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Commentando la decisione del governo bengalese di introdurre la pena di morte come punizione per lo stupro, Sultan Mohammed Zakaria, ricercatore di Amnesty International per l’Asia meridionale, ha dichiarato:
“Questo passo indietro è un diversivo che distoglie l’attenzione dalla mancanza di azioni concrete per affrontare la terribile brutalità che tantissime donne bengalesi subiscono. Le esecuzioni perpetuano la violenza, non la prevengono. Invece di cercare vendetta, le autorità devono concentrare la propria attenzione sull’assicurare giustizia alle vittime delle violenze sessuali, anche attraverso cambiamenti a lungo termine che mettano fine e prevengano questa epidemia di violenza. Ciò implica, ad esempio, garantire che donne e ragazze bengalesi siano protette e si sentano al sicuro quando si presentano a denunciare un reato. I perpetratori devono essere indagati e rispondere delle accuse; l’impunità per questi reati orribili deve cessare grazie a processi giusti e in cui non sia previsto il ricorso alla pena di morte“.
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A seguito di numerose proteste che chiedevano di mettere fine all’impunità per i reati di stupro di donne e ragazze, il governo bengalese ha approvato un emendamento alla Legge sulla prevenzione della repressione di donne e bambini, del 2000, apportando delle modifiche al paragrafo 9(1) e portando dall’ergastolo alla pena di morte la massima pena prevista per il reato di stupro.