Italia: l’evitabile perdita di vite in mare richiede una rapida revisione delle procedure di ricerca e salvataggio e delle politiche sui visti

18 Marzo 2023

ANSA/AFP via Getty Images

Tempo di lettura stimato: 34'

Nel giro di due settimane, due gravi naufragi hanno causato oltre 100 vittime nel Mediterraneo.
Il primo, avvenuto il 26 febbraio nelle acque territoriali italiane, al largo della spiaggia di Steccato di Cutro, in Calabria, ha provocato ad oggi 86 morti, tra cui 35 bambini, di cui 25 minori di 12 anni, e decine di dispersi, scomparsi in mare a pochi metri dalla terraferma e dalla salvezza. Gli 80 sopravvissuti, come le altre persone coinvolte nel naufragio, provengono da Afghanistan, Iran, Pakistan, Palestina, Siria e Somalia.

Il secondo naufragio è avvenuto l’11 marzo nell’area di ricerca e soccorso (SAR) libica, ma durante un’operazione di salvataggio coordinata dalle autorità italiane: 30 i dispersi. Solo 17 persone, tutte provenienti dal Bangladesh, sono state soccorse e successivamente sbarcate a Pozzallo, in Italia.
Entrambe le tragedie chiamano in causa le responsabilità dell’Italia ai sensi del diritto internazionale.

Nei giorni immediatamente precedenti, tra il 9 e il 10 marzo, le autorità italiane hanno soccorso oltre 1200 persone in molteplici operazioni: salvataggi che dimostrano come le autorità italiane abbiano i mezzi e la capacità di rispettare proprio questi stessi obblighi internazionali.

Amnesty International esprime preoccupazione per il fatto che entrambi questi tragici eventi rappresentino il risultato prevedibile di leggi, politiche e pratiche introdotte dai governi italiani che si sono succeduti, e che hanno minato l’integrità del sistema di ricerca e soccorso. Un indebolimento che si è verificato sia a livello nazionale, dove è stata data priorità alle preoccupazioni relative alla sicurezza e all’applicazione della legge rispetto agli obblighi di soccorso, sia a livello internazionale, dove si è data priorità alla cooperazione con le autorità libiche per bloccare le persone rispetto alla necessità di garantire soccorsi tempestivi e di proteggere da tortura e da altre gravi violazioni (dei diritti umani).

Amnesty International esorta l’Italia a garantire trasparenza su questi naufragi e a fornire un’adeguata assistenza ai sopravvissuti, anche al fine di far loro raggiungere le destinazioni dove è più probabile che possano costruirsi una nuova vita; oltre che a fare ogni sforzo per restituire i corpi delle vittime alle loro famiglie. Per evitare altri tragici naufragi e per rispettare gli obblighi previsti dai trattati, Amnesty International esorta l’Italia a rivedere la legislazione, le politiche e le pratiche che minano l’integrità del sistema di ricerca e soccorso, e a garantire che il perseguimento degli obiettivi legati al controllo delle frontiere smetta di contribuire alla morte e alla sofferenza delle persone, tanto in mare quanto nei paesi con cui l’Italia collabora. L’Italia dovrebbe, inoltre, creare percorsi sicuri e regolari per le persone che cercano protezione o che desiderano spostarsi dal proprio paese, consentendo un aumento significativo del numero di ingressi regolari.

 

