AMNESTY INTERNATIONAL/CLAUDIO MENNA
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Sgomberi forzati, uso di campi segregati con condizioni abitative al di sotto degli standard e mancato accesso all’edilizia sociale: sono questi i principali punti sulla base dei quali abbiamo presentato il nostro primo ricorso al Comitato dei diritti sociali del Consiglio d’Europa.
“È uno scandalo che in una delle maggiori economie europee del 21° secolo alcune delle persone e famiglie più vulnerabili continuino a vivere in condizioni agghiaccianti e a subire un’endemica discriminazione”, ha dichiarato in una nota ufficiale Lucy Claridge, direttrice dei Contenziosi strategici di Amnesty International.
Il nostro ricorso mette insieme anni di documentazione di violazioni diffuse e sistemiche della Carta sociale europea e di altri trattati internazionali e regionali vincolanti per l’Italia e mostra come, nonostante iniziative come la strategia nazionale d’integrazione adottata nel 2012, la realtà per i rom resta quella di discriminazione ed esclusione sociale.
“Amnesty International ha documentato numerosi casi di sgomberi forzati, nonostante siano assolutamente proibiti dal diritto internazionale, così come di famiglie che vivono in condizioni terribili e segregate dal resto della popolazione. Dopo il recente sgombero del Camping River di Roma, eseguito nel luglio 2018 col pieno appoggio del ministro dell’Interno e che ha lasciato decine di persone senza un tetto, siamo preoccupati per la determinazione dell’attuale governo a smantellare i campi rom senza fornire alcuna opzione abitativa alternativa adeguata“, ha proseguito Claridge.
Le condizioni abitative inadeguate in cui si trovano migliaia di rom comprendono l’assenza di infrastrutture e servizi di base come l’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari, riscaldamento ed energia elettrica. Prive di un titolo di possesso dell’alloggio, persino nei campi autorizzati, queste persone restano a rischio di sgomberi forzati, frequentemente eseguiti.
Le autorità locali continuano a perpetuare la segregazione trasferendo i rom in altri campi, spesso considerati come l’unica soluzione abitativa per famiglie rom che non sono in grado di mantenersi autonomamente. Questa situazione è esacerbata dalla loro esclusione di fatto dall’accesso all’edilizia sociale in molte città.
“Le prove presentate al Comitato dei diritti sociali dimostrano che siamo di fronte a un problema che non solo dura da tempo ma che le autorità italiane non intendono affrontare, nonostante i loro obblighi di diritto internazionale“, ha proseguito Claridge.
Sulla base di denunce simili già due volte, tra cui nel 2010, ai tempi della cosiddetta “emergenza nomadi” proclamata dall’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il Comitato aveva stabilito che l’Italia aveva violato gli obblighi previsti dalla Carta sociale europea.
“Come dimostra il nostro ricorso, i rom sono stati abbandonati da un governo dopo l’altro e il loro futuro si presenta tetro anche sotto l’attuale amministrazione”, ha commentato Claridge.
Secondo studi recenti, in Italia circa 26.000 rom vivono in campi e insediamenti, sia informali che allestiti dalle autorità, così come in centri segregati dove sono a continuo rischio di subire sgomberi forzati. La continua assenza di dati relativi alla composizione e ai bisogni della popolazione rom in Italia è stata ripetutamente criticata da organismi internazionali per i diritti umani, da ultimo nel 2017 da parte del Comitato delle Nazioni Unite sull’eliminazione della discriminazione razziale.
“Gli esperti delle Nazioni Unite hanno recentemente criticato l’Italia perché alimenta intolleranza, razzismo e xenofobia. La pressione internazionale rimane fondamentale per dare voce alla disperazione di queste famiglie e delle singole persone marginalizzate. Ci auguriamo che il Comitato dei diritti sociali esprima una netta condanna nei confronti dell’Italia per non essere venuta incontro ai bisogni della comunità rom. Nel ricorso abbiamo suggerito quali provvedimenti l’Italia dovrebbe prendere: tra questi, il divieto di sgomberi forzati sia nella legge che nella prassi, l’offerta di alternative adeguate alle persone segregate nei campi, la revisione del sistema dell’edilizia sociale per eliminare le norme discriminatorie e l’aumento dell’offerta di case popolari disponibili secondo gli attuali bisogni”, ha concluso Claridge.