Bhopal: dopo 40 anni, ancora nessuna giustizia per le vittime del disastro chimico

28 Marzo 2024

Photo by A M Faruqui/Anadolu Agency/Getty Images

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L’assenza di rimedi, da parte dell’azienda chimica statunitense Dow, nei confronti delle vittime di una fuoriuscita di gas mortali da una fabbrica di pesticidi in India, col conseguente decesso di oltre 22.000 persone, ha creato a Bhopal una “zona di sacrificio” in cui mezzo milione di persone continua a soffrire.

Lo ha dichiarato oggi Amnesty International, in un rapporto pubblicato nell’approssimarsi del quarantesimo anniversario del peggiore disastro industriale del mondo e alla vigilia dell’Assemblea annuale degli azionisti della Dow, in programma l’11 aprile.

Il rapporto, intitolato “Bhopal: 40 anni d’ingiustizia”, spiega che la richiesta, basata sui principi dei diritti umani, di giustizia e riparazioni per le persone sopravvissute non è mai stata così forte. Amnesty International ha chiesto agli stati e alle imprese di valutare di non avere più rapporti commerciali con la Dow, a meno che questa non riconosca le sue responsabilità e intraprenda azioni rapide e concrete per risarcire i danni procurati.

“Il nostro rapporto, quasi 40 anni dopo la devastante fuoriuscita di gas di Bhopal, mostra come la Dow, unitamente alle azioni di autorità statunitensi e indiane, abbia creato una ‘zona di sacrificio’ in cui mezzo milione di persone, di generazione in generazione, sta patendo sofferenze. Questa catastrofe rimane qualcosa cui rimediare immediatamente e urgentemente in favore delle persone la cui salute è stata compromessa, dei loro figli nati con disabilità o di quelli che vengono avvelenati tuttora attraverso la contaminazione dell’acqua e del suolo”, ha dichiarato Mark Dummett, direttore del programma Imprese e diritti umani di Amnesty International.

La resilienza e la determinazione delle persone sopravvissute al disastro di Bhopal e di quelle che, in questi decenni, stanno portando avanti la campagna per la giustizia sono davvero eccezionali e fonti d’ispirazione. Ciò nonostante, i diritti umani vengono violati e negati ancora oggi. Tra le vittime iniziali vi furono molti bambini ma alcuni di quelli che sopravvissero dovettero interrompere studio e lavoro per prendersi cura dei loro genitori avvelenati dal gas. È un’eredità di povertà e indigenza”, ha aggiunto Dummett.

“Il razzismo ambientale è ciò che ha permesso questa catastrofe, insieme allo sprezzante e cinico operato di coloro che hanno cercato di ritardare la giustizia in favore delle vittime e che continuano vergognosamente ancora oggi a negare le loro evidenti responsabilità in termini di diritti umani”, ha sottolineato Dummett.

All’epoca del disastro la proprietaria dell’impianto chimico era la statunitense Union Carbide Corporation (Ucc). In seguito, questa azienda fu acquisita dalla Dow, anch’essa con sede negli Usa, che ha disconosciuto ogni propria responsabilità. Le risposte delle due imprese sono disponibili in appendice al rapporto di Amnesty International.

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Una “zona di sacrificio”, di danni permanenti e di razzismo ambientale

Il rapporto di Amnesty International giudica che l’area intorno all’impianto è così contaminata e le conseguenze dell’avvelenamento dei pozzi d’acqua e della tossicità del suolo sono così gravi da poterla definire una “zona di sacrificio”.

Le “zone di sacrificio” sono caratterizzate da danni catastrofici e permanenti alla salute di comunità marginalizzate causati dall’inquinamento prodotto dalle imprese.

Il rapporto aggiunge che il razzismo ambientale, che può essere il risultato della discriminazione basata sulla razza, sulla casta e/o sulla religione, intenzionale o meno, è stato alla base del disastro e delle sue conseguenze: tale è stato, dunque, l’aver collocato un impianto per la produzione di pesticidi che stoccava e lavorava sostanze chimiche altamente velenose – e con una manutenzione e controlli sotto gli standard rispetto agli impianti equivalenti della Ucc negli Usa – in una zona densamente popolata, composta prevalentemente da musulmani e da comunità delle caste inferiori che vivevano per lo più in povertà e in insediamenti informali.

