La sorveglianza britannica di massa all’esame della Corte europea dei diritti umani

6 Novembre 2017

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Sarà un momento spartiacque per la privacy e la libertà di espressione nel mondo“: così 14 Ong e due singole ricorrenti hanno definito l’esame, in programma il 7 novembre da parte della Corte europea dei diritti umani, sulla legittimità delle leggi e delle prassi sulla sorveglianza di massa ad opera dei servizi d’intelligence del Regno Unito.

La Corte di Strasburgo ha deciso di esaminare congiuntamente tre distinti ricorsi presentati rispettivamente da American Civil Liberties Union, Amnesty International, Bytes for All, Canadian Civil Liberties Association, Egyptian Initiative for Personal Rights, Hungarian Civil Liberties Union, Irish Council for Civil Liberties, Legal Resources Centre, Liberty e Privacy International; da Big Brother Watch, Open Rights Group, English Pen e Constanze Kurz; e da Bureau of Investigative Journalism e Alice Ross.

Il ricorso è l’ultima di una serie di iniziative intese a contestare sul piano legale i poteri estremamente vasti di sorveglianza da parte del Regno Unito.

Il caso ha preso le mosse da quanto rivelato da Edward Snowden nel 2013: ogni giorno il Quartier generale del governo per le comunicazioni (GCHQ, l’agenzia governativa d’intelligence) stava segretamente intercettando ed esaminando milioni di comunicazioni private di persone comuni (il cosiddetto programma “Tempora”) e – senza un chiaro riferimento legislativo e in assenza di salvaguardie appropriate – condivideva le informazioni con l’Agenzia Usa per la sicurezza nazionale e con agenzie d’intelligence di altri paesi.

Di fronte alla Corte di Strasburgo i ricorrenti contestano la decisione presa nel dicembre 2014 dalla corte britannica competente sull’operato del GCHQ e dei due servizi MI5 e MI6, secondo la quale tali prassi potevano essere in linea di principio compatibili con gli obblighi del Regno Unito. Nel febbraio 2015 la stessa corte aveva poi stabilito che, prima dell’avvio dei procedimenti giudiziari, l’accesso accordato dal governo britannico alla sorveglianza Usa aveva violato quegli obblighi.

Secondo Amnesty International e le altre parti ricorrenti, le leggi britanniche sulla sorveglianza hanno un forte impatto sulla privacy e altri diritti di milioni di persone nel mondo, in parte perché i principali cavi per i collegamenti Internet partono dal territorio britannico o vi arrivano.

Un altro motivo di preoccupazione derivante dallo scambio di informazioni d’intelligence tra i governi è il rischio che potrebbero correre le persone che mettono in gioco la loro vita e la loro libertà per fornire informazioni sulle violazioni dei diritti umani. Lo stesso vale per i gruppi che si occupano di diritti umani e per i giornalisti. Lo stesso tribunale competente sull’operato delle agenzie d’intelligence ha stabilito che le comunicazioni tra Amnesty International e il Centro per le risorse legali del Sudafrica erano state spiate illegalmente dalle agenzie d’intelligence britanniche.

Il caso dovrebbe ripercuotersi anche sul destino della Legge sui poteri investigativi del 2016, che ha riformato il quadro legale della sorveglianza governativa dando luogo a ulteriore sorveglianza di massa. Oltre all’intercettazione indiscriminata delle comunicazioni, la legge consente alle agenzie di sicurezza di hackerare computer e altri dispositivi elettronici raccogliendo in definitiva grandi quantità di dati personali da individui non sospettati di alcun comportamento criminale.