Detenzione in isolamento e tortura dei palestinesi di Gaza

18 Luglio 2024

Archivio privato

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Le autorità israeliane devono porre fine alla detenzione senza contatti col mondo esterno, a tempo indeterminato, senza accusa né processo, di palestinesi di Gaza ai sensi della Legge sui combattenti illegali, che viola clamorosamente il diritto internazionale.

Amnesty International ha documentato i casi di 27 palestinesi che sono stati detenuti anche per quattro mesi e mezzo senza poter incontrare un avvocato e i familiari. I detenuti hanno riferito che durante la loro prigionia senza contatti col mondo esterno, in alcuni casi equiparabile a sparizione forzata, funzionari dei servizi di sicurezza e della polizia di Israele li hanno sottoposti a torture e ad altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti.

La Legge sui combattenti illegali conferisce all’esercito israeliano ampi poteri di arrestare chiunque, proveniente da Gaza, sia sospettato di essere coinvolto in attività ostili contro Israele o di porre una minaccia alla sicurezza dello stato, per periodi di tempo rinnovabili all’infinito senza l’obbligo di fornire prove o circostanziare le accuse.

“Il diritto internazionale umanitario consente la detenzione di singole persone per imperativi motivi di sicurezza in contesti di occupazione, ma devono esserci garanzie per impedire la detenzione arbitraria e senza limiti di tempo così come i maltrattamenti e la tortura. La Legge sui combattenti illegali non prevede alcuna di queste garanzie, consente la tortura e, in alcune circostanze, istituzionalizza le sparizioni forzate”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.

“La nostra documentazione spiega come le autorità israeliane stiano usando la Legge sui combattenti illegali per rastrellare civili palestinesi di Gaza e gettarli in un virtuale buco nero per prolungati periodi di tempo, senza produrre alcuna prova che essi costituiscano una minaccia alla sicurezza e in assenza delle minime condizioni del giusto processo. Le autorità israeliane devono annullare immediatamente la Legge sui combattenti illegali e rimettere in libertà le persone detenute arbitrariamente in base a tale normativa”, ha aggiunto Callamard.

Amnesty International chiede che tutti i prigionieri detenuti ai sensi della Legge sui combattenti illegali, compresi quelli sospettati di far parte di gruppi armati, siano trattati umanamente e possano ricevere visite degli avvocati e degli organi internazionali di controllo, come il Comitato internazionale della Croce rossa. Coloro che sono sospettati di crimini di diritto internazionale dovranno essere sottoposti a procedimenti rispettosi degli standard del giusto processo, mentre tutti i civili detenuti arbitrariamente senza accusa né processo dovranno essere immediatamente scarcerati.

Il Servizio israeliano delle prigioni ha confermato all’organizzazione non governativa israeliana Hamoked che, alla data del 1° luglio 2024, 1402 palestinesi erano detenuti ai sensi della Legge sui combattenti illegali. Questa cifra esclude coloro che sono trattenuti per il periodo iniziale di 45 giorni senza ordinanza formale.

Tra febbraio e giugno del 2024 Amnesty International ha documentato 31 casi di detenzione senza contatti col mondo esterno riscontrando prove credibili di un ampio uso della tortura e dei maltrattamenti. Ha condotto 27 interviste con ex detenuti, tutti civili arrestati nella Striscia di Gaza occupata. Ha anche parlato con quattro familiari di civili detenuti da oltre sette mesi in assenza di informazioni da parte delle autorità israeliane e con due avvocati che recentemente hanno potuto incontrare detenuti.

L’esercito israeliano ha arrestato i detenuti in varie località della Striscia di Gaza, tra le quali Gaza City, Jabalia, Beit Lahiya e Khan Younis. I detenuti sono stati presi all’interno di scuole adibite a rifugi per sfollati interni, nel corso di irruzioni in abitazioni e ospedali e a posti di blocco. Sono poi stati trasferiti in Israele e trattenuti per periodi di tempo compresi tra due settimane e 140 giorni in centri di detenzione gestiti dall’esercito o dal Servizio israeliano delle prigioni.

I detenuti comprendevano medici arrestati negli ospedali per aver rifiutato di abbandonare i loro pazienti, madri separate dai figli mentre cercavano di fuggire, attraverso i cosiddetti “corridoi sicuri”, da nord a sud della Striscia di Gaza, difensori dei diritti umani, operatori delle Nazioni Unite, giornalisti e ulteriori civili.

Tutti gli ex detenuti intervistati da Amnesty International hanno denunciato di essere stati sottoposti a maltrattamenti e torture.