IL NAUFRAGIO DEL 26 FEBBRAIO: SERVONO GIUSTIZIA E UN’ADEGUATA ASSISTENZA

Alle 04.30 circa, ora locale, del 26 febbraio 2023, un’imbarcazione di legno con a bordo circa 180 persone è naufragata a pochi metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro, in Calabria. Secondo le informazioni fornite dal governo italiano[1], le persone erano partite da Çeşme, in Turchia, il 22 febbraio, per poi essere trasferite dai trafficanti su una barca di legno, quando l’imbarcazione su cui inizialmente si trovavano si è rotta in mare. Alle 22:26 circa del 25 febbraio, un aereo di sorveglianza gestito da Frontex ha avvistato l’imbarcazione a circa 40 miglia dalla costa italiana, nell’area di ricerca e soccorso italiana. Frontex ha comunicato l’avvistamento al centro di coordinamento internazionale dell’operazione Themis nella base della guardia di finanza di pratica di mare, in Italia, e ha inviato il messaggio in copia al ministero dell’Interno italiano e al centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano (MRCC). Nella comunicazione, Frontex ha indicato che l’imbarcazione galleggiava senza problemi, e che si poteva vedere solo una persona sul ponte della nave[2]; ma anche che le telecamere termiche a bordo dell’aereo avevano dato un’indicazione plausibile della presenza di persone sottocoperta, e che non c’erano giubbotti di salvataggio visibili sulla nave[3]. Secondo quanto riportato dai media[4], nelle prime ore del 25 febbraio l’MRCC italiano aveva ricevuto informazioni circa un mayday lanciato da un’imbarcazione proveniente dalla stessa rotta, e aveva successivamente inviato una richiesta di soccorso a tutte le navi presenti nella zona. Alle 02.20 circa, due motoscafi della guardia di finanza italiana sono usciti in mare per cercare la nave, rientrando alle 03.30 affermando di non poter continuare le ricerche a causa delle condizioni metereologiche. Nel frattempo, un’onda ha causato il capovolgimento della barca. Poiché nessun soccorritore era presente in mare in quel momento e nelle ore immediatamente successive, decine di persone sono cadute e sono annegate.

Poco dopo i drammatici fatti, il tribunale di Crotone ha aperto un’inchiesta penale per favoreggiamento dell’ingresso irregolare, disastro, omicidio colposo e altri reati e quattro persone che si ritiene abbiano condotto l’imbarcazione sono state successivamente arrestate.
Un gruppo di avvocati, insieme a diverse organizzazioni della società civile, hanno anche presentato un esposto al fine di evidenziare eventuali mancanze da parte delle autorità competenti – che potenzialmente avrebbero potuto intervenire per salvare le persone in difficoltà in mare[5]. Rimangono infatti aperti alcuni interrogativi, soprattutto in relazione alle ragioni per cui le autorità nazionali non abbiano reagito immediatamente alle informazioni disponibili lanciando un’operazione di ricerca e salvataggio e inviando navi della guardia costiera, progettate per effettuare salvataggi in qualsiasi condizione meteorologica, ma siano invece intervenute con due motoscafi della guardia di finanza, solitamente impiegati in attività di contrasto e non in grado di resistere in acque agitate.

Il diritto internazionale impone agli stati obblighi in materia di ricerca e salvataggio, tra cui quello di garantire disposizioni per il pronto coordinamento delle operazioni di salvataggio nella propria area di responsabilità, oltre che per il salvataggio di persone che si trovino in pericolo in acque vicino alle proprie coste[6]. Secondo il diritto dell’UE, una situazione di pericolo è determinabile in base a una serie di fattori, tra cui la capacità di navigazione dell’imbarcazione, il numero di persone a bordo in relazione al tipo e alle condizioni della barca, le condizioni meteo-marine e le previsioni, nonché la disponibilità delle attrezzature necessarie a comunicazione e navigare in sicurezza[7].

Se è vero che le responsabilità del naufragio del 26 febbraio nelle acque territoriali italiane resta in capo alle autorità italiane e deve essere indagata a fondo, Amnesty International ha scritto a Frontex per chiedere che venga aperta anche un’indagine sull’adeguatezza delle informazioni fornite in seguito all’avvistamento dell’imbarcazione e sulla mancanza di un mayday utile a garantire inequivocabilmente una risposta SAR da parte delle autorità competenti.

