Myanmar, gruppo armato rohingya colpevole di stragi di civili

22 Maggio 2018

© Andrew Stanbridge / Amnesty International

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Myanmar, Amnesty International accusa gruppo armato rohingya di stragi di civili

L’Esercito di salvezza dei rohingya dell’Arakan (Arsa) è responsabile di almeno un massacro, e forse di un secondo, di fino a 99 uomini donne e bambini indù e di ulteriori uccisioni illegali e di rapimenti di civili indù verificatisi nell’agosto 2017. Lo ha rivelato una ricerca condotta da Amnesty International in Myanmar, nello stato di Rakhine.

Sulla base di decine di interviste condotte sul campo e oltre il confine col Bangladesh, nonché dell’analisi condotta da antropologi forensi su numerose immagini, l’organizzazione per i diritti umani è ora in grado di descrivere i brutali attacchi compiuti dall’Arsa, che hanno seminato terrore tra i civili indù e altre comunità etniche.

“C’era grande bisogno di fare luce sulle violazioni dei diritti umani, assai sottovalutate, commesse dall’Arsa nello stato di Rakhine durante un periodo tremendamente drammatico della storia recente di Myanmar”, ha dichiarato Tirana Hassan, direttrice di Amnesty International per le risposte alle crisi.

“La grande brutalità delle azioni dell’Arsa ha avuto un impatto indelebile sui sopravvissuti con cui abbiamo parlato. Chiamare a rispondere i responsabili di quelle atrocità è fondamentale tanto quanto farlo per i crimini contro l’umanità commessi dalle forze di sicurezza di Myanmar contro i civili rohingya”, ha sottolineato Hassan.

Il massacro di Kha Maung Seik
Alle 8 di mattina del 25 agosto 2017, l’Arsa ha attaccato la comunità indù di Ah Nauk Kha Maung Seik, che fa parte di una serie di villaggi di una zona chiamata Kha Maung Seik (a nord della città di Maungdaw), in cui gli indù vivevano in prossimità dei villaggi della comunità musulmana rohingya e di quella rakhine, prevalentemente buddista.

Uomini armati vestiti di nero e rohingya in abiti civili hanno rastrellato decine di uomini, donne e bambini indù, li hanno depredati dei loro averi e li hanno condotti bendati fuori dal villaggio. Dopo aver separato le donne e i bambini dagli uomini, i militanti dell’Arsa hanno ucciso 53 persone, a iniziare dagli uomini.

Otto donne e otto dei loro figli sono sopravvissuti dopo che l’Arsa ha obbligato le donne a convertirsi all’Islam. Le 16 persone sono state poi obbligate a seguire i combattenti in Bangladesh e sono state rimpatriate nell’ottobre 2017 con il coinvolgimento delle autorità di entrambi i paesi.

“Avevano coltelli e lunghi cavi metallici. Ci hanno legato le mani dietro la schiena e bendati. Ho chiesto loro cosa avessero intenzione di fare e uno di loro ha risposto, nel dialetto rohingya: ‘Voi e i rakhine siete la stessa cosa, praticate una religione diversa dalla nostra, non potete vivere qui!’. Poi hanno chiesto di consegnare tutto ciò che avevamo e hanno iniziato a picchiarci. Io alla fine gli ho dato i soldi e i gioielli d’oro che avevo”, ha raccontato Bina Bala, una 22enne sopravvissuta al massacro.
Tutti e cinque i sopravvissuti intervistati da Amnesty International hanno riferito di aver visto parenti uccisi o di aver sentito le loro urla.

“Hanno sgozzato gli uomini. Ci dicevano di non guardare. Avevano i coltelli e alcuni anche spade e cavi di metallo. Ci siamo nascosti nella boscaglia, da cui riuscivano a vedere qualcosa. Mio zio, mio padre, mio fratello… tutti massacrati”, ha raccontato Raj Kumari, 18 anni.

