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Dal 20 settembre sarà nelle sale il film Sembra mio figlio della regista Costanza Quatriglio.
Il film racconta la storia di due fratelli, appartenenti alla minoranza hazara, scampati da bambini alle persecuzioni in Afghanistan, rifugiati in Italia, e della loro ricerca della famiglia perduta e della madre, un ritorno verso Oriente che segnerà il destino di entrambi.
Il film ha ricevuto il patrocinio di Amnesty International Italia. Ecco la motivazione.
Era appena terminata la proiezione di “Sembra mio figlio”, cui Costanza Quatriglio ci aveva invitato. Il pensiero è subito stato: “Questo è un film per Amnesty International”.
Siamo un’organizzazione per i diritti umani e non una giuria cinematografica, anche se molti di noi per ragioni professionali legate a un programma denominato “Arte e diritti umani” frequentano festival e sale cinematografiche.
Dunque, seppur privi di specifiche competenze tecniche, crediamo di saper riconoscere le qualità estetiche e il valore etico di un film, la passione della regista, la sua ostinazione nel raccontare fino alla fine una sorta di “ricongiungimento familiare al contrario” che ha luogo nel territorio di partenza e non in quello di esilio.
“Sembra mio figlio” è, allora, in primo luogo, un film bello.
E poi, nel senso migliore di questo aggettivo, è un film “utile”.
La sua distribuzione nelle sale italiane consentirà ad Amnesty International di contribuire a far conoscere due realtà contemporanee semi-sconosciute: la discriminazione cui va incontro la comunità hazara in Pakistan e soprattutto in Afghanistan – dove subisce veri e propri crimini di guerra; e le migliaia di rimpatri forzati di afgani che hanno cercato riparo in Europa e che vengono rinviati nel loro paese di origine, cinicamente definito “sicuro”.
Che l’Europa rimandi persone in fuga dalla guerra in un paese in cui dal 2016 vi sono state almeno 20.000 vittime civili – in gran parte a seguito di attentati dei gruppi armati, aumentati anche a seguito della metastasi del gruppo Stato islamico che è arrivato fino in Afghanistan – è semplicemente inconcepibile e inaccettabile.
Poche settimane prima di vedere “Sembra mio figlio”, il ministro dell’Interno della Germania aveva inteso festeggiare il suo 69° compleanno rimpatriando 69 afgani. Poco dopo l’arrivo nella capitale Kabul, uno di loro si è suicidato. Era un hazara.
Infine, grazie a “Sembra mio figlio”, negli incontri col pubblico, sarà possibile raccontare anche i gesti di grande coraggio civile di piloti e passeggeri di aerei che rifiutano o impediscono di partire quando scoprono che a bordo c’è un afgano.