Rilevando che l’obbligo di proteggere il diritto alla vita è codificato in molteplici strumenti internazionali ratificati dall’Italia, in particolare nell’articolo 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e nell’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Amnesty International chiede a tutte le autorità competenti di non lesinare gli sforzi per far luce sulle dinamiche dell’incidente e di assicurare la responsabilità per qualsiasi azione o omissione che possa aver contribuito a questa tragedia. Le vittime, i loro parenti e coloro che sono sopravvissuti al naufragio hanno diritto a verità, giustizia e riparazione.

Le persone sopravvissute al naufragio hanno anche il diritto di essere trattate con dignità e di ricevere un’assistenza adeguata. Secondo quanto riportato dai media, le condizioni di accoglienza offerte ai sopravvissuti durante la prima settimana sono state assolutamente inadeguate, prima del loro trasferimento in una sistemazione più adeguata in seguito al clamore suscitato proprio dai mezzi di comunicazione[8].
I sopravvissuti e i parenti delle vittime, che desideravano il rimpatrio dei corpi nei propri paesi d’origine, hanno dovuto anche opporsi ai tentativi delle autorità di spostare le bare in un altro luogo e di seppellirne alcune nel cimitero di Bologna: solo dopo le manifestazioni di dissenso il governo ha accettato di impegnarsi per il rimpatrio.

Amnesty International chiede al governo italiano di compiere ogni sforzo per assistere adeguatamente le persone sopravvissute al naufragio, oltre che i parenti delle vittime. Ciò dovrebbe includere il sostegno agli sforzi per rimpatriare i corpi di coloro che sono morti, la sepoltura nel loro Paese d’origine, e un’adeguata assistenza alle persone che desiderano cercare protezione in Italia. I governi competenti dovrebbero inoltre continuare a cooperare per consentire ai sopravvissuti di ricongiungersi con i parenti residenti in altri Paesi europei.

 

IL NAUFRAGIO DEL 12 MARZO: LE CONSEGUENZE DELL’ESTERNALIZZAZIONE DEL CONTROLLO DI FRONTIERA

Un principio cardine delle politiche italiane di controllo delle frontiere negli ultimi anni è stato l’esternalizzazione di attività rilevanti ad altri paesi, e in particolare alla Libia, attraverso accordi di cooperazione che non sono stati condizionati alla tutela e al rispetto dei diritti umani. Amnesty International ha registrato con sgomento la decisione del governo italiano di rinnovare il Memorandum d’intesa con la Libia per altri tre anni, a partire dal 2 febbraio 2023, nonché il nuovo impegno a fornire alla guardia costiera libica e all’Amministrazione generale per la sicurezza costiera cinque motovedette nuove o rinnovate, pagate dall’Unione europea e dai suoi stati membri[9]. I dettagli sono stati definiti attraverso la negoziazione di un ulteriore Memorandum d’intesa tra Italia e Libia, il cui testo non è stato reso noto. Le istituzioni europee hanno inoltre confermato l’intenzione di continuare a rafforzare le autorità marittime libiche, con il chiaro obiettivo di fare in modo che il maggior numero possibile di persone venga intercettato dai cosiddetti guardacoste libici e riportato in Libia[10], nonostante le prove che le persone subiscano poi gravi violazioni dei diritti umani.