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Intorno alla mezzanotte del 2 dicembre 1984, quando un serbatoio di stoccaggio si ruppe, tonnellate di isocianato di metile si sparsero nelle comunità vicine, uccidendo rapidamente circa 10.000 persone. Molte delle persone inizialmente sopravvissute svilupparono terribili problemi di salute cronici al sistema immunitario e a quello respiratorio, che hanno portato a circa 22.000 morti premature e un numero molte volte superiore di danni permanenti.

Una percentuale sproporzionata di bambini i cui genitori erano stati esposti al gas sono nati con disabilità o con disordini congeniti. Nelle comunità colpite, l’incidenza degli aborti e dei parti di bambini morti è assai più alta del normale.

Nel 1994 l’Ucc abbandonò l’impianto senza bonificarlo e senza smaltire le riserve di prodotti chimici, causando così la grave contaminazione delle fonti idriche e del suolo. Ne sono derivati danni devastanti e perduranti agli abitanti, che hanno anormalità cromosomiche simili a quelle diagnosticate alle persone esposte all’iniziale perdita di gas.

In precedenza, Amnesty International aveva mostrato come un accordo raggiunto nel 1989 tra la Ucc e il governo indiano, che prevedeva un risarcimento medio di 500 dollari a vittima, era stato completamente ingiusto, inadeguato e gestito in modo improprio. Un portavoce della Dow, che aveva acquisito la Ucc nel 2001, commentò così l’accordo: “Per un indiano 500 dollari vanno più che bene”.

Per impedire alla giustizia statunitense di fare il suo corso, la Ucc sostenne che per i tribunali e le giurie degli Usa, imbevuti di valori e aspettative statunitensi, era impossibile comprendere gli standard di vita delle persone negli insediamenti informali che circondavano l’impianto.

Il governo degli Usa, a volte mediante azioni di lobby non pubbliche, ha fatto pressioni su quello dell’India affinché i cittadini statunitensi coinvolti non fossero chiamati a rispondere alla giustizia e ha contribuito a ostacolare e a ritardare le procedure d’estradizione e a notificare le citazioni in tribunale alla Dow. In questo modo, ha rafforzato le disuguali dinamiche di potere che sono, a loro volta, alla base di questa storia.

Secondo Amnesty International, sarebbe impensabile che un’impresa indiana operante in territorio statunitense possa uccidere 22.000 cittadini degli Usa e farla franca con l’aiuto dello stato indiano.

Raccomandazioni e rimedi

Tra le varie raccomandazioni contenute nel suo rapporto, Amnesty International sollecita la Dow a fare un’analisi sulle sue responsabilità, rispetto a Bhopal, sulla base dei Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani, cui l’azienda afferma pubblicamente di aderire, e di rendere pubbliche le conclusioni di tale analisi. Amnesty International sollecita il governo Usa e la stessa Dow a cooperare in tutti i procedimenti giudiziari, compresi i contenziosi penali in corso in India.

Amnesty International chiede alla Dow e alla Ucc di risarcire in modo adeguato tutte le persone sopravvissute e di fornire rimedi per i danni multigenerazionali causati. Chiede alle due aziende anche di finanziare in modo adeguato una valutazione della contaminazione e la successiva bonifica, la fornitura di cure mediche di alta qualità alle persone che soffrono le conseguenze del disastro e il futuro monitoraggio della salute e dell’ambiente delle comunità colpite.

Le autorità federali dell’India e quelle locali devono assicurare forniture certe di acqua pulita alle comunità colpite, facilitare la distribuzione rapida, equa e trasparente di tutti i risarcimenti che sono ancora nelle casse del governo e compensare di ciò cui hanno diritto le persone che stanno ancora soffrendo o cui è stato erroneamente negato un indennizzo.

Amnesty International chiede al governo indiano di continuare a premere, in nome delle vittime, per ottenere rimedi giudiziari dalla Dow e a tutti i partiti politici in competizione per le prossime elezioni di inserire nei loro programmi un impegno per i risarcimenti.

“Il quarantesimo anniversario di quel disastro evitabile si sta avvicinando e, nonostante le pubbliche assicurazioni sul suo impegno a rispettare gli standard internazionali su imprese e diritti umani, la Dow continua a mostrare un cinico disprezzo per le vittime. Se, come afferma, intende davvero rispettare i Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani, la Dow deve assumersi le sue responsabilità e contribuire velocemente ad affrontare tutto ciò che sta ancora causando così tanta sofferenza”, ha concluso Dummett.