@ Amnesty International
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Le donne e le bambine sospettate di avere legami con il gruppo armato “Stato islamico” non ricevono aiuti umanitari, non possono tornare a casa e spesso subiscono violenza sessuale.
Sono le principali evidenze emerse grazie al nostro lavoro di ricerca sul campo e rese pubbliche nel report “Le condannate: donne e bambine isolate, intrappolate e sfruttate in Iraq“. Il lavoro di ricerca contiene le testimonianze di 92 donne presenti in otto campi rifugiati delle province di Ninive e Salah al-Din. I nostri ricercatori hanno anche intervistato 30 operatori umanitari nazionali e internazionali, 11 esponenti della direzione dei campi e 9 funzionari o ex funzionari delle Nazioni Unite.
“Cacciate dalle loro comunità – ha sottolineato in una nota ufficiale Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente di Amnesty International –, queste persone non sanno dove andare e a chi rivolgersi. Sono intrappolate nei campi, ostracizzate e private di cibo, acqua e altri aiuti essenziali. Questa umiliante punizione collettiva rischia di gettare le basi per ulteriore violenza e non aiuta in alcun modo a costruire quella pace giusta e duratura che gli iracheni desiderano disperatamente“.
La ricerca illustra la sofferenza di migliaia di nuclei familiari guidati da donne costrette a badare a sé stesse e ai propri figli nei campi profughi dopo che i loro mariti e parenti sono stati uccisi, sottoposti ad arresti arbitrari o fatti sparire durante la fuga dalle zone una volta controllate dallo “Stato islamico” a Mosul e nei dintorni.
In molti casi, il “reato” commesso da questi uomini è stato di fuggire dalle roccaforti dello “Stato islamico”, di avere un nome simile a quelli presenti nelle discutibili liste dei ricercati o di aver lavorato per conto dello “Stato islamico” come cuoco o autista.
Dalle testimonianze raccolte è emerso che le donne e le bambine presenti nei campi profughi non ricevono cibo e cure mediche a causa dei loro presunti legami con lo “Stato islamico”.
Questi gruppi familiari non ottengono carte d’identità o altri documenti necessari per poter lavorare e muoversi liberamente. In almeno un campo profughi a queste famiglie è impedito di uscire, divenendo di fatto un centro di detenzione.
Disperate e isolate, queste donne rischiano di essere sfruttate sessualmente e stuprate da parte delle forze di sicurezza, del personale armato e da miliziani presenti all’interno e all’esterno dei campi.
Molte di loro non hanno più un posto dove andare: in diverse parti dell’Iraq, le autorità locali e tribali hanno vietato il ritorno delle donne e dei propri figli sospettati di avere legami con lo “Stato islamico”.
Quelle che sono riuscite a tornare a casa rischiano sgomberi forzati, sfollamenti, saccheggi, intimidazioni, molestie e minacce sessuali. In alcuni casi, le loro abitazioni sono state marchiate con la scritta “Daeshi” (il nome arabo dello “Stato islamico”). In seguito sono state distrutte o non hanno più ricevuto elettricità, acqua e ulteriori forniture.
“A causa della loro presunta affiliazione allo ‘Stato islamico’ queste donne stanno subendo trattamenti discriminatori e disumanizzanti da parte di personale armato che opera nei campi. In altre parole, coloro che dovrebbero proteggerle diventano predatori“, ha commentato Maalouf.
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“Il governo iracheno deve processare i responsabili e impedire agli uomini armati di entrare all’interno dei campi – ha concluso Maalouf -. Le autorità irachene devono assicurare che nei campi profughi le famiglie sospettate di legami con lo “Stato islamico” abbiano uguale accesso agli aiuti umanitari, alle cure mediche e ai documenti d’identità e possano tornare alle loro abitazioni senza temere intimidazioni, arresti o attacchi. Le autorità irachene devono immediatamente porre fine alla prassi sistematica e diffusa di sottoporre a sparizione forzata uomini e ragazzi sospettati di avere legami con lo “Stato islamico”, che ha lasciato migliaia di mogli, madri, figlie e figli in una situazione disperata“.