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Cosa chiediamo?

Amnesty International Italia chiede che siano introdotti, con una specifica integrazione della normativa vigente su armamento e divise delle forze di pubblica sicurezza, i codici identificativi numerici o alfanumerici per gli agenti e i funzionari di polizia (senza distinzione di ordine e grado) impegnati in operazioni di ordine pubblico.

I codici devono essere ben visibili a distanza, posizionati sui caschi protettivi utilizzati nel corso delle operazioni, sulle uniformi e, per quegli agenti esonerati dall’obbligo di indossare la divisa, sui dispositivi di riconoscimento da questi utilizzati. L’obiettivo è poter riconoscere l’identità degli agenti e dei funzionari di polizia durante l’intero arco di svolgimento delle loro funzioni di ordine pubblico.

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A cosa servono i codici identificativi?

In diversi casi, tra cui quello più noto del G8 di Genova nel 2001, nel corso di indagini tese a verificare le responsabilità individuali da parte della magistratura è risultato particolarmente difficile risalire all’identificazione degli agenti delle forze di polizia.

Dopo 17 anni, infatti, benché le violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani commesse in occasione di quell’evento siano state accerta¬te da sentenze emesse in primo grado e in appello e confermate sia dalla Corte di cassazione che dalla Corte europea dei diritti umani, molti fra gli appartenenti alle forze di polizia sono rimasti impuniti, in parte per effetto della prescrizione e in parte perché non fu possibile risalire all’identità di tutti gli agenti che presero parte alle violazioni dei diritti umani. L’identificazione fu resa impossibile, per molti degli agenti coinvolti nei fatti della scuola Diaz, dalla circostanza che avevano i volti coperti e dalla mancanza di elementi identificativi sui caschi.

La normativa vigente oggi non prevede che gli agenti siano identificabili, in particolar modo mentre svolgono attività di “servizio d’ordine” durante manifestazioni, proteste o assemblee. I codici identificativi rappresenterebbero invece un’importante salvaguardia contro l’uso illegale della forza da parte delle forze di polizia e contribuirebbero a garantire che coloro che agiscono in violazione degli standard internazionali non restino impuniti. Gli agenti dovrebbero essere chiaramente identificabili in ogni momento.

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Cosa intendiamo per “catena di comando trasparente”?

Per catena di comando trasparente intendiamo una modalità di decisione e di azione nell’ambito della quale siano noti i ruoli, gli ordini trasmessi, le modalità di esecuzione degli stessi e quelle di reporting. Noi riteniamo che una catena di comando, oltre a essere trasparente, debba consentire l’individuazione di tutti coloro che vi svolgono un ruolo, compresi i ruoli operativi attraverso la previsione di codici identificativi.

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Qual è la situazione legislativa in Italia?

Diversi sono i disegni di legge presentati nelle passate legislature (ddl S.803 del 6 giugno 2013; ddl S.1307 del 13 febbraio 2014; ddl S.133726 febbraio 2014; ddl S.1412 del 25 marzo 2014) che perseguivano la finalità di dotare gli agenti delle forze di polizia di un codice identificativo, ai fini di una loro riconoscibilità e identificazione. L’ultima discussione in Commissione permanente (Affari costituzionali) si è tenuta nel maggio 2017 , senza ulteriore calendarizzazione.

Nel febbraio 2017, inoltre, il tema è stato oggetto di una ipotesi di modifica del Decreto Minniti, a cui non fu dato seguito per ragioni tecniche . Infine, la proposta di introduzione di identificativi è stata avanzata diverse volte sotto forma di emendamento ad altre proposte di legge da diversi parlamentari (es. al ddl1079).

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Una risoluzione del Parlamento europeo è giuridicamente vincolante?

No, è un atto adottato dal Parlamento europeo, in seduta plenaria dopo che una o più commissioni hanno completato un lavoro istruttorio. È un atto non vincolante, con valore di raccomandazione, che esprime una posizione politica su un determinato tema, ed è indirizzata al Consiglio o alla Commissione.

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Per violazione dei diritti umani e uso eccessivo della forza da parte delle forze di polizia cosa si intende?

