Decreto rilancio: illogico limitare la regolarizzazione dei migranti in Italia

21 Maggio 2020

Tempo di lettura stimato: 7'

Commento di Elisa di Pieri, ricercatrice di Amnesty International Italia

In Italia, decine di migliaia di lavoratori migranti vengono sfruttati da anni. Molti di loro ricevono una paga sì e no di 30 euro al giorno e sono costretti a vivere in alloggi precari e insalubri. Le autorità nazionali hanno sempre chiuso gli occhi di fronte a questa situazione.

La pandemia da Covid-19 le ha invece obbligate a smettere di far finta che queste persone non esistano e a riconoscere, al contrario, che esse danno un contributo essenziale all’economia del paese.

Le nuove misure sulla regolarizzazione del lavoro sono contenute nell’articolo 103 del cosiddetto “Decreto rilancio“. Chi ne può beneficiare? Gli stranieri irregolari potranno avere un permesso di soggiorno e un contratto di lavoro. Gli italiani nel cosiddetto “lavoro nero” a loro volta potranno regolarizzare la loro condizione lavorativa.

Gli obiettivi dichiarati dal Governo nel pianificare queste misure di regolarizzazione sono quelli di offrire livelli adeguati di protezione rispetto alla salute individuale e collettiva nel contesto dell’attuale emergenza sanitaria, e di favorire l’emersione di rapporti di lavoro non dichiarati.

Come dovrebbe funzionare concretamente il processo di regolarizzazione? In due modi, con una serie di condizioni e limitazioni:

  1. La regolarizzazione del rapporto di lavoro, in modo che il datore di lavoro possa chiedere la stipula di un contratto di lavoro o dichiarare che esiste già un contratto di lavoro con un lavoratore italiano o straniero, a condizione che quest’ultimo sia stato presente in Italia prima dell’8 marzo 2020.
  2. La regolarizzazione della presenza in Italia, in modo che gli stranieri il cui permesso di soggiorno era scaduto il 31 ottobre 2019 potranno chiedere altri sei mesi di permesso temporaneo. Soprattutto, se il loro impiego cesserà, potranno cercare un nuovo lavoro con lo stesso permesso di soggiorno.

Le misure di regolarizzazione sono limitate all’impiego nei settori dell’agricoltura, dell’allevamento, della pesca e del lavoro domestico. I cittadini stranieri che intendono rinnovare un permesso di soggiorno scaduto devono quindi dimostrare di aver lavorato in questi settori.

Verrà applicato il salario minimo e se il rapporto di lavoro regolarizzato cesserà, i lavoratori stranieri potranno cercare un altro impiego. I datori di lavoro pagheranno 400 euro per ogni lavoratore di cui dichiareranno l’esistenza di un contratto. I lavoratori stranieri pagheranno 160 euro per l’estensione del loro permesso di soggiorno.

Al fine di garantire le condizioni igienico-sanitarie necessarie per prevenire il contagio da Covid-19, le autorità nazionali e locali potranno adottare misure urgenti per migliorare la salute e il benessere dei lavoratori rispetto alla loro situazione abitativa e per combattere lo sfruttamento del lavoro.

Tutto questo è sufficiente per raggiungere gli obiettivi della regolarizzazione, ossia garantire livelli adeguati di protezione della salute individuale e collettiva rispetto al Covid-19? Soprattutto, è sufficiente ad assicurare che durante la pandemia nessuno resti indietro e non sia in grado di proteggersi dal contagio ?

Evidentemente no. La risposta alla pandemia non dovrebbe escludere nessuno. Limitare l’offerta della regolarizzazione ai lavoratori di determinati settori è illogico e ingiusto, perché subordina la dignità e i diritti delle persone alle necessità economiche del paese.

La regolarizzazione ha solo iniziato ad affrontare i problemi che hanno costretto decine di migliaia di persone a vivere in modo tanto precario per anni.

Non crea percorsi legali e sicuri per l’immigrazione regolare né affronta i problemi strutturali del mercato del lavoro che favoriscono lo sfruttamento persino dei lavoratori migranti in regola.

Dunque, queste nuove misure non sono ancor abbastanza. Certo, rappresentano sicuramente un cambio di direzione. Apprezziamo le dichiarazioni con cui la ministra dell’Interno Lamorgese ha detto che è stata accesa la luce su migliaia di rapporti di lavoro e di lavoratori prima ignoti alle autorità.

Dopo anni di fallimenti e di diniego dei diritti, lo stato italiano ha ammesso che questi lavoratori esistono, hanno diritti e dev’essere loro restituita la dignità. Molti potrebbero riavere il permesso di soggiorno di cui sono stati privati a seguito della legge 132/2018, c.d. Decreto sicurezza e immigrazione.

Cosa accadrà d’ora in avanti sarà decisivo, e il Parlamento deve prendere la parola e auspichiamo che lo faccia con quell’apertura e quel senso d’inclusione che le attuali circostanze richiedono.

Le raccomandazioni fatte da Amnesty International nel 2012 per la regolarizzazione dei migranti sono tuttora valide:

  • la procedura di regolarizzazione dev’essere veloce, semplice, prevedibile e trasparente;
  • i migranti devono poter avviare la procedura di regolarizzazione in modo autonomo, ricevere tutti i documenti e le informazioni rilevanti direttamente dalle autorità e, una volta soddisfatti tutti i requisiti, completare la procedura senza bisogno della collaborazione del datore di lavoro;
  • i lavoratori migranti dovranno poter avere la possibilità di cambiare legalmente datore di lavoro durante il periodo di tempo necessario per completare la procedura.

Solo queste garanzie potranno far sì che le persone che hanno diritto a un permesso di soggiorno non siano sottoposte a ricatti.