Il naufragio del 12 marzo ha fornito un esempio drammatico dell’incapacità delle autorità libiche di condurre o coordinare i salvataggi nel Mediterraneo centrale. Già alle 01.28 UTC dell’11 marzo, la Ong Alarm Phone ha segnalato agli MRCC italiani e maltesi e alla Guardia costiera libica di aver ricevuto una richiesta di soccorso da parte di un’imbarcazione con a bordo 47 persone che si trovava in acque internazionali, a circa 100 miglia dalla Libia e all’interno della sua area di ricerca e soccorso[11]. Alle 10.32 UTC, l’aereo della Ong Seabird 2 ha avvistato l’imbarcazione di legno – ferma tra le onde alte e con i passeggeri che chiedevano aiuto – e ha lanciato un mayday alle navi nelle vicinanze[12]. Una nave mercantile si è diretta sul posto e ha iniziato a soccorrere l’imbarcazione in difficoltà, ma non ha effettuato il salvataggio delle persone, a causa delle condizioni del mare secondo quanto riferito[13]. Le autorità italiane non hanno reagito immediatamente, rimandando ogni decisione alla cosiddetta Guardia costiera libica, responsabile del coordinamento dei soccorsi nella propria regione SAR, e avrebbero dato istruzioni al mercantile di seguire solo le indicazioni delle autorità libiche. Tuttavia, alle 16.51 UTC l’ufficiale di servizio della guardia costiera libica ha confermato di non essere in grado di inviare motoscafi per salvare le persone in difficoltà né di coordinare un salvataggio[14].  Molto più tardi – circa 30 ore dopo che le prime informazioni sull’imbarcazione in difficoltà fossero giunte ai centri di soccorso italiano, maltese e libico[15] – l’MRCC italiano è intervenuto e ha coordinato il salvataggio, dando istruzioni ad altre tre navi mercantili di procedere verso la barca in difficoltà. La mattina del 12 marzo, durante l’avvicinamento, l’imbarcazione contenente 47 persone si è rovesciata e tutti i passeggeri a bordo sono caduti in acqua. Solo 17 persone sono state tratte in salvo, mentre le altre 30 risultano disperse e si presume siano annegate. L’MRCC italiano ha quindi dato istruzioni al comandante del mercantile che trasportava i sopravvissuti di procedere verso l’Italia per lo sbarco.

Anche in questo caso, sorgono seri interrogativi sulle ragioni del ritardo nell’avvio dei soccorsi e sulla decisione di non impiegare motoscafi, molto più adatti delle navi mercantili ad effettuare salvataggi in sicurezza. Amnesty International teme che l’insistenza dell’Italia e dell’UE su una strategia volta da una parte a garantire che le autorità libiche coordinino le operazioni in mare, e dall’altra a ostacolare il lavoro delle navi di soccorso delle Ong in modo che le persone vengano sbarcate in Libia anziché in Europa, stia costando vite umane. È ormai chiaro – sette anni dopo l’inizio della cooperazione con la cosiddetta guardia costiera libica[16], e prima ancora che Italia e Libia concludessero un Memorandum d’intesa bilaterale nel 2017[17] – che la persistente incapacità delle autorità libiche di coordinare i salvataggi è un problema sistemico, che non può essere risolto semplicemente fornendo maggiori risorse.

Anche quando le autorità libiche si impegnano in operazioni marittime per intercettare persone su imbarcazioni in difficoltà, ciò comporta gravi violazioni dei diritti umani. Amnesty International è estremamente preoccupata per la sorte di donne, uomini e bambini che continuano a essere intercettati in mare, con il supporto dell’Italia, da personale libico addestrato dalle autorità italiane e operante su motovedette donate dall’Italia e dall’Ue. In esecuzione del Memorandum d’intesa del 2017, oltre 100mila persone sono state intercettate in mare dai guardacoste libici e riportati in Libia, per poi essere sistematicamente sottoposte a prolungata detenzione arbitraria in condizioni spaventose ed esposte a torture e altri maltrattamenti, uccisioni arbitrarie, sparizioni forzate, violenze sessuali, lavoro forzato e sfruttamento[18].  Amnesty International ha documentato le violazioni compiute anche dall’Agenzia per la sicurezza pubblica, una milizia guidata da Emad al-Tarabulsi, che alla fine del 2022[19] è stato nominato ministro degli Interni ad interim della Libia nell’ambito del governo di unità nazionale (Gnu) di Tripoli. L’Italia e l’Unione europea, che non hanno condizionato la propria cooperazione con la Libia all’adozione di misure concrete per garantire il rispetto dei diritti umani, condividono la responsabilità di tali abusi e quindi l’onere di porvi rimedio. Amnesty International chiede all’Italia e all’Unione europea di sospendere qualsiasi forma di cooperazione che porti al trattenimento delle persone in Libia, e di mettere al centro di qualsiasi forma di cooperazione la tutela dei diritti umani e la lotta all’impunità.