Formila, 20 anni, non ha visto gli uomini nel momento in cui venivano uccisi ma i combattenti dell’Arsa “tornare indietro col sangue sulle spade e sulle mani”. Mentre con le altre sette donne rapite stava marciando verso il confine, si è girata indietro e ha visto uccidere altre donne e bambini: “Ho visto gli uomini che tenevano le donne per la testa e i capelli e gli uomini con in mano le spade che le hanno sgozzate”.

L’elenco delle persone uccise nel villaggio di Ah Nauk Kha Maung Seik consegnato ad Amnesty International contiene i nomi di 20 uomini, 10 donne e 23 bambini, 14 dei quali non avevano neanche otto anni. Questo elenco coincide con testimonianze raccolte in Bangladesh e in Myanmar, da testimoni, sopravvissuti e capi della comunità indù.

Sempre il 25 agosto 2017, i 46 abitanti del vicino villaggio di Ye Bauk Kyar sono scomparsi. La comunità indù locale ritiene che l’intero villaggio sia stato assassinato dall’Arsa.

Sommando le vittime dei due massacri, il totale è di 99 morti.

I corpi di 45 vittime di Ah Nauk Kha Maung Seik sono stati riesumati da quattro fosse comuni alla fine di settembre. Gli altri corpi, così come quelli dei 46 uccisi a Ye Bauk Kyar, non sono ancora stati ritrovati.

Altre uccisioni illegali di indù ad opera dell’Arsa
Amnesty International attribuisce all’Arsa ulteriori uccisioni e attacchi contro comunità etniche e religiose.
Il 26 agosto 2017 l’Arsa ha ucciso due donne, un uomo e tre bambini nei pressi del villaggio di Myo Thu Gyi, sempre nella zona di Maungdaw.

Questi episodi hanno coinciso con una serie di attacchi condotti dall’Arsa contro una trentina di posti di blocco delle forze di sicurezza di Myanmar. Queste ultime hanno reagito avviando una campagna illegale e sproporzionata contro la comunità rohingya, fatta di uccisioni, stupri, torture, incendi di villaggi, affamamento e altre violazioni dei diritti umani che costituiscono crimini contro l’umanità.

Oltre 693.000 rohingya sono stati costretti a fuggire in Bangladesh, dove si trovano tuttora.
Durante l’ondata di violenza nello stato di Rakhine, decine di migliaia di appartenenti a comunità etniche e religiose sono stati a loro volta costretti a fuggire. Molti di loro sono rientrati nei loro villaggi, altri continuano a restare in rifugi temporanei poiché le loro case sono state distrutte o per il timore di ulteriori attacchi dell’Arsa.

Occorrono indagini indipendenti

“I feroci attacchi dell’Arsa sono stati seguiti dalla campagna di pulizia etnica condotta dall’esercito di Myanmar contro l’intera popolazione rohingya. La condanna dev’essere totale: le violazioni commesse da una parte non possono giustificare quelle commesse dall’altra. Ogni sopravvissuto e ogni famiglia delle vittime hanno diritto alla giustizia, alla verità e alla riparazione per l’immensa sofferenza che hanno patito”, ha precisato Hassan.

La settimana scorsa, il rappresentante permanente di Myanmar presso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha criticato alcuni stati membri per aver ascoltato “solo una parte” della storia e non aver riconosciuto la violenza dell’Arsa.

“Il governo di Myanmar non può accusare la comunità internazionale di essere unilaterale se non permette l’ingresso nello stato di Rakhine. L’esatta dimensione delle violenze commesse dall’Arsa resterà sconosciuta se gli investigatori indipendenti sui diritti umani, compresa la Missione di accertamento dei fatti delle Nazioni Unite, non potranno avere libero e pieno accesso nello stato di Rakhine”, ha concluso Hassan.

Consulta il briefing: “Attacks by the arakan rohingya salvation army (Arsa) on Hindus in northern Rakhine state

FINE DEL COMUNICATO        

Roma, 22 maggio 2018

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