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Il 27 luglio le autorità del Kuwait hanno impiccato cinque persone, così come annunciato su twitter dalla Procura della repubblica kuwaitiana:
Abdul-Aziz al-Mutairi e Gamal Ibrahim, cittadini rispettivamente kuwaitiano ed egiziano, condannati per omicidio premeditato; Ahmad Shibrim, condannato per omicidio premeditato e descritto come “un residente illegale”, così come Abdul-Rahman Saud, condannato per aver facilitato la logistica dell’attentato suicida del 2015 alla moschea sciita Imam al-Sadeq a Kuwait City, rivendicato poi dallo stato islamico; Jodi Ravindra, cittadino srilankese condannato per possesso e traffico di droghe.
Rawya Rageh, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del nord, ha dichiarato:
“Il governo kuwaitiano ha messo a morte circa dodici persone in meno di un anno, adottando un approccio ‘rigoroso contro il crimine’, che fa leva sugli istinti più negativi delle persone. Tra le cinque esecuzioni di ieri anche un uomo condannato per un reato di droga, che viola il diritto internazionale, che vieta l’uso della pena di morte per un tale reato”.
“È profondamente deludente che il Kuwait sia tornato alle esecuzioni con tale vigore e soprattutto dopo aver sospeso le esecuzioni per cinque anni a partire dal 2017”, ha proseguito Rageh.
Prima di questa data, infatti, il Kuwait non ha applicato la pena di morte dal gennaio 2017 fino al 16 novembre 2022, quando ha messo a morte sette persone – quattro kuwaitiani, un siriano, un pakistano e una donna etiope.
“Non esistono prove credibili che tali esecuzioni da parte dello stato abbiano un maggiore effetto deterrente sui crimini rispetto alle pene detentive. Amnesty International chiede alle autorità kuwaitiane di stabilire immediatamente una moratoria ufficiale sulle esecuzioni con l’obiettivo di abolire la pena di morte”, ha concluso Rageh.
Le esecuzioni in Kuwait evidenziano una sempre più crescente e preoccupante tendenza tra i paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo. L’Arabia Saudita ha messo a morte oltre 50 persone nel 2023, alcune condannate per reati di droga. Il Bahrain ha ripreso le esecuzioni nel 2017, dopo una sospensione di oltre sei anni, e ha condannato a morte sei persone da allora.