Gli stessi principi dovrebbero essere alla base della cooperazione con altri paesi del Nord Africa, come la Tunisia, che sta attraversando una profonda crisi economica e che nelle ultime settimane ha registrato una significativa escalation di attacchi contro le persone nere a seguito di un discorso razzista del presidente Saied[20]. Secondo i dati ufficiali citati dai media, nel 2022 sono arrivate in Italia dalla Tunisia 32.101 persone, 12.083 nel 2023. I commenti discriminatori e i discorsi di odio del presidente Saied, il 21 febbraio, hanno innescato una recrudescenza della violenza contro le persone nere, tra cui migranti e richiedenti asilo, aggredite da gruppi di uomini e arrestate a centinaia dalla polizia. In questo contesto, Amnesty International chiede al governo italiano di sostenere gli sforzi diplomatici internazionali per contrastare questa escalation, anziché esercitare ulteriori pressioni sulle autorità tunisine per fermare l’immigrazione. Oggi più che mai, la Tunisia non rappresenta un luogo sicuro per lo sbarco delle persone soccorse nel Mediterraneo centrale, e pertanto le autorità italiane dovrebbero astenersi dal facilitare gli sbarchi in questo Paese.

Invece di scaricare la responsabilità delle politiche di controllo delle frontiere su paesi terzi, l’Italia e gli altri stati dell’Ue dovrebbero concentrarsi su forme di cooperazione internazionale capaci di garantire un’adeguata condivisione delle responsabilità di assistenza alle persone in difficoltà. Ciò dovrebbe comprendere, in particolare, l’istituzione di un meccanismo che garantisca lo sbarco prevedibile delle persone soccorse nel Mediterraneo centrale – e in particolare delle persone soccorse nelle aree di ricerca e soccorso dei paesi che non sono in grado di fornire un luogo sicuro per lo sbarco – e la loro potenziale ricollocazione in altri paesi.


MISURE NECESSARIE PER EVITARE ULTERIORI PERDITE DI VITE UMANE

Se da un lato l’autorità giudiziaria deve ricostruire le dinamiche degli ultimi naufragi e stabilire le relative responsabilità, dall’altro il governo e il parlamento italiani hanno la responsabilità di intervenire per evitare che incidenti simili si ripetano. Infatti, questi rappresentano solo l’ultimo di una lunga lista di tragedie che hanno portato alla morte o alla scomparsa di oltre 20.500 persone in mare negli ultimi 10 anni[21].

Le autorità italiane dovrebbero garantire che l’adeguata sorveglianza del Mediterraneo sia accompagnata dal dispiegamento di un numero sufficiente di navi di soccorso pronte e capaci di intervenire in caso di situazioni di pericolo lungo le rotte in cui è probabile che la maggior parte delle persone abbia bisogno di assistenza. Ciò potrebbe essere ottenuto, ad esempio, attraverso una rinegoziazione dell’operazione congiunta Themis da parte di Frontex. L’Italia e gli altri stati dell’Ue dovrebbero dispiegare risorse adeguate e fornire istruzioni chiare alle autorità competenti per garantire che qualsiasi situazione che possa rappresentare un caso di emergenza sia trattata come tale.

L’Italia dovrebbe anche ritirare le misure che ostacolano il lavoro delle Ong di ricerca e salvataggio e aumentano il rischio di annegamento. Tra queste, due misure adottate negli ultimi mesi: la pratica dei “porti lontani”, che impone alle navi delle Ong che trasportano rifugiati e migranti soccorsi in mare di far sbarcare le persone nei porti dell’Italia centrale e settentrionale, compreso il mare Adriatico – cioè in porti particolarmente distanti dalle posizioni in cui vengono tipicamente effettuati i salvataggi -; e la legislazione che introduce una serie di requisiti aggiuntivi per le navi di soccorso delle Ong[22].  Inoltre, le autorità italiane dovrebbero porre fine a qualsiasi forma di criminalizzazione e vessazione nei confronti delle Ong di soccorso, da ultimo il recente sequestro della nave di soccorso Geo Barents, gestita dalla Ong Medici Senza Frontiere. Gli operatori e i volontari delle Ong che conducono i salvataggi sono difensori dei diritti umani e il loro lavoro dovrebbe essere celebrato tanto quanto quello della guardia costiera italiana e degli altri funzionari ed equipaggi che effettuano i salvataggi.

