesty International per l’Africa meridionale e orientale.
Molti paesi della regione hanno una lunga tradizione di detenzioni arbitrarie per coloro che hanno esercitato o difeso i diritti alla libertà di espressione, assemblea pacifica o associazione, il che contribuisce al sovraffollamento. Abbiamo sottolineato l’emergenza di molti prigionieri di coscienza che adesso si trovano ad affrontare la concreta minaccia del Covid-19 in prigione.
Il giornalista Ignace Sossou in Benin è stato condannato il 24 dicembre 2019 a 18 mesi di reclusione per “molestie attraverso mezzi di comunicazione elettronici” per alcuni tweet con dichiarazioni attribuite al procuratore intervenuto durante una conferenza organizzata dall’Agenzia francese per lo sviluppo dei media.
In Burundi, il difensore dei diritti umani Germain Rukuki è stato arrestato per la sua attività e sta scontando una pena detentiva di 32 anni mentre quattro giornalisti collaboratori di uno dei pochi media indipendenti del paese, Iwacu, sono stati condannati il 30 gennaio 2020 a due anni e mezzo di reclusione per aver cercato di svolgere delle indagini sugli scontri violenti avvenuti nel paese.
In Camerun tre studenti, Fomusoh Ivo Feh, Afuh Nivelle Nfor e Azah Levis Gob, sono stati condannati a 10 anni di reclusione “per non aver riportato informazioni in materia di terrorismo” dopo aver scritto un messaggio con una barzelletta su Boko Haram. Tra le persone ancora detenute per aver protestato in maniera pacifica contro presunte irregolarità durante le elezioni presidenziali del 2018 o in favore dei diritti economici e sociali nelle regioni anglofone, spicca il caso di Mancho Bibixy Tse, arrestato il 9 gennaio 2017 e condannato il 25 maggio 2018 da un tribunale militare a 15 anni di reclusione con l’accusa di “terrorismo“, semplicemente per aver protestato in maniera pacifica contro dei camerunensi della comunità di lingua inglese.
In Ciad Martin Inoua, direttore del giornale Salam Info, nel settembre 2019 è stato condannato a tre anni di reclusione per diffamazione, calunnie e associazione a delinquere dopo aver pubblicato un articolo su una presunta aggressione sessuale da parte di un ex ministro.
“Amnesty International considera tutte queste persone prigionieri di coscienza, imprigionati solo per aver esercitato i propri diritti; devono essere rilasciati immediatamente e senza condizioni“, ha concluso Deprose Muchena.
In Guinea, attivisti del Fronte nazionale per la difesa della costituzione sono arbitrariamente imprigionati per aver manifestato in maniera pacifica contro un progetto di riforma costituzionale che prevede per il presidente Alpha Condé la possibilità di candidarsi per un terzo mandato e lo svolgimento di un referendum costituzionale il 22 marzo 2020. Ibrahimo Abu Mbaruco, giornalista in Mozambico, è stato vittima di una sparizione forzata il 7 aprile 2020. Aveva inviato un messaggio a un collega in cui diceva di essere stato minacciato da alcuni soldati vicino casa sua a Palma, nella provincia settentrionale di Cabo Delgado. Le autorità mozambicane sono note per gli arresti arbitrari, le torture e altri maltrattamenti nei confronti dei giornalisti.
“È spaventoso che un numero così alto di persone che esercita in maniera pacifica i propri diritti umani adesso si trovi esposta al rischio di contrarre il Covid-19 nelle carceri africane. Devono essere tutte rilasciate senza ulteriori indugi“, ha aggiunto Deprose Muchena.
In Somaliland il presidente Muse Bihi Abdi ha graziato 574 detenuti il 1 aprile per migliorare il problema del sovraffollamento ma nell’elenco non è incluso il giornalista freelance Abdimalik Muse Oldon, arrestato arbitrariamente un anno fa per aver criticato il presidente su Facebook.
In Congo, quattro sostenitori del movimento di opposizione Incarner L’Espoir, Parfait Mabiala, Franck Donald Saboukoulou Loubaki, Guil Miangué Ossebi e Meldry Rolf Dissavoulou, sono stati accusati di aver messo in pericolo la sicurezza del paese e sono stati reclusi arbitrariamente per molti mesi. Gli avversari e i candidati politici delle elezioni presidenziali del 2016, Jean-Marie Michel Mokoko e André Okombi Salissa, sono stati condannati per aver messo in pericolo la sicurezza interna dello stato nel 2018 e da allora si trovano in regime di detenzione arbitraria.
In Eritrea, chiunque esprima un’opinione politica diversa da quella del governo è a rischio di arresto; migliaia di politici, giornalisti, difensori dei diritti umani e persino familiari vengono imprigionati per anni, praticamente senza prospettive di rilascio. In Etiopia il governo ha liberato oltre 10.000 detenuti giunti quasi alla fine della pena o che erano stati condannati a un massimo di tre anni di reclusione ma per avversari politici e giornalisti continuano le detenzioni inique per motivi di opinione o per aver svolto il proprio lavoro.
In Madagascar Arphine Helisoa, direttrice editoriale del giornale Ny Valosoa, si trova in detenzione preventiva nella prigione della capitale Antanimora il 4 aprile con l’accusa di aver diffuso “fake news” e di “incitamento all’odio nei confronti del presidente Andry Rajoelina“, per aver criticato la gestione del presidente nella risposta nazionale al Covid-19.
In Sud Sudan, dall’inizio del conflitto, nel 2013, il Sevizio di sicurezza nazionale ha arbitrariamente arrestato senza capi d’accusa centinaia, forse migliaia, di presunti oppositori del governo, giornalisti e membri della società civile. I detenuti fanno affidamento sulle proprie famiglie per il cibo ma molti adesso non possono più farlo a causa delle restrizioni per il Covid-19.
In Tanzania, l’avvocato per i diritti umani Tito Magoti e Theodory Giyani, accusato con lui, sono in regime di detenzione presso la polizia dal 20 dicembre 2019, con il tribunale che ha rinviato il processo per la nona volta il 15 aprile 2020. In Uganda, la polizia militare ha arrestato lo scrittore e studente di giurisprudenza Kakwenza Rukira il 13 aprile 2020 per il suo libro Avidi barbari, che critica la famiglia alla guida del paese. Non sono ancora state formalizzate le accuse a suo carico.
“La diffusione del Covid-19 rappresenta una preoccupazione per la salute pubblica anche nelle carceri e nelle altre strutture penitenziarie. È necessario che la riduzione del numero di persone detenute sia parte integrante della risposta degli stati al Covid-19, che deve avere inizio in primo luogo con il rilascio immediato e incondizionato di tutti coloro che non dovrebbero essere detenuti“, ha concluso Samira Daoud