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Dopo la pubblicazione del rapporto dell’intelligence Usa secondo cui il principe della Corona saudita Mohamed bin Salman approvò l’operazione per catturare o uccidere Jamal Khashoggi e la denuncia presentata da Reporter senza frontiere a un tribunale tedesco ai danni dello stesso bin Salman per l’omicidio di Khashoggi e la persecuzione di altri giornalisti, Amnesty International ha dichiarato che ora è più che mai necessario chiamare le autorità saudite a rendere conto delle loro azioni.
“Oltre due anni dopo l’omicidio di stato di Khashoggi, la sua famiglia non sa ancora dove si trovino i resti del suo corpo mentre le autorità saudite continuano a stare al riparo dalla giustizia e sono libere di portare avanti la loro brutale repressione contro i dissidenti pacifici”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.
“Accertare le responsabilità dell’omicidio di Khashoggi potrebbe avere profonde implicazioni per i molti difensori dei diritti umani ingiustamente in carcere in Arabia Saudita e per quelli costretti all’esilio”, ha aggiunto Morayef.
Amnesty International ha più volte ribadito che il processo a porte chiuse sull’omicidio di Khashoggi, terminato con otto condanne, è stato privo di credibilità e trasparenza e che sarebbe stata e resta necessaria un’indagine imparziale e indipendente sui crimini di diritto internazionale commessi contro il giornalista e dissidente (sparizione forzata, tortura ed esecuzione extragiudiziale), che possono essere indagati da ogni stato.
“Il crudele assassinio di Khashoggi dev’essere visto nel contesto della sistematica repressione operata dalle autorità di Riad nei confronti di giornalisti, difensori dei diritti umani, attiviste per i diritti delle donne e altri esponenti della società civile: siamo di fronte a una campagna spaventosa, che ha l’obiettivo di stroncare il dissenso all’interno e all’esterno del paese, orchestrata e diretta dalle più alte cariche del potere”, ha commentato Morayef.
Secondo Amnesty International, sono almeno 47 le persone che stanno scontando condanne fino a 30 anni per aver esercitato pacificamente i loro diritti alla libertà di espressione, di associazione e di manifestazione. Tra loro va inclusa anche l’attivista per i diritti delle donne Loujain al-Hathloul, recentemente posta in libertà condizionata e vigilata.