CC BY-SA 4.0 Haim Schwarczenberg, https://schwarczenberg.com
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Ahed Tamimi, l’attivista palestinese di 17 anni condannata a otto mesi per aver spintonato e preso a schiaffi e calci due soldati israeliani dotati di armi pesanti ed equipaggiamento protettivo, è stata rilasciata il 29 luglio con 21 giorni di anticipo sulla fine della pena.
“È un momento di profondo sollievo per Ahed e per i suoi cari, ma questa gioia è mitigata dall’ingiustizia della sua detenzione e dal fatto che tanti minorenni palestinesi si trovano nelle carceri israeliane, in molti casi per reati non riconoscibili come tali”, ha dichiarato Saleh Higazi, dell’ufficio di Amnesty International di Gerusalemme.
“Il rilascio di Ahed Tamimi non deve far dimenticare le politiche discriminatorie usate dall’esercito israeliano per imprigionare i minorenni palestinesi. L’ingiusta condanna di Ahed è un esempio di come Israele ricorra all’arbitrio dei tribunali militari per punire coloro che sfidano l’occupazione e l’espansione degli insediamenti illegali, senza riguardo per la loro età”, ha aggiunto Higazi.
“Ahed Tamimi è stata condannata per il ridicolo motivo di aver posto una minaccia nei confronti di due soldati ben protetti e armati. La realtà è che, con la sua condanna, le autorità israeliane hanno voluto mandare un messaggio per intimidire tutti coloro che osano sfidare la repressione delle forze di occupazione”, ha commentato Higazi.
Arrestata il 19 dicembre 2017 nel suo villaggio natale di Nabi Saleh dopo aver spinto, schiaffeggiato e preso a calci due soldati israeliani, era stata giudicata colpevole di incitamento, assalto aggravato e impedimento a ciascuno dei due soldati di portare avanti il suo lavoro. Quattro giorni prima il filmato dell’accaduto era stato postato su Facebook dalla madre, Nariman Tamimi, a sua volta rilasciata oggi.
Il padre di Ahed, Bassam Tamini, ha dichiarato ad Amnesty International di essere felice per il ritorno a casa della figlia e della moglie ma di essere ancora preoccupato per suo figlio Wa’ed, di 22 anni, arrestato nel maggio 2018 e da allora detenuto nel carcere militare di Ofer con accuse collegate al suo attivismo contro l’occupazione.
“Centinaia di minorenni palestinesi si trovano, in condizioni assai dure, all’interno di un sistema penitenziario che non rispetta i principi della giustizia minorile e gli standard sul trattamento dei prigionieri”, ha sottolineato Higazi.
Secondo le organizzazioni locali per i diritti umani, nelle prigioni e nei centri di detenzione israeliani si trovano circa 350 minorenni palestinesi.
Ogni anno i tribunali militari processano centinaia di minorenni palestinesi, spesso arrestati nel corso di raid notturni nella Cisgiordania occupata. Dopo l’arresto, vengono sistematicamente sottoposti a maltrattamenti tra cui l’obbligo di stare con gli occhi bendati, le minacce, gli estenuanti interrogatori in assenza di avvocati o familiari, l’isolamento e in alcuni casi la violenza fisica.
In molti casi gli arresti e i processi hanno a che fare con attività pacifiche, come l’espressione di opinioni politiche o l’organizzazione e la partecipazione a proteste non autorizzate dal comandante militare israeliano di zona.