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Questa mattina si è tenuta, davanti alla Prima Sezione civile della corte di Cassazione, l’udienza pubblica sul ricorso del ministero dell’Interno contro la sentenza del 2023 del Tribunale di Roma, che aveva riconosciuto al difensore dei diritti umani Mohamed Dihani il diritto di accedere ai dati personali relativi alla segnalazione nella banca dati europea di polizia per la gestione delle frontiere (Schengen Information System, SIS) nonché, soprattutto, la cancellazione della segnalazione stessa. Quest’ultima costituisce uno degli argomenti chiave su cui le autorità italiane si sono fondate per sostenere la pericolosità dell’attivista e per negare la protezione internazionale da questi richiesta. L’esito della sentenza odierna sarà noto in seguito e potrebbe rappresentare un momento cruciale per l’affermazione dei diritti del difensore saharawi.
Il SIS è il più grande strumento di scambio di dati fra stati membri per reperire informazioni su individui ed entità con molteplici finalità, in particolare sicurezza nazionale e controllo delle frontiere. Il suo utilizzo ha spesso destato preoccupazioni per frequenti casi di segnalazioni ingiustificate e per la scarsa trasparenza.
La legislazione vigente consente alle persone registrate nel database di accedere ai propri dati personali, correggere quelli inesatti o illegittimi e chiederne la cancellazione. Tuttavia, nella pratica, esistono ostacoli significativi che spesso impediscono di esercitare questi diritti.
Nel 2022, la Commissione giuridica e per i diritti umani del Consiglio d’Europa aveva espresso preoccupazione per i casi di segnalazioni ingiustificate nella banca dati SIS, presumibilmente basate su motivazioni politiche, sottolineando come la nozione di “minaccia all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sicurezza nazionale” lasciasse ampio margine di discrezionalità agli stati membri dell’Area Schengen nel decidere se e in quali circostanze inserire segnalazioni nel SIS.
Il difensore dei diritti umani Dihani aveva presentato istanza al ministero dell’Interno e al Garante della privacy di accesso ai dati personali contenuti nel SIS e di cancellazione degli stessi, in quanto ritenuti espressione di atti persecutori posti in essere ai danni del Dihani da parte delle autorità marocchine. Il ministero dell’Interno italiano aveva a due riprese risposto che le ragioni della segnalazione a carico dell’attivista non potevano essere rivelate perché fondate su un dossier riservato e segretato, ribadendo che Dihani rappresentava una minaccia per la sicurezza nazionale. Tale ultima affermazione non è mai stata provata in giudizio dalle autorità italiane, nonostante lo svolgimento di tre distinti giudizi (quello cautelare che ha consentito l’ingresso di Dihani in Italia al fine di domandare asilo, quello ordinario relativo alla richiesta di accesso e cancellazione dei predetti dati nonché quello con cui è stato riconosciuto il suo status di rifugiato).
In tutti questi giudizi è invece emerso che Mohamed Dihani è stato duramente perseguitato in Marocco a causa del suo attivismo per i diritti del popolo saharawi e che la segnalazione appare illegittima ed infondata proprio in quanto collegata ad informazioni fornite dalle stesse autorità marocchine, agenti persecutori dell’attivista.
Per le ragioni indicate, la domanda di accesso ai dati personali relativi alla segnalazione SIS e la cancellazione di quest’ultima è stata integralmente accolta dal Tribunale ordinario di Roma con sentenza dell’ottobre 2023. Tale sentenza è stata impugnata dinanzi alla Corte di cassazione dal ministero dell’Interno, rappresentato dall’Avvocatura Generale dello Stato.
In una memoria presentata in vista dell’udienza odierna, lo stesso Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso dell’Avvocatura generale dello stato e la conferma della sentenza del Tribunale di Roma. La Procura generale, ritenendo infondate le tesi presentate dal ministero, ha ribadito la rilevanza dei diritti di accesso, rettifica e cancellazione dei dati personali e la necessità di riconoscere all’autorità giudiziaria un potere di controllo e verifica sul trattamento dei dati, anche quando si tratti di sicurezza nazionale.
La questione della segnalazione nella banca dati SIS è stata e continua ad essere centrale nelle vicende giudiziarie e nell’esercizio dei diritti fondamentali del difensore saharawi.
Dihani, infatti, si era inizialmente scontrato con la blacklist Schengen già nel 2018, quando il consolato italiano di Casablanca aveva rifiutato la sua richiesta di visto d’ingresso per cure mediche per l’Italia proprio sulla base della segnalazione SIS.
La segnalazione ha poi continuato a costituire un ostacolo nell’ottenimento della protezione internazionale, richiesta al suo arrivo in Italia nel 2022 a seguito di due ordinanze cautelari del Tribunale di Roma che avevano ordinato alle autorità italiane competenti il rilascio di un visto di ingresso sul territorio nazionale al fine di chiedere la protezione internazionale.
La richiesta di protezione internazionale era stata poi inspiegabilmente rigettata nel maggio 2023 dalla Commissione territoriale d’asilo, che giustificava la decisione sulla base del fatto che Dihani rappresentasse un pericolo per la sicurezza nazionale proprio per la segnalazione SIS e che lo stesso non avesse presentato evidenze sufficienti a giustificare i rischi in cui sarebbe incorso in caso di un suo rientro in Marocco.
Il 16 settembre scorso, infine, il Tribunale civile di Roma aveva riconosciuto a Mohamed Dihani lo status di rifugiato, dando conto del suo attivismo politico e ribadendo che l’affermazione di pericolosità per la sicurezza nazionale operata dal ministero dell’Interno fosse “assolutamente indimostrata” e dedotta da informazioni provenienti dal Marocco, paese responsabile delle persecuzioni subite dall’attivista.
Un mese dopo, a poche ore dalla scadenza dei termini, il ministero dell’Interno ha presentato ricorso dinanzi alla Corte di cassazione contro il decreto del Tribunale di Roma che ha riconosciuto lo status di rifugiato a Mohamed Dihani, ritenendo che la segnalazione nella banca dati SIS rappresenta una legittima causa di esclusione di riconoscimento dello status di rifugiato.
Alla luce di quanto sopra, l’esito dell’udienza di oggi sull’accesso e cancellazione dei dati personali all’interno della Banca dati SIS potrebbe rappresentare un elemento importante nelle complicate vicende giudiziarie dell’attivista per l’autodeterminazione del popolo saharawi Mohamed Dihani, per lungo tempo vittima di gravi violazioni dei diritti umani da parte delle autorità marocchine e da troppo tempo ancora in attesa di godere della necessaria protezione internazionale in Italia.