Amnesty International si oppone incondizionatamente alla pena di morte, ritenendola una punizione crudele, disumana e degradante ormai superata, abolita nella legge o nella pratica (de facto), da più della metà dei paesi nel mondo.
La pena di morte viola il diritto alla vita, è irrevocabile e può essere inflitta a innocenti. Non ha effetto deterrente e il suo uso sproporzionato contro poveri ed emarginati è sinonimo di discriminazione e repressione.
Oggi, più di due terzi dei paesi al mondo ha abolito la pena capitale per legge o nella pratica.
Nel 2019, sono state messe a morte almeno 657 persone in 20 paesi, una diminuzione del 5% rispetto al 2018 (almeno 690). Il dato rappresenta il numero più basso di esecuzioni registrato da Amnesty International nel corso degli ultimi dieci anni. La maggioranza delle sentenze capitali sono state eseguite nell’ordine in Cina, Iran, Arabia Saudita, Iraq e Egitto.
La Cina rimane il maggior esecutore al mondo, ma la reale entità dell’uso della pena di morte in questo paese è sconosciuta perché i dati sono classificati come segreto di stato; per questo motivo, il dato complessivo di almeno 657 esecuzioni, non tiene in considerazione le migliaia di sentenze capitali che si ritiene siano eseguite in Cina ogni anno.
Ovunque la pena di morte sia applicata, il rischio di mettere a morte persone innocenti non può essere eliminato. Dal 1973 negli Usa sono stati rilasciati 167 prigionieri dopo che erano emerse nuove prove della loro innocenza. Alcuni di questi sono arrivati a un passo dall’esecuzione dopo aver trascorso molti anni nel braccio della morte.
In ognuno di questi casi sono emerse caratteristiche simili e ricorrenti: indagini poco accurate da parte della polizia, assistenza legale inadeguata, utilizzo di testimoni non affidabili e di prove o confessioni poco attendibili. Ma non solo. Negli Usa, purtroppo, sono diversi i casi di prigionieri messi a morte nonostante l’esistenza di molti dubbi sulla loro colpevolezza.
Il problema della potenziale esecuzione di un innocente non è solo limitato agli Usa.
Nel 2019, almeno undici persone sono state prosciolte in due paesi: Zambia e Stati Uniti d’America. Nel 2018, erano state prosciolte almeno 8 persone in 4 paesi tra cui Egitto, Kuwait, Malawi e Stati Uniti d’America.
Cheng Hsing-tse è stato prosciolto a Taiwan nel 2017 dopo sette procedimenti giudiziari e otto processi in appello. L’uomo ha trascorso 14 anni in stato di detenzione, di cui 10 nel braccio della morte. Nel 2016, Zang Aiyun è stato assolto dall’accusa di omicidio in Cina dopo 11 anni e 9 mesi di prigione. In Vietnam, Tran Van Them, 80 anni, è stato prosciolto da ogni accusa e liberato dal braccio della morte dopo 43 anni.
I trattati internazionali sui diritti umani vietano l’applicazione della pena di morte nei confronti di persone che avevano meno di 18 anni al momento del reato. Sia il Patto internazionale sui diritti civili e politici sia la Convenzione sui diritti dell’infanzia proibiscono tale pratica. Nonostante ciò, un piccolo numero di paesi al mondo continua a mettere a morte minorenni.
Queste esecuzioni rappresentano una percentuale molto bassa rispetto al numero totale di persone messe a morte nel mondo, ma il loro significato va ben oltre il semplice dato e chiama in causa l’impegno degli Stati a rispettare il diritto internazionale e le numerose forme di tutela ormai riconosciute dalla comunità internazionale a protezione dei diritti dei minorenni.
Dal 1990 abbiamo documentato 151 esecuzioni di minorenni in nove paesi: Arabia Saudita, Cina, Repubblica Democratica del Congo, Iran, Nigeria, Pakistan, Usa, Sudan e Yemen.