Amnesty International evidenzia con rammarico che le misure adottate dal governo italiano in risposta al naufragio del 26 febbraio, in particolare attraverso l’adozione del decreto legge 10 marzo 2023, n. 20, non hanno affrontato queste importanti tematiche. Al contrario, si sono concentrate sull’inasprimento delle pene per i trafficanti di esseri umani, introducendo disposizioni specifiche per le situazioni in cui il traffico di persone provoca morti e feriti gravi. Amnesty International riconosce che le traversate irregolari del Mediterraneo spesso comportano abusi dei diritti umani da parte di trafficanti nei confronti delle persone che utilizzano tali rotte, e che tali abusi devono essere fermati e perseguiti. Allo stesso tempo, osserva che questi abusi sono stati e possono essere perseguiti sulla base della legislazione penale italiana esistente, e che un aumento delle pene difficilmente ridurrà le attività di traffico, mentre è più probabile che spinga i trafficanti ad adottare tattiche diverse per evitare di essere scoperti, esponendo potenzialmente le persone che compiono questi viaggi a rischi sempre maggiori.

 

MISURE NECESSARIE PER PREVENIRE I VIAGGI IRREGOLARI A RISCHIO

Finché continueranno i conflitti, le persecuzioni, i disastri ambientali e le disuguaglianze globali, le persone continueranno ad avere bisogno e a scegliere di spostarsi, in cerca di protezione o di una vita migliore. E finché mancheranno le possibilità di spostarsi in modo sicuro e regolare, questi spostamenti avverranno in modo irregolare, anche via mare, spesso facilitati da trafficanti. Alla luce di ciò, una strategia più efficace per ridurre le traversate marittime irregolari e pericolose è rappresentata dall’offerta di maggiori opportunità di percorsi sicuri e legali a disposizione delle persone che cercano sicurezza o che si spostano per altri motivi. Questo approccio non solo garantirebbe che un maggior numero di persone possa raggiungere un Paese senza dover mettere la propria vita nelle mani di trafficanti senza scrupoli, ma offrirebbe anche l’opportunità di un’accoglienza e di un’assistenza molto più gestibili per le persone in arrivo.

Amnesty International accoglie con favore il fatto che le autorità italiane abbiano recentemente riconosciuto la necessità di operare in questa direzione, anche per colmare i vuoti di manodopera in diversi settori[23].  Rileva che nel decreto-legge del 10 marzo 2023, n. 20, sono state introdotte misure per ridurre gli oneri formali di accesso e soggiorno e che le quote di nuovi lavoratori migranti autorizzati a entrare in Italia sono state recentemente aumentate a 82.705 unità[24].  Tuttavia, sono necessarie riforme più profonde delle leggi che regolano l’ingresso dei cittadini stranieri, per facilitare l’accesso a un numero maggiore di persone. Amnesty International chiede inoltre al governo italiano di aumentare significativamente il numero di visti umanitari e familiari per rifugiati e richiedenti asilo.

 

CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI

I naufragi del 26 febbraio e del 12 marzo, che hanno causato la morte di oltre un centinaio di persone, hanno rappresentato l’ennesimo richiamo alle atroci conseguenze delle politiche che privilegiano gli obiettivi di controllo delle frontiere rispetto alle vite umane. Le indagini ufficiali delle autorità giudiziarie dovrebbero far luce sulla dinamica degli incidenti e sulle potenziali responsabilità delle autorità competenti, poiché i sopravvissuti e i parenti delle vittime hanno diritto alla verità, alla giustizia e alla riparazione, oltre che a godere di un’assistenza adeguata.

