“La mia vita tra violenze e torture per sconfiggere la schiavitù in Mauritania”

10 Maggio 2018

Tempo di lettura stimato: 4'

Quando avevo 10 anni, poco prima della morte di mio padre, gli ho promesso che avrei trascorso la vita battendomi contro la schiavitù nel mio paese. Ed è quello che ho fatto. Mi ha chiesto di studiare e di battermi contro la schiavitù perché lui non aveva potuto farlo, essendo analfabeta. Mi ha chiesto di ricordarmi della storia della mia famiglia, dei figli della sua prima moglie, degli schiavi che vedevamo ogni giorno in Mauritania, e di come venivano trattati. Per questo motivo sono andato avanti, subendo incarcerazioni, violenze e torture, sia fisiche che psicologiche“.

A raccontarlo Biram Dah Abeid, conosciuto come il “Mandela mauritano”, che abbiamo incontrato durante “Mai più schiavi“, un discussione sulla condizione dei neri in Mauritania, dove la schiavitù è ancora una realtà.

In questo paese poverissimo di tre milioni e mezzo di abitanti, si calcola che siano almeno 700 mila (il 20 per cento della popolazione) le persone costrette a vivere alle dipendenze di un padrone. Di queste, 100 mila sono in totale schiavitù. Ma qualcosa si sta muovendo. Anche grazie a Biram Dah Abeid.

In Mauritania – spiega – c’è un sistema di apartheid organizzato da parte dell’estrema destra. Schiavisti, razzisti, xenofobi, oscurantisti, anti-neri sono personificati dall’attuale regime di Mohamed Abdel El Aziz, il generale che sta facendo di tutto per mantenere in vita, attraverso la repressione, l’èlite arabo-berbera che si giova della schiavitù e del razzismo“.

Gli arabo-berberi scelgono gli schiavi più abili per i lavori domestici e per la cura degli animali, gli altri vengono allontananti verso il fiume Senegal, dove c’è da coltivare la terra. Sono trattati esattamente come oggetti. Anche i figli degli schiavi vengono venduti o regalati a seconda dell’occasione o della necessità“.

Come scrive il nostro portavoce Riccardo Noury nella prefazione al libro “Mai più schiavi”, “Coloro che non si accontentano di rivendicare il rispetto dei propri diritti mettono in gioco la loro stessa vita per difendere quelli degli altri. Sanno bene che i diritti sono di tutti, oppure sono privilegi“.

Ed è proprio quello che ha fatto e continua a fare Biram. Quest’uomo, discendente di schiavi, ha sopportato ogni tipo di violenza per fare in modo che un giorno tutti i neri della Mauritania possano essere affrancati dalla schiavitù.

Biram è il leader dell’Ira (Initiative de résurgence du mouvement abolitionniste). Nel 2012 è salito alla ribalta grazie ad un gesto eclatante: ha bruciato pubblicamente alcuni libri pseudo-islamici, che indottrinavano gli schiavi ad essere fieri della loro condizione. Quel gesto gli è costato la galera e incredibili violenze.

Per un mese le televisioni e le radio trasmettevano a tutte le ore del giorno e della notte gli insulti, le congiure dei fanatici isterici, dei politici, dei ministri che chiedevano la mia morte. Volevano che il mio cadavere venisse buttato davanti agli occhi dei miei bambini“, ci racconta.

Il dolore più grande è stato proprio sapere che i miei bambini hanno dovuto subire tutto questo per un mese, ogni giorno. Hanno dovuto guardare in tv e sentire alla radio tutte le minacce che mi venivano fatte, le richieste per la mia morte da parte dei fanatici”. 

Ma la strada da percorrere per l’emancipazione degli schiavi mauritani è ancora molto lunga.

Subiamo regolarmente arresti, torture e carcere. I tempi non sono maturi ma la rivoluzione in Mauritania sarà fatta dagli schiavi. Solo con un nostro Nelson Mandela potremo finalmente cambiare il corso della storia“.

Mauritania: la schiavitù del XXI secolo

In Mauritania ci sono circa 700mila persone costrette a vivere alle dipendenze di un padrone ed è un numero enorme, soprattutto se si considera che il Paese ha poco meno di 3 milioni e mezzo di abitanti.

Gli schiavi sono haratin, il gruppo etnico che rappresenta il 40 per cento della popolazione, hanno la pelle nera e subiscono ogni forma di sopruso fisico e psicologico.

Ultimamente, però, qualcosa nella società mauritana sta cambiando: molti stanno cominciando a ribellarsi e a fuggire.

Intorno al consolidamento della pratica schiavistica si reggono interessi ancestrali che supportano il potere di Mohamed Ould Abdel Aziz, giunto per la prima volta al comando all’indomani di un colpo di stato militare nel 2008.

Appena l’anno prima, tra l’altro, era stata approvata dal parlamento mauritano una legge che dichiarava la schiavitù per la prima volta un reato “penale”.

Sono nel 2014, il 12 agosto, il parlamento ha ufficialmente previsto di raddoppiare la pena per i colpevoli di reato di schiavitù – fino a 20 anni di carcere – garantendo alle vittime, sulla carta, processo regolare ed assistenza legale gratuita.