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Da quando, il 1° febbraio 2022, Amnesty International ha lanciato la sua campagna per porre fine al sistema di apartheid di Israele, le forze di sicurezza israeliane hanno ucciso quasi 220 palestinesi e ne hanno feriti oltre 10.000. Solo nel mese scorso, ne hanno uccisi 35.
Gli omicidi illegali contribuiscono a mantenere il sistema israeliano di apartheid e costituiscono crimini contro l’umanità al pari di altre gravi violazioni dei diritti umani commesse dalle autorità israeliane come la detenzione amministrativa e i trasferimenti forzati.
Negli ultimi giorni una serie di attacchi mortali ha sottolineato l’urgente bisogno di un’assunzione di responsabilità. Il 26 gennaio le forze israeliane hanno compiuto un’incursione nel campo rifugiati di Jenin uccidendo 10 palestinesi, tra cui una donna di 61 anni. Il giorno dopo sette civili israeliani sono stati uccisi da un uomo armato palestinese a Neve Ya’akov, un insediamento israeliano di Gerusalemme Est occupata. Dopo questo attacco, le autorità israeliane hanno attuato punizioni collettive contro i palestinesi, compiendo arresti di massa e minacciando demolizioni di abitazioni.
“I devastanti fatti dell’ultima settimana hanno mostrato ancora una volta il costo mortale del sistema di apartheid. La mancanza di iniziative, da parte della comunità internazionale, per chiamare Israele a rendere conto del suo operato dà alle autorità israeliane via libera per segregare, controllare e opprimere i palestinesi su base quotidiana e contribuisce al ripetersi della violenza mortale. L’apartheid è un crimine contro l’umanità ed è incredibile vedere come i suoi responsabili evadano la giustizia anno dopo anno”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
“Da tempo Israele cerca di zittire le denunce di apartheid attraverso campagne diffamatorie mirate e la comunità internazionale soggiaccia a queste tattiche. Fino a quando l’apartheid non sarà smantellato, non vi sarà alcuna speranza di proteggere le vite dei civili e nessuna possibilità di giustizia per le famiglie palestinesi e israeliane a lutto”, ha aggiunto Callamard.
Col sistema dell’apartheid, le autorità israeliane controllano praticamente ogni aspetto delle vite dei palestinesi e li sottopongono quotidianamente all’oppressione e alla discriminazione, attraverso la frammentazione territoriale e la segregazione giuridica. I palestinesi dei Territori occupati sono segregati all’interno di enclavi separate tra loro mentre quelli che vivono a Gaza sono isolati dal resto del mondo grazie al blocco illegale perpetuato da Israele, che è causa di una crisi umanitaria e costituisce una punizione collettiva.
Il 1° febbraio 2022 Amnesty International aveva diffuso un lungo rapporto nel quale denunciava che Israele stava attuando un sistema istituzionalizzato di oppressione e dominazione nei confronti dei palestinesi, ovunque avesse controllo sui loro diritti: in Israele, nei Territori occupati e nei confronti dei rifugiati, negando loro il diritto al ritorno.
Il rapporto dimostrava come le leggi e le politiche israeliane venissero applicate col prevalente obiettivo di mantenere una maggioranza demografica ebraica e massimizzare il controllo sulla terra e sulle risorse a beneficio degli ebrei israeliani e a danno dei palestinesi.
Il 2022 è risultato uno degli anni più mortali per i palestinesi della Cisgiordania almeno dal 2005: le forze israeliane hanno ucciso 153 palestinesi, tra i quali decine di minorenni, soprattutto nel corso dei sempre più frequenti raid militari e delle operazioni d’arresto. Le ricerche di Amnesty International hanno verificato che nell’offensiva israeliana di agosto contro Gaza sono morti 33 palestinesi, 17 dei quali civili, e che altri sette civili sono rimasti uccisi a seguito del lancio di razzi da parte dei gruppi amati palestinesi.
Nel frattempo, la violenza dei coloni israeliani contro i palestinesi è aumentata per il sesto anno consecutivo, tra aggressioni fisiche, danni alle proprietà e distruzione degli alberi d’ulivo. Come ampiamente documentato, le autorità israeliane condonano e facilitano questa violenza, arrestando i palestinesi sotto attacco, fornendo scorta armata ai coloni o semplicemente restando in disparte a guardare mentre i palestinesi vengono picchiati e le loro proprietà vengono distrutte. Questa cultura dell’impunità incoraggia ulteriori violenze, come dimostrato dall’ondata di attacchi degli ultimi giorni da parte dei coloni.