In linea con i Principi di base delle Nazioni Unite sull’uso della forza, i governi e le forze di polizia devono riconoscere che partecipare a manifestazioni e assemblee legittime e pacifiche è un diritto sancito nella Dichiarazione universale dei diritti umani e nel Patto internazionale sui diritti civili e politici.
Le forze di polizia, in quanto rappresentanti dello stato, hanno l’obbligo previsto dal diritto internazionale di rispettare e proteggere i diritti umani e, per quanto riguarda la gestione dell’ordine pubblico durante le manifestazioni e le assemblee pacifiche, quello di garantire i diritti alla libertà di espressione e riunione pacifica, alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona; così come il diritto a essere liberi dalla tortura o da altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Ciò include anche l’obbligo di consentire alle persone di esercitare il diritto di riunione pacifica senza porre restrizioni ulteriori a quelle consentite dalle norme internazionali. Le forze di polizia devono quindi facilitare le manifestazioni e le assemblee in modo da garantire che i partecipanti possano esercitare questi diritti e devono altresì adottare misure efficaci per garantire la sicurezza pubblica e il diritto di tutti all’incolumità fisica, in tali circostanze.
Amnesty International riconosce il diritto degli agenti delle forze di polizia di difendersi e il loro dovere di proteggere la sicurezza dei manifestanti. Ciò dovrebbe tuttavia essere svolto in modo tale da garantire il pieno rispetto del diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza di tutte le persone coinvolte, comprese quelle sospettate di reato, ed è soggetto a rigide misure di salvaguardia dei diritti umani, come stabilito nel Codice di condotta delle Nazioni Unite per le forze di polizia del 1979 e nei Principi di base delle Nazioni Unite sull’uso della forza e delle armi da parte di agenti delle forze di polizia del 1990.
Le forze di polizia impegnate nella gestione dell’ordine pubblico sono quindi tenute a ricorrere alla forza solo quando è assolutamente necessario per il raggiungimento di un obiettivo legittimo di applicazione della legge (art. 4, Principi di base sull’uso della forza). Devono ridurre al minimo i danni e proteggere le persone (art. 5, Principi di base sull’uso della forza). Non devono ricorrere all’arresto e alla detenzione arbitraria né alla tortura o ad altri maltrattamenti nei confronti di organizzatori, partecipanti o altri (art. 6, Principi di base sull’uso della forza). Non devono usare armi da fuoco tranne nel caso di difesa contro una minaccia imminente alla vita o di lesioni gravi (art. 7, Principi di base sull’uso della forza).

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Cosa si intende per standard internazionale?

Con standard internazionali rilevanti, si intende il quadro normativo internazionale e regionale di riferimento sui diritti umani, al cui interno troviamo norme, raccomandazioni, principi e linee guida emanati da organizzazioni internazionali e regionali (es. Nazioni Unite e Consiglio d’Europa) che indicano agli Stati il comportamento da tenere in relazione a determinate materie o circostanze. Nel caso si tratti di dichiarazioni e raccomandazioni, gli Stati devono utilizzarli come riferimento e guida del proprio comportamento, nel caso si tratti invece di convenzioni e trattati ratificati, gli Stati sono tenuti ad attenervisi in modo obbligatorio.

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Quali sono i principali standard di riferimento sull’uso della forza che le forze di polizia devono rispettare?

UN Basic Principles on the Use of Force and Firearms by Law Enforcement Officials
UN Code of Conduct for Law Enforcement Officials
UN Guidelines for the Effective Implementation of the Code of Conduct for Law Enforcement Officials
UN Principles on the Effective Prevention and Investigation of Extra-Legal, Arbitrary and Summary Executions
UN Declaration on the Protection of All Persons from Enforced Disappearances
UN Convention against Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading Treatment or Punishment
UN International Covenant on Civil and Political Rights
UN Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners (hereafter referred to as Standard Minimum Rules)
UN Body of Principles for the Protection of All Persons under Any Form of Detention or Imprisonment (hereafter referred to as Body of Principles)
UN Convention on the Rights of the Child
UN Rules for the Protection of Juveniles Deprived of their Liberty
UN Declaration on the Elimination of Violence against Women
UN Declaration of Basic Principles of Justice for Victims of Crime and Abuse of Power
UN Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination Against Women (CEDAW)
Universal Declaration of Human Rights
Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms, better known as the European Convention on Human Rights
European Code of Police Ethics

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Che tipo di codici identificativi chiediamo?

