Tempo di lettura stimato: 10'
Dallo scoppio della pandemia da Covid-19 nel mese di marzo, le autorità in Venezuela, El Salvador e Paraguay hanno tenuto decine di migliaia di persone in strutture inadeguate alla quarantena gestite dallo stato, senza proteggerle sufficientemente dalle violazioni dei diritti umani. Questo comportamento potrebbe rappresentare un maltrattamento e la detenzione potenzialmente arbitraria.
Lo abbiamo denunciato nel nostro lavoro di ricerca “When protection becomes repression” che documenta come le autorità dei tre paesi abbiano sottoposto migranti, rifugiati, persone che rientravano in patria e comunità a basso reddito a quarantene gestite dallo stato, spesso in condizioni non igieniche e a volte disumane, senza cibo, acqua e assistenza medica adeguati. Tali quarantene potrebbero configurarsi come maltrattamenti e le spaventose condizioni rendere gli spazi luoghi dove le persone sono a rischio di contrarre il Covid-19.
“In molte aree del mondo, le autorità hanno chiesto alle persone di stare a casa o di mettersi volontariamente in quarantena per cercare di diminuire il rischio di contrarre il Covid-19. Quando però gli stati recludono decine di migliaia di persone senza assicurarsi che per ciascuna di esse si tratti di una misura necessaria e proporzionata, le tengono in condizioni spaventose sotto il controllo militare o della polizia e le discriminano o utilizzano la quarantena come punizione, trasformano un intervento di sanità pubblica in una strategia punitiva e repressiva“, ha dichiarato in una nota stampa Erika Guevara-Rosas, direttrice per le Americhe di Amnesty International.
Secondo i dati del governo, prima della fine di agosto le autorità venezuelane avevano sottoposto a quarantena obbligatoria circa 90.000 venezuelani rientrati nel paese dopo aver perso lavoro e casa in paesi confinanti come Colombia e Perù e finiti in centri di quarantena antigienici e a volte disumani, sotto il controllo militare.
El Salvador e Paraguay avevano ampiamente chiuso i propri centri di quarantena gestiti dallo stato o li avevano ridotti entro la fine di agosto. Il governo del presidente Bukele aveva sottoposto a quarantena oltre 16.000 persone, tra le quali quelle accusate di aver violato il lockdown nazionale obbligatorio, le persone di rientro da oltreoceano o coloro sospettati di essere stati a contatto con persone risultate positive al Covid-19. Verso la fine di giugno, anche in Paraguay le autorità avevano sottoposto a quarantena obbligatoria circa 8000 persone, principalmente paraguaiani che avevano fatto ritorno nel proprio paese dopo aver perso il lavoro nel settore informale nel vicino Brasile, dove era in corso il lockdown per il Covid-19.
I nostri ricercatori hanno esaminato e verificato decine di video disponibili sui social o inviati direttamente all’organizzazione, perlopiù girati dalle persone che si trovavano nei centri di quarantena obbligatoria, come depositi, stadi e altre strutture. I filmati descrivono le condizioni in cui queste persone venivano tenute. Sono state anche condotte 14 interviste telefoniche, sono state esaminate decine di normative, misure e protocolli di recente approvazione relativi ai lockdown e all’attuazione delle quarantene obbligatorie, così come atti di tribunali e relazioni di osservatori indipendenti e giornalisti.
“Invece di offrire delle condizioni appropriate e proteggere dalle violazioni dei diritti umani, le autorità di Venezuela ed El Salvador, in particolare, hanno trasformato un intervento di sanità pubblica in una risposta punitiva, con un impatto esagerato sulle comunità a basso reddito, rifugiati e migranti che fanno rientro nel proprio paese di origine“, ha sottolineato Erika Guevara Rosas.
In base alle informazioni che abbiamo ricevuto, in Venezuela, El Salvador e Paraguay spesso le persone sono state sottoposte a quarantena per ben oltre i 14 giorni attualmente raccomandati dall’Oms, a volte per più di un mese. Le persone sottoposte a quarantena non hanno avuto accesso sufficiente a informazioni in merito alla durata della loro quarantena o sui criteri scientifici che sarebbero stati utilizzati per stabilire il loro eventuale sollevamento dall’obbligo di quarantena o isolamento. Ciò rappresenta una violazione del loro diritto all’informazione e dell’obbligo secondo il diritto umanitario internazionale che ogni privazione della libertà, anche se al fine di proteggere la salute pubblica, deve essere stabilita per legge e deve essere necessaria, proporzionata e limitata nel tempo.