I maltrattamenti e le torture, compresa la violenza sessuale, sono crimini di guerra. Le denunce che abbiamo ricevuto devono essere oggetto di indagini indipendenti da parte dell’ufficio della procura della Corte penale internazionale. Si tratta di un passaggio fondamentale, data la notoria assenza di indagini credibili da parte della magistratura israeliana sulle denunce di tortura da parte di detenuti palestinesi. Le autorità israeliane devono inoltre garantire agli organi indipendenti di controllo l’accesso immediato e privo di restrizioni in tutti i luoghi di detenzione: un accesso negato dal 7 ottobre 2023”, ha sottolineato Callamard.

 

Arresti di palestinesi di Gaza ai sensi della Legge sui combattenti illegali

La Legge sui combattenti illegali, entrata in vigore nel 2002, è stata applicata per la prima volta da cinque anni a seguito dei terribili attacchi perpetrati da Hamas e da altri gruppi armati palestinesi il 7 ottobre nel sud d’Israele.

Inizialmente, l’esercito israeliano aveva chiesto l’applicazione della normativa per arrestare persone sospettate di aver preso parte agli attacchi del 7 ottobre ma in breve tempo ne ha ampliato l’uso per effettuare arresti di massa di palestinesi di Gaza senza accusa né processo. L’assenza di procedure sul giusto processo significa che tanto i civili quanto coloro che sono direttamente coinvolti in atti ostili vengono arrestati ai sensi della Legge sui combattenti illegali.

Per i primi 45 giorni all’esercito non è richiesto di emettere un’ordinanza formale di detenzione. La Legge sui combattenti illegali nega ai detenuti l’accesso a un avvocato fino a 90 giorni, rendendo dunque norma la detenzione senza contatti col mondo esterno, condizione che può portare a maltrattamenti e tortura.

I detenuti devono essere condotti di fronte a un giudice entro 75 giorni dall’arresto affinché il loro caso sia esaminato, ma si tratta di procedure vergognose in cui ci si limita a mettere un timbro sull’ordinanza di detenzione.

La Legge sui combattenti stranieri non stabilisce un periodo massimo di durata della detenzione e consente ai servizi di sicurezza di trattenere i detenuti a tempo indeterminato sulla base di ordinanze rinnovabili di detenzione.

 

Gli emendamenti alla Legge favoriscono la detenzione senza contatti col mondo esterno

La Legge sui combattenti illegali era stata introdotta nel 2002 per consentire la detenzione prolungata, senza accusa né processo, di due cittadini libanesi che non erano sotto la giurisdizione israeliana.

Dal suo “disimpegno” unilaterale dalla Striscia di Gaza occupata, risalente al 2005, Israele ha usato tale Legge per trattenere in stato di detenzione a tempo illimitato persone di Gaza ritenute una minaccia per la sicurezza nazionale.

Nel dicembre 2023 le autorità israeliane hanno introdotto un emendamento temporaneo che estende il periodo in cui l’esercito israeliano può trattenere senza un’ordinanza di detenzione i palestinesi arrestati dalle iniziali 96 ore (aumentabili fino a sette giorni) a 45 giorni. L’emendamento, inoltre, aumenta da 14 a 75 giorni il periodo di tempo in cui una persona può essere detenuta senza essere portata di fronte a un giudice per l’esame dell’ordinanza di detenzione e da 21 giorni fino a sei mesi, in seguito ridotti a tre mesi, quello in cui non può incontrare un avvocato.

Le prove su cui si basa la detenzione non sono rese note ai detenuti né ai loro avvocati. Ciò significa che molti dei detenuti trascorrono mesi senza avere la minima idea dei motivi della loro detenzione, in violazione del diritto internazionale, completamente isolati dalle loro famiglie e dai loro cari e nell’impossibilità di contestare l’ordinanza di detenzione.

Due ex detenuti hanno raccontato ad Amnesty International di essere stati portati due volte davanti a un giudice senza poter parlare o fare domande. Sono stati semplicemente informati che la loro detenzione era stata rinnovata per altri 45 giorni. Non sono mai stati informati circa le basi legali del loro arresto o le prove che lo avessero giustificato.

A seguito di un ricorso alla Corte suprema israeliana da parte di Hamoked per conto di un radiologo di Khan Younis in carcere, nel maggio 2024 lo stato israeliano ha informato i giudici che gli avvocati possono fare richiesta d’incontrare i loro clienti di Gaza trascorsi 90 giorni dalla detenzione. Da allora, è stato accolto un numero molto esiguo di richieste.

Oltre a essere privati dei contatti coi loro legali, i detenuti vengono anche isolati dalle famiglie. Queste hanno descritto ad Amnesty International il senso di agonia derivante dall’essere separate dai loro cari e dal vivere nella costante paura di scoprire che sono morti in carcere.

