Photo by Omar AL-QATTAA / AFP
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“Pensavamo che finalmente avremmo potuto piangere i nostri morti in pace, fare un funerale per coloro per cui non era stato possibile e iniziare una nuova viva. Era tutto molto difficile, ma almeno potevamo pensare a qualcosa che non fosse la morte”, ha raccontato un uomo.
“Quando prendo la barca, so che il rischio di non tornare a casa dalla mia famiglia è elevato, ma non ho altra scelta. La nostra sopravvivenza dipende da quanto riesco a guadagnare vendendo quello che ho preso”, ha commentato un pescatore.
“Non ci chiediamo se il cibo sia nutriente o meno, se sia fresco o no. Mettere qualcosa nello stomaco dei nostri figli è già un lusso. Non voglio che muoiano”, sono le parole di un padre di famiglia.
“Mi sveglio con la bocca secca, non riesco neanche a parlare. Per rimediare appena poche bottiglie di acqua potabile, devo mandare mio figlio a fare una fila di ore in un posto lontano da qui. Coi bombardamenti incessanti in corso, non sai mai come andrà a finire. Puoi mandare tuo figlio a prendere l’acqua e può tornarti indietro dentro un sacco per cadaveri. Ogni giorno è così”, ha raccontato una donna.
“Siamo l’unico ospedale della Striscia di Gaza che fa dialisi alle bambine e ai bambini. Ma non è rimasto più nulla, comprese le fistule arterovenose con cui prepariamo i pazienti alla dialisi. Le bambine e i bambini arrivano emaciati per la mancanza di cibo. Puoi raccomandare quanto vuoi ai genitori di dare loro cibo specifico ma sai benissimo che quella raccomandazione è impossibile da seguire”.