Lo sapevi che in Arabia Saudita vengono condannati a morte anche i minorenni?
Le autorità avevano promesso di non farlo più, ma la Corte suprema ha segretamente confermato le condanne a morte di due minorenni al momento del reato. Si tratta di Abdullah al-Derazi e Jalal Labbad, entrambi meno che diciottenni all’epoca dei presunti reati e condannati per aver partecipato a proteste antigovernative. I loro processi si sono basati principalmente su confessioni estorte con la tortura.
Abdullah al-Derazi aveva 17 anni al momento del reato. Dopo l’arresto, avvenuto nel 2014, è stato tenuto in custodia cautelare per tre anni senza potersi rivolgere a un avvocato. Ha dichiarato di essere stato picchiato e torturato.
Jalal Labbad aveva tra i 15 e i 17 anni al momento del presunto reato e anche lui è stato sottoposto a torture fisiche e psicologiche. Ha dichiarato di aver trascorso “nove mesi e mezzo in isolamento”, di aver subito “pestaggi” e “scariche elettriche su tutto il mio corpo, in particolare sui miei genitali”.
I due ragazzi non possono più fare appello e potrebbero essere messi a morte in ogni momento.
Chiedi al Re Salman di annullare la condanna a morte.
King Salman bin Abdul Aziz Al Saud
Office of His Majesty the King
Royal Court, Riyadh
Kingdom of Saudi Arabia
Fax: +961 11 403 3125
Twitter: @KingSalman
Sua Maestà Re Salman bin Abdulaziz Al Saud,
sono profondamente addolorato per la situazione di due giovani, Abdullah al-Derazi e Jalal Labbad, che sono a rischio di esecuzione imminente e saranno messi a morte se Lei ratificherà la loro sentenza capitale. Entrambi erano minorenni all’epoca dei crimini dei quali sono stati giudicati colpevoli.
Amnesty International ha recentemente appreso che la Corte suprema dell’Arabia Saudita ha segretamente confermato le sentenze capitali di Abdullah al-Derazi e Jalal Labbad dopo che il Tribunale penale speciale li ha condannati per accuse di terrorismo legate alla loro partecipazione a proteste contro il trattamento riservato dal governo alla minoranza sciita.
Entrambi sono stati condannati in seguito a processi gravemente iniqui e privi di garanzie procedurali. Non hanno avuto accesso all’assistenza legale durante la custodia cautelare e hanno dichiarato alla corte di essere stati torturati per ottenere una “confessione”. La corte non ha indagato sulle loro denunce di torture e di maltrattamenti.
Condannando a morte i due prigionieri, le autorità saudite hanno rinnegato le loro promesse di porre fine all’uso della pena capitale per crimini commessi da minorenni.
La esorto a non ratificare le sentenze capitali di Abdullah al-Derazi e Jalal Abbad e di sollecitare le autorità competenti affinché annullino le condanne e celebrino un nuovo e giusto processo senza il ricorso alla pena di morte. Inoltre, mi rivolgo a lei affinché ordini una rapida, imparziale, indipendente ed effettiva indagine sulle denunce di torture e maltrattamenti riportate nei documenti del tribunale esaminati da Amnesty International, che includevano pestaggi, violenza sessuale e scariche elettriche. L’Arabia Saudita deve immediatamente stabilire una moratoria ufficiale sulle esecuzioni con l’obiettivo di abolire la pena di morte.
Cordiali saluti,
Amnesty International dispone di informazioni attendibili secondo le quali la Corte suprema ha segretamente confermato le esecuzioni capitali di Abdullah al-Derazi e Jalal Labbad senza avvisare le loro famiglie o i loro avvocati. In assenza di informazioni chiare riguardanti i processi in Arabia Saudita, soprattutto nei casi di pena di morte, le famiglie scoprono la sorte dei loro cari solo attraverso i media. Il 16 ottobre 2023 il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni sommarie, extragiudiziali o arbitrarie ha espresso preoccupazione per l’imminente esecuzione di Abdullah Al-Derazi. I due ragazzi potrebbero essere messi a morte non appena il Re ratificherà le loro condanne a morte.
La Commissione saudita per i diritti umani ha dichiarato ad Amnesty International in una lettera del maggio 2023 che “l’applicazione della pena di morte sui minori per i crimini ta’zir è stata completamente abolita”. I crimini ta’zir, per cui i due giovani sono stati condannati, sono reati per i quali la legge islamica non prevede la pena di morte. L’applicazione della pena di morte su persone minorenni all’epoca del crimine per cui sono state condannate è strettamente proibita dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia, che l’Arabia Saudita ha ratificato.
L’Arabia Saudita è uno dei principali paesi esecutori al mondo. Tra gennaio e ottobre 2023 le autorità saudite hanno già eseguito 112 condanne a morte. Nel 2022 invece le esecuzioni erano state 196, il numero più alto che Amnesty International aveva registrato nel paese negli ultimi 30 anni.
Abdullah al-Derazi aveva 17 anni al momento del reato. È stato arrestato il 27 agosto 2014 e condannato alla pena di morte dal Tribunale penale speciale il 20 febbraio 2018 poiché coinvolto nelle “proteste ad al-Qatif, per aver cantato slogan contro lo Stato e per aver causato caos”, “per aver partecipato ad una rete di comunicazione terroristica … che mirava a distruggere la sicurezza interna”, e “per aver attaccato ufficiali delle sicurezza con bombe Molotov”. Il ragazzo ha dichiarato alla corte che è stato tenuto in custodia cautelare per tre anni, durante i quali non ha avuto accesso alla rappresentanza legale. Secondo gli atti giudiziari esaminati da Amnesty International, ha detto al giudice: “Chiedo una valutazione medica indipendente per dimostrare le torture a cui sono stato sottoposto… i verbali dell’ospedale di Dammam, dimostrano che continuo ad essere curato a causa delle percosse sulle orecchie subite durante l’interrogatorio”. Il tribunale non ha indagato su queste accuse di tortura e l’8 agosto 2022 una Corte d’appello ha confermato la sua condanna a morte.
Jalal Labbad aveva tra i 15 e i 17 anni al momento del reato. È stato arrestato il 23 febbraio 2019 e condannato a morte dal Tribunale penale speciale il 31 Luglio 2022 per “aver partecipato a proteste e rivolte, essersi ribellato all’ordine pubblico, e per aver partecipato alla promozione e al canto di slogan che insultavano e incitavano contro i governanti durante i funerali di persone uccise dal servizio di sicurezza” e “per aver partecipato ad una rete di comunicazione terroristica che aveva l’obiettivo di danneggiare lo Stato attraverso: il rapimento e l’omicidio di un giudice, spari ad un ufficiale della sicurezza…e lancio di bombe Molotov a ufficiali della sicurezza”. Secondo gli atti giudiziari esaminati da Amnesty International, ha dichiarato alla corte di essere stato detenuto in custodia cautelare per quasi tre anni e sottoposto a torture fisiche e psicologiche tra cui “nove mesi e mezzo in isolamento in una stanza piccola e stretta”, “pestaggi” e “scariche elettriche su tutto il mio corpo, in particolare sui miei genitali”. Ha asserito, inoltre, che gli era stato negato ripetutamente un trattamento medico. Il 4 ottobre 2022 una Corte d’appello ha confermato la condanna di Labbad.