Alaa Muhanna, il cui marito Ahmad, direttore dell’ospedale al-Awda, è stato arrestato il 17 dicembre 2023 nel corso di un’irruzione nella struttura sanitaria, ha riferito ad Amnesty International che le uniche scarse informazioni le ha ricevute da ex detenuti:

“Rassicuro i bambini che sta bene, che tornerà presto, ma vivere in questa guerra, tra i costanti sfollamenti e bombardamenti e dover combattere per sapere dove si trovi tuo marito e non sentire la sua voce, è una guerra nella guerra”, ha detto Alaa Muhanna.

Un ex detenuto, operatore sanitario, ha detto ad Amnesty International che il non sapere se i suoi familiari nella Striscia di Gaza fossero vivi o morti è stato “persino peggio della tortura e della fame”.

 

Maltrattamenti e torture

I lunghi periodi di detenzione senza contatti col mondo esterno facilitano la tortura impedendo ogni controllo sulle condizioni fisiche dei detenuti e le comunicazioni con loro.

I 27 ex detenuti intervistati da Amnesty International hanno descritto in modo coerente di essere stati sottoposti almeno una volta alla tortura. Rappresentanti dell’organizzazione hanno osservato segni di tortura su almeno otto ex detenuti intervistati personalmente e hanno anche esaminato referti medici riguardanti due ex detenuti, che hanno corroborato le denunce di tortura.

Il Crisis Evidence Lab di Amnesty International ha verificato e geolocalizzato almeno cinque video di arresti di massa, avvenuti nel nord della Striscia di Gaza e a Khan Younis, di detenuti filmati mentre venivano obbligati a denudarsi e lasciati in mutande. L’obbligo di rimanere nudi in pubblico per lunghi periodi di tempo viola il divieto di maltrattamenti e torture ed equivale a violenza sessuale.

I palestinesi trasferiti al famigerato centro di detenzione militare di Sde Teiman, nei pressi di Beersheba, nel sud d’Israele, hanno dichiarato di essere rimasti bendati e ammanettati per tutta la durata della loro detenzione, di essere stati costretti a rimanere per molte ore in posizioni che procurano dolore senza poter parlare tra di loro o alzare la testa. Questi racconti sono coerenti con le conclusioni di altre organizzazioni per i diritti umani e di organismi delle Nazioni Unite così come di testimonianze di whistleblower e di ex detenuti.

Un ex detenuto tornato in libertà nel giugno 2024 dopo 27 giorni trascorsi a Sde Teiman insieme ad altre 120 persone ha raccontato ad Amnesty International che i detenuti venivano picchiati dai soldati o assaliti dai cani solo per aver parlato con un altro prigioniero, sollevato la testa o cambiato posizione.

Said Maarouf, un pediatra di 57 anni arrestato nel dicembre 2023 dai soldati israeliani durante un’incursione nell’ospedale battista di al-Ahli di Gaza City, detenuto per 45 giorni a Sde Teiman, ha raccontato ad Amnesty International di essere stato tenuto bendato e ammanettato per tutto il tempo, ripetutamente picchiato, ridotto alla fame e costretto a stare inginocchiato per lunghi periodi di tempo.

Il 1° gennaio 2024 l’esercito israeliano ha arrestato un ragazzo di 14 anni nella sua abitazione di Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza. È stato detenuto per 24 giorni a Sde Teiman insieme ad altri 100 detenuti adulti. Ha riferito ad Amnesty International che gli addetti agli interrogatori lo hanno preso a calci e a pugni sul collo e alla testa e lo hanno ripetutamente bruciato con sigarette. Quando Amnesty International l’ha intervistato, il 3 febbraio, in una scuola di Gaza per sfollati interni, i segni delle bruciature e di altre ferite erano ancora visibili. Durante la detenzione, il ragazzo non ha potuto telefonare ai suoi familiari né vedere un avvocato ed è stato tenuto bendato e ammanettato.

Il 5 giugno, a seguito di una petizione delle organizzazioni per i diritti umani israeliane che ne chiedevano la chiusura, le autorità israeliane hanno annunciato di voler migliorare le condizioni detentive a Sde Teiman e di ridurre il numero dei detenuti. Un mese dopo, pare cambiato poco.

Il 19 giugno l’avvocato Khaled Mahaina è riuscito, cosa assai rara, a entrare a Sde Teiman. Ha riferito ad Amnesty International che il suo cliente, il giornalista Mohammed Arab, detenuto da oltre 100 giorni senza sapere perché, gli aveva riferito che era detenuto insieme ad almeno altre 100 persone, in condizioni inumane, e che nelle ultime due settimane non c’era stato alcun miglioramento.