Nel frattempo, le autorità italiane non dovrebbero risparmiare sugli sforzi per cambiare le leggi, le politiche e le pratiche che rendono il ripetersi di incidenti simili non solo possibile, ma probabile. Concentrarsi sull’inasprimento delle pene per i trafficanti non porterà, da solo, ai miglioramenti necessari. Allo stesso modo, continuare ad attuare politiche di esternalizzazione e criminalizzazione delle Ong di soccorso produrrà ulteriori violazioni dei diritti umani, senza affrontare le ragioni degli attraversamenti irregolari.

Sono invece necessari un aumento delle capacità delle autorità marittime di pattugliare e garantire un intervento efficace e tempestivo in caso di pericolo, l’introduzione di un meccanismo di sbarco e ricollocamento delle persone salvate in mare, e un significativo ampliamento delle opportunità per rifugiati, richiedenti asilo e migranti di viaggiare verso l’Italia in modo regolare e sicuro[25].

A tal fine Amnesty International rivolge alle autorità italiane le seguenti raccomandazioni:

  • cooperare con gli altri stati dell’Unione europea per assicurare che ci siano risorse sufficienti e adeguate dedicate al salvataggio delle persone in mare dove è più probabile che avvengano i naufragi;
  • cooperare pienamente con le autorità giudiziarie per assicurare la responsabilità di qualsiasi azione o omissione penalmente rilevante che possa aver contribuito ai naufragi del 26 febbraio e del 12 marzo;
  • assicurarsi che vengano condotte indagini interne per rivedere le leggi, le politiche, le procedure e le decisioni a tutti i livelli, e di tutte le agenzie coinvolte, che potrebbero aver contribuito ai naufragi del 26 febbraio e del 12 marzo, al fine di prevenire ulteriori perdite di vite umane. Tali revisioni dovrebbero essere approfondite e concluse tempestivamente e i risultati dovrebbero essere condivisi con il parlamento e l’opinione pubblica;
  • garantire un’accoglienza e un sostegno adeguati ai sopravvissuti dei naufragi, e l’accesso all’asilo per coloro che desiderano chiedere protezione in Italia, nonché l’assistenza a coloro che desiderano ricongiungersi con i parenti residenti in altri paesi europei;
  • cooperare con le famiglie delle vittime e con le autorità dei paesi d’origine per garantire il rimpatrio delle salme;
  • ritirare il Memorandum d’intesa del 2017 con la Libia, astenersi dal facilitare l’intercettazione marittima e lo sbarco di persone in Libia e interrompere qualsiasi forma di cooperazione con la Libia che comporti il trattenimento delle persone nel paese;
  • cooperare con gli altri Stati dell’UE per creare un meccanismo prevedibile di sbarco e ricollocamento, per garantire che tutte le persone soccorse in mare siano sbarcate tempestivamente in un porto sicuro;
  • eliminare la prassi dei “porti lontani” e abrogare la legge 24 febbraio 2023, n.15 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 2 gennaio 2023, n. 1);
  • astenersi dall’adottare ulteriori misure che criminalizzino, stigmatizzino o ostacolino il lavoro dei difensori dei diritti umani che assistono le persone a rischio, comprese le Ong di soccorso e il loro personale;
  • fornire percorsi sicuri e regolari alle persone in cerca di protezione, aumentando in modo significativo il reinsediamento, gli ingressi e i visti umanitari, familiari, per studenti o di altro tipo;
  • fornire percorsi sicuri e regolari per le persone, anche ampliando le opportunità di mobilità lavorativa;
  • rispettare le raccomandazioni pertinenti fatte all’Italia dagli organismi internazionali per i diritti umani, tra cui l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite e il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa.

 

 

Note:

[1] Camera dei Deputati, Informativa urgente del Governo sulla tragica vicenda del naufragio di una imbarcazione carica di migranti al largo delle coste di Steccato di Cutro, 7 March 2023.

