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L’allevamento di bestiame è il principale motivo di acquisizione illegale di terreni delle riserve e dei territori nativi della foresta amazzonica del Brasile. L’allevamento favorisce la deforestazione e viola i diritti dei popoli nativi e tradizionali a vivere sulla loro terra.
Lo denunciamo in un nuovo rapporto intitolato “Recinta e porta le bestie: l’allevamento illegale di bestiame nell’Amazzonia brasiliana“, presentato in occasione della consegna alle autorità del Brasile di una petizione sottoscritta da oltre 162.000 persone che chiedono sia posta fine all’acquisizione illegale di terreni protetti nell’Amazzonia.
“L’allevamento illegale è la principale causa della deforestazione dell’Amazzonia. Mette a grande rischio non solo i diritti umani dei popoli nativi e tradizionali che vi vivono ma anche l’intero ecosistema globale“, ha dichiarato Richard Pearshouse, direttore del programma Crisi e ambiente di Amnesty International.
Nel corso del 2019 abbiamo visitato cinque aree protette dell’Amazzonia brasiliana: i territori nativi Karipuna e Uru-Eu-Wau-Wau e le riserve di Rio Ouro Preto e Rio Jacy-Paraná nello stato di Rondônia, e il territorio nativo Manoki nello stato di Mato Grosso.
Gli allevatori di bestiame e i grileiros – privati che acquisiscono illegalmente i terreni – seguono un modello ricorrente per convertire la foresta pluviale tropicale in pascoli. Prima vengono identificati i lotti, poi vengono abbattuti e portati via gli alberi e infine vengono appiccati gli incendi, spesso ripetutamente, prima di seminare il terreno e portarvi il bestiame.
Tra i segnali che le operazioni stanno iniziando vi sono la costruzione di nuove strade e l’apparizione di cantieri nelle aree protette. Queste attività sono in aumento nel territorio dei nativi Uru-Eu-Wau-Wau nello stato di Rondônia, buona parte del quale si sovrappone al parco nazionale di Pacaás Novos, dove secondo un funzionario di un’agenzia per la protezione ambientale federale dal 2017 sono stati costruiti 40 chilometri di nuove strade.
Un altro segnale che gli allevatori illegali e i grileiros stanno cercando di acquisire i terreni è la recinzione e l’incendio di ampie aree della foresta.
Abbiamo visto e testimoniato grazie a immagini registrate con un drone quanto accaduto nel territorio nativo Manoki nello stato di Mato Grosso il 23 agosto 2019.
Dalle nostre ricerche è emerso che non solo l’amministrazione Bolsonaro ha tagliato i fondi o ha compromesso in altro modo le attività delle agenzie per la protezione ambientale e dei popoli nativi, ma che alcune agenzie statali hanno effettivamente consentito l’allevamento nelle aree protette.
Le leggi dello stato prevedono che le agenzie per il controllo della salute degli animali debbano visitare e registrare gli allevamenti e tracciare i movimenti del bestiame.
Abbiamo presentato una richiesta di accesso alle informazioni agli stati di Rondônia e Mato Grosso per sapere quanto bestiame pascola nelle aree protette e i suoi movimenti.
Le autorità dello stato di Rondônia hanno fornito dati incompleti. Nonostante cinque solleciti, quelle dello stato di Mato Grosso non hanno mai risposto. Secondo i dati parziali relativi allo stato di Rondônia, nel novembre di un anno fa c’erano oltre 295.000 capi di bestiame nei territori dei nativi e nelle aree protette.
“L’opinione pubblica ha il diritto di avere informazioni sugli allevamenti di bestiame nelle aree protette: dopo tutto, si tratta di attività criminali. Le autorità brasiliane devono rendere disponibili queste informazioni e prendere misure concrete per porre fine all’allevamento illegale di bestiame nelle aree protette“, ha sottolineato Pearshouse.
“Il nostro rapporto fa parte delle ricerche in corso sulle implicazioni, per i diritti, dell’allevamento di bestiame e della deforestazione nell’Amazzonia brasiliana. Le imprese coinvolte in questo settore sono avvisate: i nostri controlli sull’industria del bestiame in Brasile stanno aumentando“, ha concluso Pearshouse.