Dopo la sparatoria di Neve Ya’akov, le autorità israeliane sembrano aver incitato a ulteriori violenze contro i palestinesi annunciando progetti di velocizzare il rilascio del porto d’armi “per consentire a migliaia di altri cittadini di girare armati”. Il primo ministro Netanyahu, che si è già impegnato a espandere massicciamente gli insediamenti illegali nei Territori palestinesi occupati, ha anche dichiarato che il governo è intenzionato a “rafforzare gli insediamenti”.
Tutti gli insediamenti israeliani nei Territori palestinesi occupati sono illegali per il diritto internazionale e la politica di vecchia data di Israele di trasferire civili in territori occupati costituisce un crimine di guerra.
La crescente espansione degli insediamenti pone innumerevoli ulteriori palestinesi a rischio di trasferimenti forzati, un crimine contro l’umanità che Israele commette in modo sistematico. Un recente esempio è la decisione, presa a maggio dalla Corte suprema, che ha dato via libera al trasferimento forzato di oltre 1150 palestinesi da Masafer Yatta.
Lo scorso anno le autorità israeliane hanno portato avanti il piano di demolizione del villaggio non riconosciuto di Ras Jrabah nella regione del Negev/Naqab, col previsto sgombero di 500 abitanti beduini palestinesi. Nel gennaio di quest’anno il villaggio beduino di al-Araqib è stato demolito per la 212esima volta. Dal rapporto di Amnesty International sull’apartheid si evince come gli sgomberi forzati nel Negev/Naqab e nei Territori palestinesi occupati siano funzionali agli obiettivi demografici di Israele.
C’è un crescente riconoscimento internazionale riguardo al fatto che Israele sta commettendo il crimine di apartheid. I palestinesi da tempo chiedono che il dominio israeliano sia riconosciuto come apartheid e le loro organizzazioni, come al-Haq, il Centro palestinese per i diritti umani e al-Mezan, promuovono la richiesta verso le Nazioni Unite.
La spinta verso questo riconoscimento è cresciuta nel 2022, quando due relatori speciali delle Nazioni Unite hanno dichiarato che le autorità israeliane si stavano rendendo responsabili di apartheid. Il numero degli stati che, all’interno del Consiglio Onu dei diritti umani, fanno riferimento all’apartheid israeliano è raddoppiato da nove nel 2021 a 18 nel 2022. È significativo li fatto che Sudafrica e Namibia siano tra questi stati. Molte organizzazioni internazionali e israeliane per i diritti umani come Human Rights Watch, B’Tselem e Yesh Din, chiedono la fine dell’apartheid.
Le autorità israeliane fanno di tutto per zittire e screditare le denunce di apartheid. Le conseguenze sono particolarmente gravi per i difensori dei diritti umani palestinesi: nell’agosto 2022 le autorità israeliane, dopo averle etichettate come “entità terroriste” e dichiarate fuorilegge, hanno effettuato raid negli uffici di sette importanti organizzazioni palestinesi per i diritti umani. A dicembre Salah Hammouri, ricercatore dell’organizzazione per i diritti dei prigionieri “Addameer”, è stato privato della residenza a Gerusalemme ed espulso verso la Francia dopo aver trascorso nove mesi in detenzione amministrativa.
Nel maggio 2023, mediante l’Esame periodico universale, il Consiglio Onu dei diritti umani prenderà in esame la situazione dei diritti umani di Israele. Amnesty International ha scritto alle autorità israeliane esortandole a parteciparvi in modo costruttivo ma queste finora non hanno ancora inviato le loro note al meccanismo di revisione.
Le autorità israeliane hanno ignorato buona parte delle raccomandazioni emerse in occasione del precedente Esame periodico universale, nel 2018. Ad esempio, nonostante la richiesta di porvi fine, Israele tiene in detenzione amministrativa, senza accusa né processo, oltre 860 palestinesi: il numero più alto degli ultimi 15 anni.
“Il prolungato disprezzo delle autorità israeliane nei confronti dei loro obblighi di diritto internazionale e delle raccomandazioni della comunità internazionale ha gravi conseguenze per i palestinesi e compromette anche la protezione degli israeliani”, ha commentato Callamard.
“Nessuno stato dovrebbe poter aggirare con impunità il diritto internazionale, comprese le risoluzioni vincolanti del Consiglio di sicurezza. Chiediamo a tutti gli stati di porre fine a ogni forma di sostegno alle violazioni dei diritti umani e ad anni di complice inattività, chiedendo alle autorità israeliane di rispondere delle loro azioni”, ha concluso Callamard.