Le autorità dovrebbero tenere le persone sotto custodia dello stato solo quando misure alternative e meno invasive come quelle di quarantena volontaria e le campagne educative non hanno successo. In caso di ricorso alla quarantena obbligatoria, è necessario offrire condizioni adeguate, proteggere dalle violazioni dei diritti umani e assicurare che le quarantene non siano utilizzate in maniera discriminatoria per colpire determinate comunità.
“Sebbene i governi abbiano dovuto rispondere velocemente a una pandemia senza precedenti, Amnesty International ha riscontrato evidenze che l’attuazione di quarantene obbligatorie gestite dallo stato hanno unito arbitrarietà e controllo delle forze di polizia e militari“, ha commentato Erika Guevara-Rosas.
Ad esempio, il ministro di Giustizia e sicurezza di El Salvador ha avvertito ad aprile che coloro che avessero violato il lockdown nazionale sarebbero stati messi in un centro di contenimento, “lontani dalle proprie famiglie ed esposti al rischio anche di contrarre il virus“, un indizio che la quarantena veniva vista come una punizione e che le autorità erano pienamente consapevoli che i centri non rispettavano gli standard adeguati per la prevenzione del contagio.
“Vorrei dimenticare tutto questo, ma non ci riesco“, ha detto Ana Cristina ad Amnesty International dopo aver descritto i suoi 40 giorni trascorsi a dormire su un materasso sporco su un pavimento in una struttura per la quarantena di El Salvador. Vi era stata portata verso la metà di aprile dalla polizia che l’aveva accusata di aver violato il lockdown nazionale quando era uscita per comprare generi alimentari e medicinali, attività ritenuta essenziale e consentita al momento del suo arresto.
L’esempio più inquietante della campagna di stigma e discriminazione patrocinata dallo stato viene dal Venezuela. Negli ultimi mesi, mentre si imponeva a tutti i venezuelani di ritorno nel paese di stare nelle strutture per la quarantena obbligatoria, i massimi esponenti del governo del presidente Nicolás Maduro descrivevano contemporaneamente i rifugiati venezuelani di ritorno dalla Colombia come “armi biologiche” inviate per infettare le persone che vivono in Venezuela. I massimi funzionari hanno anche definito “traditori” le persone che facevano ritorno.
Questo discorso, basato sulle presunte opinioni politiche dei venezuelani di ritorno e su un deliberato collegamento con il Covid-19, insieme alla loro collocazione automatica in quarantena obbligatoria gestita dallo stato, fa temere che la privazione della loro libertà sia stata discriminatoria e arbitraria.
Chiediamo ai governi che sottopongono le persone a quarantena gestita dallo stato per fini di salute pubblica di dare immediatamente accesso ai centri alle organizzazioni umanitarie e agli osservatori indipendenti dei diritti umani, per permettere loro di monitorarne le condizioni, offrire protezione contro eventuali maltrattamenti e fornire con urgenza acqua, cibo e altri beni necessari al rispetto degli obblighi internazionali sui diritti umani e delle linee guida dell’Oms sulle regole della quarantena.
Le autorità devono anche evitare che le persone vengano trattenute a tempo indeterminato. Devono assicurare dei limiti temporali per le quarantene e l’isolamento obbligatori affinché si limitino al periodo necessario, come comunicato dalle prove scientifiche e dalle buone prassi in evoluzione. Inoltre, devono essere date chiare informazioni sulla lunghezza del periodo e sulle modalità in cui le persone verranno sottoposte a quarantena.
Mentre prosegue la pandemia da Covid-19 e i paesi delle Americhe si trovano dinanzi alla possibilità di nuovi lockdown, questa prima ricerca sulle quarantene gestite dallo stato mette in evidenza la necessità che le autorità evitino di ricorrere ad approcci coercitivi, punitivi e discriminatori nell’attuazione di misure sanitarie pubbliche.
“Sappiamo da altre pandemie che un approccio di tipo punitivo non protegge le comunità e associare una determinata comunità a un virus porta solo a stigma e discriminazione. Al contrario, politiche basate su diritti umani che offrono la possibilità alle persone di proteggere la propria salute attraverso le giuste informazioni e dando loro risorse e il sostegno necessari per il rispetto delle misure volontarie si sono dimostrate storicamente più efficaci“, ha concluso Erika Guevara-Rosas.