[2] Frontex, Statement following tragic shipwreck off Crotone, 1 March 2023.

[3] La Repubblica, Naufragio Crotone, gli allarmi ignorati. Cosa è successo: così la Guardia costiera è rimasta a guardare, 2 March 2023, and Naufragio di Cutro, le regole tradite, 2 March 2023.

[4] The distress message from the Italian MRCC was published in La Repubblica, Crotone, strage di migranti: 23 ore prima del naufragio partito l’allarme per una barca in difficoltà, 1 March 2023.

[5] ASGI, Naufragio Cutro: Associazioni depositano esposto collettivo in Procura, 9 March 2023.

[6] Si veda in particolare : UN Convention on the Law of the Sea, Art.98; International Convention for the Safety of Life at Sea (SOLAS Convention), Chapter V, Regulations 7 and 33, as amended; International Convention on Maritime Search and Rescue (SAR Convention), Annex, Chapters 2, 3 and 4, as amended; and IMO, Res. MSC. 167(78), Guidelines on the treatment of persons rescued at sea, adopted on 20 May 2004.

[7] Regulation (EU) No 656/2014 of the European Parliament and the Council of 15 May 2014, Article 9.

[8]  Avvenire, Naufragio di Cutro. Dopo le denunce sui media, tutti i sopravvissuti hanno un letto, 7 March 2023

[9] European Commission, Commissioner Olivér Várhelyi attends the handover ceremony of EU-financed Search and Rescue vessels to Libya, 6 February 2023.

[10] European Commission, Migration routes: Commission proposes Action Plan for Central Mediterranean to address immediate challenges, 21 November 2022.

[11] Alarm Phone, 30 people die due to non-assistance by the Italian authorities, 12 March 2023.

[12] Fatal Delays: 30 Lives Lost due to European Non-Assistance, Joint Statement by Alarm Phone, Mediterranea Saving Humans and Sea-Watch, 14 March 2023.

[13] Italian Coast Guard, Guardia Costiera: tratte in salvo 17 persone in area SAR libica, Press release, 12 March 2023.

[14] Fatal Delays: 30 Lives Lost due to European Non-Assistance, Joint Statement by Alarm Phone, Mediterranea Saving Humans and Sea-Watch, 14 March 2023.

[15] A timeline of events is provided in Fatal Delays: 30 Lives Lost due to European Non-Assistance, Joint Statement by Alarm Phone, Mediterranea Saving Humans and Sea-Watch, 14 March 2023.

[16] Council Decision (CFSP) 2016/993 of 20 June 2016 amending Decision (CFSP) 2015/778 on a European Union military operation in the Southern Central Mediterranean (EUNAVFOR MED operation SOPHIA)

[17] Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana, 2 February 2017.

[18] Si veda, tra gli altri, Amnesty International, ‘Between life and death’: Refugees and migrants trapped in Libya’s cycle of abuse, 24

September 2020; and ‘No one will look for you’: Forcibly returned from sea to abusive detention in Libya, 15 July 2021

[19] Amnesty International, ‘No one will look for you’: Forcibly returned from sea to abusive detention in Libya, 15 July 2021.

[20] Amnesty International, Tunisia: President’s racist speech incites a wave of violence against Black Africans, 10 March 2023.

[21] IOM, Missing Migrants Project, Central Mediterranean route.

[22] Amnesty International, Italy: Withdraw measures that hinder the work of search and rescue NGOs and increase the risk of drownings, 1 February 2023.

[23] La Repubblica, Il governo della destra vuole accogliere mezzo milione di lavoratori immigrati in due anni. E abolire la Bossi-Fini, 2 March 2023.

[24] Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 dicembre 2022, Programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori non comunitari nel territorio dello Stato per l’anno 2022.

[25] Amnesty International, HRW and ECRE, Europe: Plan of Action – Twenty steps to protect people on the move along the central Mediterranean route, 16 June 2021.