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Repubblica federale democratica d’Etiopia

Le autorità hanno represso i diritti alla libertà d’espressione e riunione pacifica, sottoponendo tra l’altro a intimidazioni i difensori dei diritti umani e altre persone, e bloccando l’accesso a Internet nella regione di Amhara. Attivisti, difensori dei diritti umani, giornalisti e artisti sono stati arrestati e detenuti arbitrariamente e alcune persone sono fuggite dal paese a seguito dell’imposizione dello stato d’emergenza, utilizzato per colpire dissidenti politici pacifici. Sono emersi casi documentati di crimini di diritto internazionale, compresi crimini di guerra, nel conflitto armato nella regione di Amhara; la Forza di difesa nazionale etiope (Ethiopian National Defence Forze – Endf) ha compiuto uccisioni illegali, comprese esecuzioni extragiudiziali. Il primo ministro e il suo governo hanno continuato a negare tali atti e non sono stati compiuti passi significativi per garantire la giustizia. Sono aumentati i casi di violenza sessuale contro donne e ragazze; gli episodi di violenza sessuale legata al conflitto sono continuati.

 

LIBERTÀ D’ESPRESSIONE, RIUNIONE E ASSOCIAZIONE

Attivisti, difensori dei diritti umani, giornalisti e artisti hanno denunciato un aumento delle vessazioni e delle intimidazioni da parte delle autorità. Lo stato d’emergenza nazionale, dichiarato ad agosto 2023 durante lo scoppio del conflitto armato nella regione di Amhara tra le milizie Fano e i membri della Endf, è stato rinnovato per quattro mesi a febbraio. È scaduto il 2 giugno. Conferiva ampi poteri alle forze di sicurezza ed è stato utilizzato dalle autorità per reprimere il dissenso e imbavagliare l’informazione.

Durante questo periodo, persone coinvolte in forme di pacifico dissenso in varie parti del paese sono state arrestate arbitrariamente, spesso al di fuori delle procedure dovute (v. sotto, Arresti e detenzione arbitrari). Ciò ha costretto decine di difensori dei diritti umani e giornalisti a fuggire dal paese. A novembre e dicembre, le autorità hanno sospeso arbitrariamente cinque importanti organizzazioni per i diritti umani. Il Centro per l’avanzamento dei diritti e della democrazia, Avvocati per i diritti umani e l’Associazione per i diritti umani in Etiopia (Association for Human Rights in Ethiopia’s – Ahre) sono stati sospesi a novembre, il Consiglio etiope per i diritti umani e il Centro etiope per i difensori dei diritti umani il mese successivo. A dicembre, la sospensione dell’Ahre è stata revocata. Sospensioni di questo tipo dimostrano un’ulteriore repressione dello spazio civico nel contesto dei conflitti armati in corso nel paese.

Persone impegnate come difensori dei diritti umani che si erano recate all’estero per collaborare con gli organismi internazionali per i diritti umani hanno dichiarato di essere state vessate e intimidite dalle autorità al loro rientro. Alcune hanno anche riferito che i funzionari del governo etiope, compresi diplomatici, le avevano intimidite e vessate nei paesi in cui avevano viaggiato.

Le autorità hanno bloccato l’accesso a Internet nella regione di Amhara, revocando le restrizioni a luglio, quasi un anno dopo la loro imposizione. Anche le comunicazioni telefoniche sono state spesso limitate.

Ad agosto la polizia ha vietato ai difensori dei diritti delle donne di tenere una veglia a lume di candela nella capitale, Addis Abeba, in onore di Heaven Awot, una vittima di violenza sessuale (v. sotto, Violenza di genere).

 

ARRESTI E DETENZIONI ARBITRARI

Le autorità hanno arrestato centinaia di persone in tutta la nazione durante lo stato d’emergenza che aveva concesso loro eccessivi poteri di arresto. Hanno violato le garanzie costituzionali, compreso l’obbligo di rendere pubblici entro 30 giorni i nomi di chiunque sia stato arrestato e i motivi del fermo, attraverso la commissione d’inchiesta sullo stato d’emergenza (un comitato di vigilanza). Le persone sono state invece ripetutamente arrestate senza mandato e ai detenuti sono stati negati i loro diritti, tra cui l’assistenza legale e l’accesso a un giudice.

A settembre, Beley Manay, caporedattore della pubblicazione online Ethio News, è fuggito dal paese tre mesi dopo essere stato liberato dal famigerato campo militare di Awash Arba, dove era stato tenuto in condizioni terribili. Arrestato a novembre 2023, non era mai stato portato davanti a un giudice e gli era stata negata l’assistenza medica o la rappresentanza legale; spesso, durante la detenzione, gli erano state negate anche le visite dei familiari.

