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“È un peccato che papa Francesco non abbia usato la parola rohingya durante il suo discorso di oggi in Myanmar, ma il suo appello per il rispetto di tutti i gruppi etnici e per una società inclusiva è benvenuto”, ha dichiarato Ming Yu Hah, vicedirettrice delle campagne sull’Asia sudorientale e il Pacifico di Amnesty International.
“La visita di papa Francesco ha contribuito ad attirare l’attenzione internazionale su Myanmar e sugli orrendi crimini che vengono commessi quotidianamente contro la popolazione rohingya”, ha sottolineato Ming Yu Hah.
“A fare scandalo durante questa visita è stata l’insistenza del comandante delle forze armate di Myanmar, Min Aung Hlaing, secondo il quale ‘non c’è alcuna discriminazione tra gruppi etnici’ nel paese. La realtà è che le autorità di Myanmar hanno intrappolato i rohingya in un sistema di repressione e segregazione che equivale al crimine contro l’umanità di apartheid. Negli ultimi mesi le forze armate di Myanmar, di cui Min Aung Hlaing è comandante, hanno portato avanti una crudele campagna di pulizia etnica contro i rohingya”, ha sottolineato Ming Yu Hah.
“Anche altre etnie e minoranze religiose di Myanmar subiscono discriminazioni e violazioni dei diritti umani da parte delle forze armate. Queste violazioni devono cessare, i diritti umani di tutti i gruppi etnici devono essere rispettati e gli autori dei crimini nei loro confronti devono risponderne, a prescindere dal grado o dalla posizione che ricoprono. Su questo, ora, la comunità internazionale deve mantenere alta l’attenzione”.
FINE DEL COMUNICATO
Roma, 28 novembre 2017
Per firmare l’appello in favore dei rohingya:
https://www.amnesty.it/appelli/myanmar-centinaia-rohingya-ancora-dispersi/
Per interviste:
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