Libertà di espressione in Marocco: “Nuova legge sull’emergenza sanitaria usata contro gli attivisti”

9 Giugno 2020

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Il 23 marzo, il parlamento del Marocco ha approvato una nuova legge (n. 2.220.292), che dichiara l’emergenza sanitaria e stabilisce condanne a tre mesi di carcere e una sanzione di 1300 dirham (circa 120 euro) per chiunque violi “ordini e decisioni prese dalle autorità pubbliche” e per chiunque “ostacoli” attraverso “testi, pubblicazioni o fotografie” quelle decisioni.

Dalla sua adozione, le autorità hanno utilizzato la nuova norma per perseguire almeno cinque tra attivisti dei diritti umani e giornalisti, accusandoli di “incitamento alla violazione delle decisioni delle autorità durante l’emergenza sanitaria“.

L’introduzione da parte delle autorità marocchine di pene detentive per punire coloro che violano l’isolamento o il coprifuoco è una misura eccessiva. Ad ogni modo, questa legge errata non dovrebbe essere mai utilizzata per mettere a tacere le voci di coloro che osano criticare le misure del governo e la gestione della pandemia. Non è un reato mettere in discussione la risposta del governo alla pandemia o fare riferimento a mancanze nel suo approccio“, ha dichiarato in una nota ufficiale Amna Guellali, vice direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

Le autorità marocchine devono smettere di ricorrere a una legge inadeguata sull’emergenza sanitaria per perseguire attivisti dei diritti umani, chi fa giornalismo partecipativo e altre persone per aver criticato in maniera pacifica la gestione della crisi legata al Covid-19 da parte del governo.

Considerato l’elevato rischio di trasmissione del Covid-19 nelle prigioni e in altri luoghi di detenzione, un aumento della popolazione carceraria potrà solo ulteriormente peggiorare i problemi sanitari pubblici causati dalla pandemia. Le persone non dovrebbero essere detenute esclusivamente per aver violato le restrizioni imposte nel contesto della pandemia di Covid-19“, ha aggiunto Guellali.

In soli due mesi in cui la legge è stata in vigore, la procura marocchina ha perseguito 91.623 persone per aver violato la nuova legge sullo stato di emergenza sanitaria e per altri reati, secondo una dichiarazione ufficiale del 22 maggio. Tra queste, almeno 558 restano ancora in regime di detenzione esclusivamente per aver violato lo stato di emergenza, sempre secondo la nota del 22 maggio.

Abbiamo documentato i casi di cinque tra attivisti dei diritti umani e giornalisti partecipativi arrestati tra aprile e maggio 2020 per alcuni post online e sui social in cui criticavano le modalità con le quali le autorità locali hanno gestito la distribuzione degli aiuti durante la pandemia da Covid-19.

Inoltre, sono stati tutti accusati in base alla legge sull’emergenza sanitaria e per le disposizioni del codice penale per “offesa alle istituzioni pubbliche” e alcuni di loro per la “diffusione di false informazioni”, che per il diritto internazionale non costituiscono reato. I nostri ricercatori hanno esaminato tutti i post presentati come prove contro questi attivisti e non ha trovato nulla che suggerisca il loro incitamento alla violenza, all’odio o alla discriminazione e ha stabilito dunque che erano completamente tutelati dalla libertà d’espressione.

Libertà d’espressione in Marocco: i casi

Il 17 aprile, la polizia ha arrestato Mohamed Bouzrou e Lahssen Lemrabti, giornalisti partecipativi e amministratori di Fazaz24, una pagina Facebook che conta circa 29.000 follower. I due sono attualmente detenuti in una prigione a Khenifra, città nel Marocco settentrionale. Anche un terzo amministratore della stessa pagina, Mohamed Chejii, è stato arrestato il 19 aprile e rilasciato il giorno seguente ma il procedimento nei suoi confronti è in corso e il processo per i tre era stato fissato per l’8 giugno.

Il loro avvocato ha riferito ad Amnesty International che i tre sono sotto accusa per i due post di Facebook pubblicati su Fazaz24 il 3 e il 4 aprile. Il loro primo post, che è stato condiviso su altri canali mediatici, è il video di un uomo anziano, ritenuto un tassista proveniente da Khenifra nell’area centro-settentrionale del paese, che cerca disperatamente aiuto dalle autorità locali dicendo di essere tra i quei lavoratori ai quali il lockdown ha impedito di guadagnare e di non sapere a chi rivolgersi per chiedere aiuto. Il secondo post riguardava il “clientelismo” e la distribuzione iniqua degli aiuti tra gli abitanti di Khenifra ad opera delle autorità locali durante la crisi di Covid-19.

Il 27 aprile, la polizia di Nador, una città situata nella regione marocchina nord-orientale del Rif, ha arrestato Omar Naji, rappresentante locale dell’Associazione marocchina dei diritti umani (Association Marocaine des Droits de l’Homme – Amdh), e lo ha rilasciato il giorno seguente dietro pagamento di una cauzione di 10.000 dirham (circa 920 euro). Le accuse a suo carico si riferiscono a un post su Facebook del 20 aprile nel quale ha criticato il modo in cui le autorità a Nador confiscavano a venditori non autorizzati merci da distribuire alle associazioni locali durante la crisi di Covid-19. La prima udienza del suo processo era stata fissata per il 2 giugno ma poi è stata spostata al 14 luglio.

Analogamente, il 15 maggio, la polizia ha arrestato l’attivista Abdessadek Benazzouzi originario della città di Bni Tadjite, nella provincia di Figuig, parte della regione orientale del Marocco, per due post su Facebook. Il primo, pubblicato il 13 maggio, denunciava quelle che Benazzouzi chiama “violazioni dei diritti umani”, tra le quali il “clientelismo” in merito alla distribuzione degli aiuti durante la crisi di Covid-19, la mancanza di servizi pubblici e l’emarginazione dei giovani nella distribuzione delle indennità. Il secondo, pubblicato due giorni dopo, riguardava abitanti della città che chiedevano maggiore aiuto dalle autorità e le criticavano per quella che ha definito una risposta statale basata su “repressione” e “intimidazione”. Il processo di Benazzouzi è previsto per il 18 giugno.

Amnesty International chiede alle autorità marocchine di rilasciare immediatamente Mohammed Bouzrou, Lahssen Lemrabti e tutte le persone detenute esclusivamente per aver espresso il proprio punto di vista. Le accuse nei confronti di coloro che sono stati perseguiti in maniera illegale per aver violato lo stato di emergenza devono essere archiviate“, ha concluso Amna Guellali.

Al 3 giugno, in Marocco i casi confermati riportati erano 7922 e i decessi 206.

Chiediamo alle autorità di assicurare che l’applicazione della legge sull’emergenza sanitaria non limiti in maniera arbitraria le persone nel discutere o denunciare, anche online, temi che li riguardano, anche con critiche alle politiche ufficiali e al modo in cui le autorità applicano le misure anti-Covid 19, in violazione dei loro diritti di libertà di espressione.

La risposta più efficace alla crisi sanitaria ha origine nel rispetto dei diritti umani e delle politiche che generano fiducia e solidarietà. È più probabile che le persone collaborino con le autorità e modifichino il loro comportamento se dispongono del potere e del sostegno per rispettare in maniera volontaria le misure sanitarie pubbliche necessarie, piuttosto che con la minaccia di misure coercitive“, ha concluso Guellali.