Nella regione di Amhara, l’esercito federale e le forze di sicurezza hanno lanciato una nuova campagna di arresti di massa che ha preso il via il 28 settembre. Nell’arco di quattro giorni, migliaia di civili, comprese persone del mondo accademico, sono state arrestate senza mandato d’arresto o di perquisizione. Le autorità hanno ampiamente ignorato l’obbligo di portare i detenuti davanti a un giudice entro le 48 ore prescritte dalla legislazione etiope.

 

ATTACCHI E UCCISIONI ILLEGALI

Sono pervenute continue segnalazioni di violazioni del diritto internazionale umanitario e delle norme sui diritti umani nel contesto del conflitto armato in corso nella regione di Amhara. L’entità di tali violazioni, comprendenti crimini di diritto internazionale, era probabilmente di gran lunga superiore a quella indicata dai numeri che sono stati documentati pubblicamente durante l’anno. Le prolungate restrizioni applicate a Internet e alle comunicazioni telefoniche, unitamente al rifiuto del governo di autorizzare l’accesso nel paese alle organizzazioni per i diritti umani, hanno limitato la capacità di denunciare crimini e altre violazioni. Inoltre, la minaccia di rappresaglie per chi ne avesse parlato apertamente avrebbe dissuaso i civili dal condividere le loro testimonianze o i difensori dei diritti umani e i giornalisti dall’occuparsi di queste tematiche.

Nella regione sono state documentate uccisioni illegali, comprese esecuzioni extragiudiziali, di persone civili. Secondo i testimoni, in seguito agli scontri armati verificatisi tra l’Endf e le milizie Fano nella città di Merawi il 29 gennaio, agenti dell’Endf hanno rastrellato gli uomini civili casa per casa, nei negozi e per strada, e li hanno freddati a colpi d’arma da fuoco a decine. I residenti hanno affermato che le uccisioni erano cominciate dopo che i combattenti Fano si erano ritirati da Merawi. Testimoni oculari hanno raccontato di avere trovato i corpi dei loro cari per strada il giorno seguente. Tre persone hanno affermato che i soldati dell’Endf avevano anche bruciato 11 veicoli a tre ruote, noti come bajajs, e una motocicletta.

La commissione d’inchiesta sullo stato di emergenza ha annunciato a febbraio la sua intenzione di indagare sulle uccisioni ma, nonostante le continue e allarmanti segnalazioni di violazioni dei diritti umani, a fine anno non aveva comunicato pubblicamente altri aggiornamenti. Così come non erano state ancora annunciate indagini da parte delle autorità sulle azioni compiute dall’esercito, comprendenti potenziali crimini di guerra.

 

IMPUNITÀ

Le autorità non hanno compiuto sforzi significativi per indagare e chiamare in giudizio i perpetratori di crimini di diritto internazionale, negando alle vittime i loro diritti alla verità e alla giustizia. Hanno continuato a negare i crimini documentati dagli organismi per i diritti umani, comprese le uccisioni compiute a Merawi (v. sopra). Il primo ministro Abiy Ahmed ha affermato in un discorso al parlamento trasmesso alla televisione che l’esercito non “commette massacri”. Il suo discorso coincideva con l’implementazione da parte del governo federale del processo di giustizia transizionale, incentrato sulla riconciliazione piuttosto che sulla giustizia e l’accertamento delle responsabilità. A quasi due anni dall’inizio del dibattito sul processo, le ostentate affermazioni del governo circa la sua volontà di garantire la giustizia e l’accertamento delle responsabilità, erano rimaste irrealizzate. Si era trattato in larga parte di un mero esercizio teorico, caratterizzato da significative lacune, e tra queste, la mancanza di processi di consultazione prepolitica, la non conformità con le principali linee guida internazionali in materia di accertamento delle responsabilità e un sostanziale disprezzo per i contributi di un numero limitato di vittime e sopravvissuti, consultati in merito alle opzioni di policy da definire in merito alle misure d’importanza cruciale per l’accertamento delle responsabilità.

 

VIOLENZA DI GENERE

C’è stata un’impennata di denunce di violenza sessuale contro donne e ragazze. Lo stupro e l’omicidio di Heaven Awot, una bambina di sette anni, il cui corpo era stato anche mutilato dal suo aggressore, in un episodio avvenuto nella città di Bahir Dar, nella regione di Amhara, ha suscitato un’ondata di indignazione in tutto il paese, assurgendo a caso emblematico della diffusa violenza di genere contro donne e ragazze a livello nazionale.

Nella regione del Tigray, gli alti livelli di violenza sessuale documentati, compresa violenza sessuale legata al conflitto, hanno determinato proteste in tutta la regione.

A giugno, un rapporto del Centro per l’avanzamento dei diritti e della democrazia ha rivelato che le donne e le ragazze della zona di Guji, nella regione di Oromia, erano state sottoposte a violenza sessuale perpetrata dalle forze governative e da membri dell’Esercito di liberazione Oromo.

 

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