Tempo di lettura stimato: 3'
In risposta a una sentenza dell’Alta corte di Tokyo secondo cui l’87enne Hakamada Iwao, che aveva trascorso nel braccio della morte da 45 anni, buona parte dei quali in isolamento, ha diritto a un nuovo processo, Hideaki Nakagawa, direttore di Amnesty International Giappone, ha dichiarato:
“Questa sentenza offre un’opportunità attesa da tempo per rendere giustizia a Hakamada Iwao, che ha trascorso più di mezzo secolo sotto condanna a morte nonostante la palese iniquità del processo che lo ha visto condannato.
“La condanna di Hakamada era basata su una ‘confessione’ forzata e ci sono seri dubbi sulle altre prove usate contro di lui. Eppure, all’età di 87 anni, non gli è stata ancora data l’opportunità di impugnare il verdetto che lo ha tenuto sotto la costante minaccia della forca per gran parte della sua vita.
“Ora che l’Alta corte di Tokyo ha riconosciuto il diritto di Hakamada al giusto processo, negatogli più di 50 anni fa, è imperativo che i pubblici ministeri permettano che ciò accada.
“Ciò significa che non devono presentare ricorso contro la sentenza odierna e prolungare il limbo in cui si trova Hakamada dalla sua “scarcerazione temporanee” avvenuta nove anni fa. Piuttosto, devono consentire che questo nuovo processo abbia luogo mentre Hakamada è ancora in grado di partecipare al procedimento”.
Contesto
Nel 1968 l’uomo che ha scontato il più elevato numero di anni nei bracci della morte del Giappone, quasi sempre in isolamento, era stato giudicato colpevole dell’omicidio del suo datore di lavoro, della moglie e dei loro due figli.
Per i decenni successivi, Hakamada ha lottato per dimostrare che la sua confessione di colpevolezza era stata estorta dopo interminabili interrogatori gestiti con costanti pestaggi e intimidazioni.
La condanna a morte era stata confermata dalla Corte Suprema nel 1980, ma nel 2014, con una decisione tra le più rare della storia della pena di morte in Giappone, un tribunale di Shizuoka aveva accolto la richiesta di un nuovo processo e ordinato la scarcerazione provvisoria di Hakamada. La pubblica accusa aveva fatto ricorso e, nel 2018, l’Alta Corte le aveva dato ragione, pur non chiedendo il ritorno nel braccio della morte. Ma all’ennesimo ricorso, la Corte Suprema ha ribaltato tutto. Ora, l’Alta corte ha dato finalmente ragione ad Hakamada.