Nel 2019, almeno quattro persone sono state messe a morte in Iran per reati commessi quando avevano meno di 18 anni. Amnesty International ritiene che minorenni condannati a morte negli anni passati siano tuttora detenuti nei bracci della morte di Maldive, Iran, Pakistan, Arabia Saudita e Sudan del Sud.
Negli Stati Uniti d’America, grazie anche alla campagna di Amnesty International, la Corte suprema Usa nel 2005 ha dichiarato incostituzionale l’applicazione della pena di morte per i minorenni all’epoca del reato, allineando in questo modo la legislazione agli standard internazionali riconosciuti.
Paesi totalmente abolizionisti
Sono 106 quei paesi che hanno abolito la pena di morte per tutti i reati: Albania, Andorra, Angola, Argentina, Armenia, Australia, Austria, Azerbaijan, Belgio, Benin, Bhutan, Bolivia, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Burundi, Cambogia, Canada, Capo Verde, Cipro, Città del Vaticano, Colombia, Congo (Repubblica del), Costa Rica, Costa d’Avorio, Croazia, Danimarca, Ecuador, Estonia, Filippine, Finlandia, Figi, Francia, Gabon, Georgia, Germania, Gibuti, Grecia, Guinea, Guinea Bissau, Haiti, Honduras, Irlanda, Islanda, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Salomone, Italia, Kirghizistan, Kiribati, Liechtenstein, Lituania, Lettonia, Lussemburgo, Macedonia del Nord, Madagascar, Malta, Mauritius, Messico, Micronesia, Moldavia, Monaco, Mongolia, Montenegro, Mozambico, Namibia, Nauru, Nepal, Nicaragua, Niue, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Palau, Panama, Paraguay, Polonia, Portogallo, Regno Unito , Repubblica Ceca, Repubblica Dominicana, Repubblica Slovacca, Romania, Ruanda, Samoa, San Marino, Sao Tomè e Principe, Senegal, Serbia (incluso il Kosovo), Seychelles, Slovenia, Spagna, Sudafrica, Suriname, Svezia, Svizzera, Timor Est, Togo, Turchia, Turkmenistan, Tuvalu, Ucraina, Ungheria, Uruguay, Uzbekistan, Vanuatu, Venezuela.
Paesi abolizionisti per reati comuni
Sono 8 i paesi che hanno abolito la pena di morte per i reati comuni, ma la mantengono per quelli commessi in tempo di guerra o in circostanze eccezionali: Brasile, Burkina Faso, Cile, El Salvador, Guatemala, Israele, Kazakistan, Perù.
Paesi abolizionisti de facto
Sono 28 i paesi che mantengono in vigore la pena di morte, ma nei quali le esecuzioni non hanno luogo da almeno dieci anni, oppure hanno stabilito una prassi o assunto un impegno a livello internazionale a non eseguire condanne a morte: Algeria, Brunei Darussalam, Camerun, Corea del Sud, Eritrea, Eswatini (ex Swaziland), Federazione Russa , Ghana, Grenada, Kenya, Laos, Liberia, Malawi, Maldive, Mali, Mauritania, Marocco/Sahara occidentale, Myanmar, Niger, Papua Nuova Guinea, Repubblica Centrafricana, Sierra Leone, Sri Lanka, Tagikistan, Tanzania, Tonga, Tunisia, Zambia.
Paesi mantenitori
Sono 56 i paesi che mantengono in vigore la pena di morte: Afghanistan, Antigua e Barbuda, Arabia Saudita (184)*, Bahamas, Bahrain (3) *, Bangladesh (2) *, Barbados, Belize, Bielorussia (2+)*, Botswana (1)*, Ciad, Cina (+)*, Comore, Corea del Nord (+)*, Cuba, Dominica, Egitto (32+)*, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Gambia, Giamaica, Giappone (3)*, Giordania, Guinea Equatoriale, Guyana, India, Indonesia, Iran (251+)*, Iraq (100+)*, Kuwait, Lesotho, Libano, Libia, Malesia, Nigeria, Oman, Palestina (Stato di), Pakistan (14+)*, Qatar, Repubblica Democratica del Congo, Singapore (4)*, Siria (+)*, Somalia (12+)*, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Stati Uniti d’America (22)*, Sudan (1)*, Sudan del Sud (11+)*, Thailandia, Taiwan, Trinidad e Tobago, Uganda, Vietnam (+)*, Yemen (7)*, Zimbabwe.
