Giustizia climatica: in un nuovo rapporto Amnesty International denuncia la connivenza tra i governi e l’industria dei combustibili fossili

7 Giugno 2021

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I governi più ricchi del mondo stanno di fatto condannando milioni di persone alla fame, alla siccità e allo sfollamento attraverso il proprio ininterrotto sostegno all’industria dei combustibili fossili. Lo ha dichiarato Amnesty International in un nuovo rapporto, che fornisce una valutazione profondamente negativa dei fallimenti globali relativi alla protezione dei diritti umani rispetto al cambiamento climatico; il rapporto sottolinea che il diritto dei diritti umani può offrire un contributo per far sì che governi e aziende si assumano le responsabilità del proprio operato.

Alla vigilia del vertice del G7 in programma dall’11 al 13 giugno, Amnesty International ha messo in evidenza come i paesi membri del G7 stiano ancora finanziando l’industria del carbone, del petrolio e del gas e come non abbiano alcun programma credibile per dare il via in modo significativo all’eliminazione progressiva di tutti i combustibili fossili nel corso di questo decennio. Tutti i membri del G7 si sono impegnati a raggiungere il livello di zero emissioni nette di carbonio entro il 2050, ma nessuno ha presentato una strategia appropriata per ridurre le emissioni entro il 2030, anno entro il quale le emissioni mondiali dovranno essere dimezzate per evitare Il peggiore scenario climatico possibile.

“I timidi programmi sul clima presentati dai membri del G7 costituiscono una violazione dei diritti umani di miliardi di persone. Non si tratta di fallimenti amministrativi ma di un devastante e collettivo attacco ai diritti umani”, ha dichiarato Chiara Liguori, consulente per diritti umani e ambiente di Amnesty International.

“I paesi del G7, unitamente ad altri paesi ricchi industrializzati, sono storicamente responsabili delle emissioni della maggior parte del carbonio e sono i maggiori responsabili dell’attuale crisi climatica. Inoltre, sono loro a possedere la maggior parte delle risorse per affrontare tale crisi. Tuttavia, le loro strategie, finora, sono state del tutto inadeguate e il sostegno offerto agli altri paesi è stato scarso”, ha proseguito Chiara Liguori.

“In occasione del l’incontro dei leader del G7, i governi devono impegnarsi a eliminare tutti i combustili fossili in maniera incondizionata, con la massima tempestività rispetto al 2030, dal momento che è tecnicamente possibile. Devono introdurre normative severe che impongano alle aziende di passare alle energie rinnovabili e devono smettere di utilizzare le nostre tasse per finanziare la letale industria dei combustibili fossili”, ha aggiunto Chiara Liguori.

Amnesty International chiede a tutti i governi di adottare e attuare piani climatici nazionali ambiziosi che riflettano i propri livelli individuali di responsabilità e capacità. I paesi ricchi industrializzati, compresi tutti i membri del G7, devono raggiungere zero emissioni di carbonio quanto prima rispetto al 2030. I paesi a reddito medio con capacità maggiori, tra cui Cina e Sudafrica, devono puntare al dimezzamento delle emissioni entro il 2030, o quanto prima dopo tale anno, per arrivare a zero emissioni entro il 2050.

Tutti gli stati devono anche assicurare una transizione equa per lavoratori e comunità colpite dal cambiamento climatico e dal processo di decarbonizzazione, intraprendendo azioni per ridurre la povertà e per arginare le disuguaglianze esistenti nel godimento dei diritti umani. Inoltre, è necessario dare priorità agli investimenti sulle energie rinnovabili prodotte in maniera responsabile e sulla protezione sociale, sostenendo al contempo la creazione di nuovi posti di lavoro, dignitosi e rispettosi dell’ambiente.

I nostri diritti bruciano

Il nuovo rapporto di Amnesty International, Basta bruciare i nostri diritti!, offre un ampio panorama giuridico ed etico delle azioni che stati e aziende devono intraprendere per affrontare la crisi climatica, aiutare le persone colpite nella fase di adattamento e assicurare rimedio per i danni causati. Dimostra come il diritto dei diritti umani può fare da guida per governi, aziende e attivisti nella battaglia contro la crisi climatica. In tutto il mondo, si fa sempre più ricorso al diritto dei diritti umani per chiamare a rispondere governi e aziende dei propri errori nell’affrontare il cambiamento climatico.

In base alle norme internazionali sui diritti umani, tutti gli stati hanno il dovere di fare tutto ciò che è in loro potere per ridurre le emissioni quanto più tempestivamente possibile. Tuttavia, il rapporto di Amnesty contiene numerosi esempi di governi che non rispettano tale obbligo.

Ad esempio, solo sette fra i paesi del G20, responsabili complessivamente di quasi l’80 per cento delle emissioni globali di gas serra, hanno presentato alle Nazioni Unite degli obiettivi per la riduzione delle emissioni entro il 2030: si tratta di un numero attualmente non sufficiente a contenere l’aumento di temperatura al di sotto di 1,5 gradi.

In realtà il sostegno all’industria di combustibili fossili è proseguito quasi ininterrottamente dopo l’entrata in vigore dell’accordo di Parigi. Durante la pandemia, molti paesi del G20 hanno offerto incentivi economici incondizionati alle imprese del settore dei combustibili fossili e dell’aviazione, nonostante fossero pienamente consapevoli che finanziando queste industrie avrebbero causato danni a milioni di persone.

Gli stati hanno l’obbligo di assistere i paesi a più basso reddito, anche attraverso un’adeguata assistenza finanziaria a sostegno del cambiamento verso le energie rinnovabili, aiutando le persone che hanno subito danni a causa del clima e fornendo rimedi per perdite e danni. Anche in questo caso, hanno fallito. Finora, almeno tre quarti dei finanziamenti internazionali in materia di clima sono stati forniti sotto forma di prestiti invece che di fondi. Ciò significa che i paesi a più basso reddito devono utilizzare le loro stesse risorse per coprire costi legati al clima causati da altri paesi, il che è in contrasto con gli obblighi di assistenza internazionale.

Una transizione equa

Il rapporto di Amnesty International sottolinea anche l’importanza di una transizione equa che protegga i diritti umani. Segnala che troppi governi cercano di servirsi di scorciatoie che inaspriranno le disuguaglianze, basandosi in maniera eccessiva su tecnologie non adeguatamente dimostrate o su meccanismi di scambio delle quote delle emissioni, alcuni de quali possono avere effetti catastrofici sui diritti umani. Ad esempio, le coltivazioni di biocarburanti su vasta scala per eliminare la quota di carbonio dall’atmosfera e alcuni progetti di conservazione nei paesi del sud del mondo per compensare le emissioni dei paesi ricchi possono avere conseguenze sulla sicurezza alimentare, sui mezzi di sostentamento e l’accesso alla terra di milioni di persone.

La decarbonizzazione dell’economia è fondamentale ma senza protezioni adeguate in materia di diritti umani le misure di mitigazione rischiano di provocare ulteriori danni a gruppi già vittime di discriminazioni e marginalizzazione. Inoltre, la maggior parte delle tecnologie non sono attualmente in grado di produrre emissioni negative considerevoli e affidarsi a un loro futuro sviluppo costituisce una pericolosa scommessa.

“I gruppi svantaggiati non devono pagare il prezzo delle mancate azioni dei paesi ricchi e della loro connivenza con l’industria dei combustibili fossili”, ha commentato Chiara Liguori.

“Non esistono scorciatoie per salvare il pianeta e l’umanità. L’unica possibilità è mettere fine in maniera rapida all’era dei combustibili fossili. Possiamo avere i diritti umani o i combustibili fossili, ma non possiamo averli entrambi”, ha concluso Chiara Liguori.