Il 3 giugno l’esercito israeliano ha confermato al quotidiano “Haaretz” che erano in corso indagini sulla morte di 40 detenuti, 36 dei quali deceduti o uccisi a Sde Teiman. Non c’è stata finora alcuna incriminazione. Quella cifra non comprende i detenuti deceduti o uccisi nelle strutture penitenziarie dirette dal Servizio israeliano delle prigioni.

 

Le detenute

Tra le persone tornate in libertà intervistate da Amnesty International ci sono anche cinque ex detenute rimaste senza contatti col mondo esterno per oltre 50 giorni. Inizialmente, sono state trattenute nel centro di detenzione militare per sole donne di Anatot, situato in un insediamento illegale nei pressi di Gerusalemme, nella Cisgiordania occupata. In seguito, sono state portate nella prigione femminile di Damon, nel nord d’Israele, gestita dal Servizio israeliano delle prigioni. Nessuna di loro è stata informata circa le basi legali dell’arresto o portata di fronte a un giudice. Hanno denunciato che durante i trasferimenti venivano picchiate.

Una di loro, arrestata il 6 dicembre 2023 nella sua abitazione nella Striscia di Gaza, ha raccontato di essere stata separata dai suoi due figli, di quattro anni e nove mesi, e detenuta inizialmente insieme a centinaia di uomini. I soldati israeliani le dicevano che faceva parte di Hamas, la picchiavano e la obbligavano a essere fotografata senza il velo. La donna ha anche descritto il tormento della finta esecuzione del marito:

“Il terzo giorno di detenzione ci hanno gettato in una fossa e hanno iniziato a riempirla di sabbia. Un soldato ha sparato due colpi in aria e mi ha detto che avevano ucciso mio marito. Sono scoppiata a piangere e l’ho supplicato di uccidere anche me, per porre fine a quell’incubo”.

“Per tutto il tempo sono stata terrorizzata e spaventata per i miei bambini”, ha raccontato ad Amnesty International un’altra ex detenuta, dato che le sue richieste di sapere qualcosa sui suoi figli erano ignorate dagli agenti penitenziari che ridevano e la prendevano in giro. Dopo tre settimane, trascorse nella prigione di Damon, le è stato detto che sarebbe stata scarcerata. È stata bendata, ammanettata mani e piedi e portata in un’altra località. Qui, anziché essere scarcerata, è stata violentemente denudata dagli agenti penitenziari, che hanno usato un coltello per strapparle i vestiti. È poi stata trasferita nuovamente ad Anatot, dove è rimasta per altri 18 giorni.

“Ti faremo quello che Hamas ha fatto a noi, ti rapiremo e ti uccideremo”: così, ha raccontato ad Amnesty International, la minacciavano gli agenti penitenziari. Non ha mai saputo perché era stata arrestata.

Questa donna e le altre ex detenute intervistate da Amnesty International sono state scaricate nei pressi del valico di confine di Kerem Shalom / Karem Abu Salem e hanno dovuto camminare per oltre 30 minuti prima di raggiungere un centro di raccolta del Comitato internazionale della Croce rossa per gli ex detenuti. La maggior parte di loro non è più tornata in possesso degli effetti personali come denaro, gioielli e telefonini.

 

Ulteriori informazioni

Amnesty International aveva già espresso forti preoccupazioni sull’uso della Legge sui combattenti illegali e sulle conseguenti violazioni del diritto internazionale in un rapporto del 2012 intitolato Affamati di giustizia: palestinesi detenuti senza processo da parte di Israele.

Come descritto in quel rapporto, Israele aveva precedentemente derogato ai suoi obblighi ai sensi del Patto internazionale sui diritti civili affermando che la nazione era in stato d’emergenza dichiarato sin dalla sua formazione, una deroga che continua ancora oggi.

Tuttavia, il diritto internazionale umanitario, che non è soggetto a deroghe, stabilisce che il diritto a un processo equo dev’essere sempre rispettato. In più, l’articolo 4.2 del Patto internazionale sui diritti civili e politici vieta deroghe a determinati diritti in esso contenuti persino durante uno stato d’emergenza: tra questi diritti c’è quello, previsto dall’articolo 7, a non essere sottoposti a torture o altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti. Di conseguenza la detenzione senza contatti col mondo esterno, la mancanza di un processo equo, la tortura e i maltrattamenti violano il diritto internazionale anche durante uno stato d’emergenza.

Al di là della Legge sui combattenti illegali, le autorità israeliane vantano una lunga storia di detenzione di palestinesi senza accusa né processo attraverso il sistematico ricorso alla detenzione amministrativa, una delle principali caratteristiche del sistema israeliano di apartheid.

Secondo l’organizzazione israeliana per i diritti umani Hamoked, alla data del 1° luglio 2024 nelle prigioni israeliane c’erano 3379 persone in detenzione amministrativa, gran parte delle quali sono palestinesi della Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme Est.