* paesi che hanno eseguito condanne a morte nel 2019. Il numero indicato è quello delle esecuzioni di cui Amnesty International è riuscita ad avere notizia certa. Il simbolo + indica che il totale delle esecuzioni potrebbe essere molto più elevato rispetto al numero indicato. Dal 2009, Amnesty International ha deciso di non pubblicare la stima delle condanne a morte e delle esecuzioni in Cina, dove questi dati sono classificati come segreto di stato. L’aggiornamento dei dati è a cura del Coordinamento pena di morte.
In Cina centinaia di casi documentati di pena di morte non sono presenti nel registro giudiziario online, da subito pubblicizzato come un “passo avanti decisivo verso l’apertura” e regolarmente citato come prova che il sistema giudiziario cinese non ha nulla da nascondere.
Il registro in realtà contiene solo una piccola parte delle migliaia di condanne a morte che riteniamo siano emesse ogni anno in Cina. Sulla base di fonti pubbliche cinesi tra il 2014 e il 2016 sono state eseguite almeno 931 condanne a morte, solo 85 delle quali sono riportate nel registro.
Il registro, inoltre, non contiene i nomi dei cittadini straniericondannati a morte per reati di droga, sebbene i mezzi d’informazione locali abbiano dato notizia di almeno 11 esecuzioni. Sono assenti anche numerosi casi relativi a “reati di terrorismo“.
Negli ultimi anni il rischio di essere messi a morte per reati non commessi ha suscitato allarme nell’opinione pubblica cinese. Nel dicembre 2016 la Corte suprema del popolo ha riconosciuto l’errore giudiziario in uno dei casi più noti, l’esecuzione di Nie Shubin, messo a morte 21 anni prima all’età di 20 anni. Sempre lo scorso anno i tribunali cinesi hanno riconosciuto l’innocenza di quattro condannati a morte annullandone la sentenza.
Negli Stati Uniti d’America il numero delle esecuzioni (22, 3 in meno del 2018) e delle condanne a morte (35, 10 in meno del 2018) è diminuito rispetto al precedente anno, rimanendo in linea con le tendenze, storicamente basse, degli ultimi anni. Per il quarto anno consecutivo gli Usa non compaiono tra i primi cinque stati per numero di esecuzioni (all’ottavo posto nel 2017, al settimo nel 2018 e al sesto nel 2019).
Sette stati americani hanno messo a morte nel 2019. Più del 40% delle esecuzioni registrate sono avvenute in Texas, che resta lo stato con il più alto numero di esecuzioni nel paese. Il Missouri ha eseguito una sentenza capitale nel 2019, nessuna nell’anno precedente. Al contrario, il Nebraska e l’Ohio non hanno messo a morte nel 2019, dopo aver eseguito condanne a morte nel 2018.
Appena dopo la fondazione nel 1961, abbiamo iniziato a inviare appelli per fermare le esecuzioni di prigionieri di coscienza. Un lavoro che oggi avviene a prescindere dal reato o dal comportamento sanzionato come reato, e indipendentemente dalla presenza o assenza dell’attenzione dei mezzi di informazione o del pubblico sui singoli casi.
A livello internazionale siamo tra i membri fondatori della Coalizione mondiale contro la pena di morte (World Coalition Against Death Penalty, WCADP) e coordiniamo le attività della Rete asiatica contro la pena di morte (Anti-Death Penalty Asia Network, ADPAN). Dal 2014 collaboriamo con la Task force contro la pena di morte, istituita dal ministero degli affari esteri, affinché il voto biennale sulla moratoria sulla pena di morte all’Assemblea generale delle Nazioni unite raccolga sempre di più il maggior numero di voti favorevoli.
Infine monitoriamo costantemente l’applicazione della pena di morte nel mondo fornendo dati e informazione in una pubblicazione annuale.
Il nostro impegno continuerà fino a quando: