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Ruhollah Zam, giornalista e dissidente iraniano, è stato impiccato all’alba del 12 dicembre, appena quattro giorni dopo che la Corte suprema aveva confermato la sua condanna a morte e senza che né lui né i suoi familiari ne fossero stati informati in anticipo.
Zam, esule in Francia dalla repressione delle proteste post-elettorali del 2009, era stato rapito nell’ottobre 2019, durante una visita in Iraq, dalle Guardie rivoluzionarie iraniane e riportato a forza in Iran. Per i successivi nove mesi non aveva potuto avere alcun contatto con avvocati di fiducia e parenti.
Era stato condannato a morte nel giugno 2020, al termine di un processo gravemente irregolare celebrato dalla sezione 15 del Tribunale rivoluzionario di Teheran, per “diffusione della corruzione in Terra”, in relazione al canale di notizie AmadNews che Zam produceva e distribuiva tramite Telegram.
Secondo le autorità iraniane, il lavoro giornalistico di Zam aveva incluso lo “spionaggio nei confronti di Israele e della Francia”, la “cooperazione con lo stato ostile statunitense”, “reati contro la sicurezza nazionale” e “propaganda contro il sistema”.
Un mese dopo la fine del processo, la televisione di stato aveva trasmesso la “confessione” di Zam.