Il codice identificativo deve essere:
• individuale, cioè assegnato a ogni singolo agente e suo superiore;
• ben visibile da ogni lato: spesso vengono posti solo nella parte posteriore (ad esempio sul casco o sulla giacca) e ciò rappresenta un problema durante le manifestazioni nella misura in cui gli agenti solo visibili solo di fronte. Inoltre il codice non deve essere mai coperto dall’equipaggiamento;
• non deve essere modificabile né rimuovibile: se i numeri vengono modificati, ciò può portare a problemi di identificazione. Quindi, è necessario prevedere un meccanismo in cui sia possibile identificare ogni singolo agente di polizia sulla base del numero senza il rischio di confusione;
• sufficientemente grande e visibile anche da alcuni metri di distanza, anche per evitare che ci possano essere errori in una successiva identificazione;
• costituito da una stringa numerica o alfanumerica breve per poter essere memorizzato con facilità.

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Perché chiediamo codici individuali e non di reparto?

Perché la responsabilità penale è personale e perché chi commette violazioni dei diritti umani deve essere individuato e sanzionato personalmente. La violenza commessa da un singolo agente non può diventare responsabilità di un intero reparto, perché coinvolgerebbe anche gli agenti che non hanno commesso alcun’azione illegale, per il solo fatto di appartenere ad uno specifico reparto.

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Chiedete che i poliziotti agiscano a volto scoperto?

No! Stiamo chiedendo la possibilità di poter risalire, attraverso l’esposizione di un codice alfanumerico su divise e caschi, all’identità dei singoli agenti e/o funzionari di polizia laddove utilizzino in modo sproporzionato la forza o causino violazioni dei diritti umani. Chi commette violazioni dei diritti umani, anche se appartiene alle forze di polizia, deve essere individuato e sanzionato personalmente. L’identificabilità è importante per poter distinguere chi fa bene il proprio lavoro da chi non lo fa e invece abusa del proprio potere. È una questione di fiducia e di rispetto.

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Sono sufficienti le bodycam?

Non abbiamo preclusioni nei confronti delle bodycam. Per quanto non sia una nostra richiesta, crediamo che l’apposizione di telecamere sui caschi degli agenti possa rappresentare uno strumento utile per riprendere e filmare eventuali aggressioni, sia nei confronti di un agente che in generale negli scontri che vi possono essere nel contesto di una colluttazione, oltre che costituire un ulteriore deterrente per l’agente nell’utilizzo della forza.
Ove utilizzato in maniera corretta – quindi ad esempio senza spegnimenti o “interruzioni” nella registrazione- può costituire un mezzo idoneo ad agevolare il riconoscimento di eventuali responsabilità.

Vi sono tuttavia questioni importanti da considerare, per esempio, rispetto alla privacy: sia rispetto agli stessi agenti, che sarebbero filmati in situazioni private (ad esempio, in conversazioni singole con colleghi, o mentre si recano al bagno) sia rispetto alle persone che potrebbero essere filmate in circostanze umilianti (vittime di violenza o stupro). Inoltre, sempre riguardo alla privacy, vi è anche la possibile memorizzazione ed utilizzo delle registrazioni video in una fase successiva. Anche questo aspetto dovrebbe essere attentamente disciplinato per non consentire la conservazione illegale di registrazioni che potrebbero diventare, di fatto, una banca dati di sorveglianza, il che potrebbe violare i diritti alla privacy delle persone filmate – in particolare, ma non solo, se le telecamere sono collegate a programmi di riconoscimento facciale e a banche dati della polizia.

In ogni caso, è importante sottolineare che l’uso di bodycam non contribuirà a migliorare il rispetto dei diritti umani senza il sostegno di un quadro giuridico e operativo che migliori complessivamente l’accountability delle forze di polizia.

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Con il codice identificativo i singoli poliziotti rischiano ripercussioni?

