Iran: messo a morte dopo un processo ingiusto

18 Giugno 2018

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Mohammad Salas, un conducente di autobus di 51 anni appartenente a uno dei principali ordini sufi, il Nemattolah Gonabadi, è stato messo a morte questa mattina in Iran.

Salas è stato condannato a morte il 19 marzo 2018 dopo essere stato giudicato colpevole dell’omicidio di tre agenti di polizia nel corso di una protesta organizzata dal suo ordine spirituale, da tempo perseguitato in Iran.

La protesta, svoltasi esattamente un mese prima, era diventata violenta dopo che le forze di sicurezza avevano sparato proiettili veri contro la folla e usato gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperderla. I tre agenti erano stati investiti da un autobus alle 18.30.

L’unica prova presentata nel processo è una “confessione”, resa durante gli interrogatori in assenza di un avvocato e poi ritrattata dall’imputato, che ha denunciato di essere stato brutalmente picchiato perché si dichiarasse colpevole. La “confessione” era stata trasmessa in televisione il 20 febbraio.

La Corte suprema ha respinto la richiesta di un riesame del verdetto, sollecitata dall’avvocato di Salas sulla base di nuove prove relative all’innocenza del suo cliente, che secondo numerosi testimoni oculari era stato arrestato tra le 14.30 e le 16.30, ossia almeno due ore prima dell’investimento mortale. L’autista responsabile dell’investimento, inoltre, era un giovane.

Il 16 giugno i familiari di Salas sono stati convocati dalla direzione del carcere di Raja’i Shahr, nei pressi della capitale Teheran, per le 15.30 del giorno successivo per l’ultima visita.

Gli appartenenti all’ordine Gonabadi si considerano musulmani sciiti e valutano il sufismo come un modo di vivere per trovare Dio. La Guida suprema iraniana e altre figure influenti del clero sciita li considerano portatori di un “falso misticismo”. Da qui, la lunga storia di discriminazioni, intimidazioni, arresti, detenzioni, frustate e attacchi ai luoghi sacri.