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Amnesty International ha sollecitato le autorità iraniane ad annullare urgentemente la condanna a morte di Ahmadreza Djalali, ricercatore nel campo della medicina dell’emergenza, nato in Iran e residente in Svezia. Djajali, che ha svolto studi e ricerche in Svezia, Italia e Belgio, è stato arrestato in Iran nell’aprile 2016.
Zeynab Taheri, del team legale di Djalali, ha riferito ad Amnesty International che il suo cliente è stato condannato a morte per il reato di “corruzione sulla Terra“, oltre che a una multa equivalente a 200.000 euro. La sentenza, mostrata a uno dei suoi avvocati, sostiene che Djalali lavorava per conto del governo israeliano, che lo aveva aiutato a ottenere il permesso di soggiorno in Svezia.
“Ahmadreza Djalali è stato condannato a morte al termine di un processo profondamente irregolare che mette in evidenza non solo l’ostinazione delle autorità iraniane per l’uso della pena di morte ma anche il loro enorme disprezzo per lo stato di diritto“, ha dichiarato Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e sull’Africa del Nord di Amnesty International.
“Non è stata presentata alcuna prova per dimostrare che Djalali sia altro rispetto a un accademico che porta avanti in modo pacifico la sua professione. Se la condanna è stata motivata dal suo pacifico esercizio dei diritti alla libertà d’espressione, di associazione e di riunione anche attraverso la professione accademica, allora le autorità iraniane devono rilasciarlo immediatamente e senza condizioni e annullare tutte le accuse nei suoi confronti“, ha proseguito Luther.
Ahmadreza Djalali è stato arrestato da funzionari del ministero dell’Intelligence nell’aprile 2016. Per sette mesi, tre dei quali passati in isolamento, non ha potuto incontrare un avvocato. Anche dopo quel periodo, i legali di sua scelta sono stati rifiutati dal tribunale.
In un audio pubblicato su YouTube il 22 ottobre, Ahmadreza Djalali afferma che, durante l’isolamento, è stato costretto per due volte a rilasciare “confessioni” di fronte a una telecamera, leggendo una dichiarazione scritta dai funzionari che lo interrogavano. Aggiunge che è stato sottoposto a forti pressioni, attraverso torture psicologiche e minacce di metterlo a morte e di arrestare i suoi figli, per obbligarlo a “confessare” di fare spionaggio per conto di un “governo nemico”. Infine, nega le accuse nei suoi confronti sostenendo che sono state fabbricate dai funzionari del ministero dell’Intelligence che lo stavano interrogando.
“Mentre le autorità iraniane stanno stringendo i legami con i paesi dell’Unione europea, è assurdo che usino le relazioni accademiche di Djajali con l’Europa come ‘prove’ a suo carico”, ha sottolineato Luther.
La moglie di Ahmadreza Djalali, Vida Mehrannia, residente in Svezia con i loro due figli, ha denunciato ad Amnesty International che la salute fisica e mentale del marito è rapidamente peggiorata dall’arresto. “Chiediamo il suo rilascio, perché non ha commesso alcun reato”, è stato il suo appello.
FINE DEL COMUNICATO
Roma, 23 ottobre 2017
Per firmare l’appello in favore di Ahmadreza Djalali:
https://www.amnesty.it/appelli/iran-ricercatore-universitario-rischia-la-pena-morte/
Per interviste:
Amnesty International Italia – Ufficio Stampa
Tel. 06 4490224 – cell. 348 6974361, e-mail: press@amnesty.it