Esiste sempre la possibilità che chiunque possa essere identificato attraverso un badge, un codice o una targhetta e possa essere denunciato per motivi privati o per ritorsione. L’accertamento è compito dell’autorità giudiziaria e non si basa solo sulla comunicazione di un codice alfanumerico. Sebbene non si possa escludere questo rischio, il rischio d’impunità derivante dalla mancanza dei codici identificativi è maggiore. La storia italiana recente ci dice che l’impunità è stata favorita proprio dall’assenza di tati codici.

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Questo codice renderebbe possibile l’identificazione della polizia da parte di criminali?

Non chiediamo l’obbligo di utilizzo dei codici identificativi durante operazioni di contrasto alla criminalità organizzata, ma durante operazioni di ordine pubblico.

Il singolo cittadino può risalire ai dati personali di un agente di polizia in base al codice identificativo?

No, non può.

Un singolo cittadino NON può risalire ai dati personali di un agente di polizia in base al codice identificativo. Solo l’autorità giudiziaria insieme al Corpo di polizia coinvolto possono risalire all’identità dell’agente.

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Perché proprio ora una campagna per l’introduzione dei codici identificativi?

Non è la prima volta che Amnesty International Italia chiede l’utilizzo di codici identificativi ben visibili sulle uniformi degli agenti impegnati in attività di ordine pubblico.

Già nel 2011, in occasione del 10° anniversario del G8 di Genova, l’organizzazione aveva promosso la campagna “Operazione trasparenza. Diritti umani e polizia in Italia” in cui si chiedeva al Governo di esprimere pubblicamente una condanna e delle scuse verso le vittime per le violazioni dei diritti umani perpetrate dalle forze di polizia a Genova nel 2001 e di garantire indagini rapide e accurate e processi equi nei casi in cui c’era stata violazione dei diritti umani da parte delle forze di polizia. Fra le richieste più specifiche formulate a partire dai fatti di Genova, chiedemmo al capo della polizia di prevedere misure di identificazione per gli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico. Da allora sono passati sette anni e in Europa sono già 14 i paesi che hanno adottato i codici identificativi.

Oltre a dare seguito alla richiesta contenuta nella Risoluzione del Parlamento europeo del 12 dicembre 2012 che, tra le altre cose esorta gli stati membri a garantire che il personale di polizia porti un numero identificativo”, dopo l’elezione al Consiglio Onu dei diritti umani per il triennio 2019-2021, l’Italia ha un compito ancora più gravoso di dimostrare, a livello internazionale, il suo impegno nella prevenzione dalle violazioni dei diritti umani e questo impegno pretende anche coerenza interna e accountability e cioè dall’essere trasparente e rendere conto delle proprie azioni. Uno degli impegni che il nostro paese deve prendere, infatti, così come raccomandato dal Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di assemblea pacifica (A/HRC/31/66, 4 febbraio 2016) è di garantire l’accountability rispetto durante le assemblee e le riunioni pacifiche.

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Questa campagna è contro le forze di polizia?

No! Amnesty International non è “contro” la polizia e ha fiducia nelle istituzioni dello stato che hanno il ruolo e il dovere di proteggere e tutelare le persone presenti nel nostro paese. Questa campagna non è contro qualcuno, ma a tutela di tutti. In uno stato dove i diritti umani siano rispettati fino in fondo, le forze di polizia non dovrebbero temere di essere “identificate”.

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Perché attaccate la polizia che ha il compito di difendere tutti i cittadini?

Amnesty International non attacca la polizia e ha fiducia nelle istituzioni dello stato che hanno il ruolo e il dovere di proteggere e tutelare le persone presenti nel nostro paese. Le forze di polizia sono attori chiave nella protezione dei diritti umani in un paese. Perché questo ruolo sia riconosciuto nella sua importanza e svolto nella piena fiducia di tutti, sono essenziali il rispetto dei diritti umani, la prevenzione delle violazioni, il riconoscimento delle eventuali responsabilità ed una complessiva trasparenza sul loro operato. Questa campagna non è contro qualcuno, ma a tutela di tutti. In uno stato dove i diritti umani siano rispettati fino in fondo, le forze di polizia non dovrebbero temere di essere “identificate”.

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Chi controlla la polizia?

Ad esempio l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) https://www.osce.org/it/policing
In Italia al momento non abbiamo un’istituzione indipendente di controllo e monitoraggio del comportamento delle forze di polizia.

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