©2024 Planet Labs
Tempo di lettura stimato: 5'
ATTENZIONE: l’articolo contiene descrizioni di violenze
Nuove prove di attacchi illegali e mortali nella Striscia di Gaza occupata, raccolte da Amnesty International, mostrano come le forze israeliane continuino a ignorare il diritto internazionale umanitario, cancellando famiglie intere nella completa impunità.
L’organizzazione per i diritti umani ha svolto un’indagine su quattro attacchi israeliani – tre nel dicembre 2023, dopo la fine della “pausa umanitaria”, e uno nel gennaio 2024 – che hanno ucciso almeno 95 civili, tra i quali 42 bambini. Gli attacchi hanno colpito il governatorato di Rafah, all’estremità meridionale della Striscia di Gaza e asseritamente la zona “più sicura”, dove tuttora le forze israeliane stanno accelerando i preparativi per un’operazione da terra, che avrà conseguenze devastanti per oltre un milione di persone stipate in un’area di 63 chilometri quadrati a seguito di successive ondate di sfollamenti di massa.
In tutti e quattro gli attacchi, non è stata trovata alcuna indicazione che gli edifici colpiti potessero essere considerati legittimi obiettivi militari e ciò ha sollevato preoccupazioni che si sia trattato di attacchi diretti contro civili e obiettivi civili, da indagare come crimini di guerra.
Anche se le forze israeliane avessero voluto colpire legittimi obiettivi militari nelle vicinanze, è evidente che quegli attacchi non abbiano fatto distinzione tra obiettivi militari e obiettivi civili: in questo caso, si tratterebbe di attacchi indiscriminati, a loro volta crimini di guerra. Le prove raccolte da Amnesty International hanno inoltre portato alla conclusione che l’esercito israeliano non abbia dato preavviso degli attacchi o alcun avviso efficace per lo meno alle persone residenti negli edifici colpiti.
“Intere famiglie sono state spazzate via dagli attacchi israeliani, persino dopo che avevano cercato scampo in zone definite ‘sicure’ e senza che avessero ricevuto alcun preavviso. Questi attacchi seguono un costante schema di violazione del diritto internazionale umanitario e contraddicono le affermazioni delle autorità di Israele, secondo le quali le loro forze stanno prendendo maggiori precauzioni per ridurre al minimo i danni ai civili”, ha dichiarato Erika Guevara-Rosas, direttrice delle ricerche di Amnesty International.
Tre dei quattro attacchi sono stati portati a termine di notte quando era probabile – come poi è stato – che le persone residenti negli edifici colpiti, tra le quali intere famiglie sfollate da altre zone della Striscia di Gaza, stessero dormendo.
“Tra le persone uccise in questi attacchi illegali c’erano una neonata di neanche tre settimane di vita, un noto medico di 69 anni in pensione, un giornalista che aveva accolto in casa persone sfollate e una madre che divideva un letto con la figlia di 23 anni. Le dolorose testimonianze dei sopravvissuti dovrebbero ricordarci che questi crimini di atrocità nella Striscia di Gaza rappresentano una macchia sulla coscienza collettiva del mondo”, ha aggiunto Guevara-Rosas.
“Dopo che, nella sua sentenza provvisoria, la Corte internazionale di giustizia ha affermato che il rischio di genocidio è concreto e imminente, le orribili descrizioni di questi quattro attacchi ribadiscono quanto sia urgente che tutti gli stati premano per un immediato e duraturo cessate il fuoco, che è il mezzo più efficace per attuare le misure cautelari ordinate dalla Corte, e quanto sia importante imporre un embargo totale sulle armi dirette a tutte le parti in conflitto”, ha sottolineato Guevara-Rosas.
Amnesty International ha visitato i luoghi dei quattro attacchi, ha fatto foto e video delle distruzioni e ha intervistato 18 persone: 14 sopravvissuti e quattro parenti che avevano preso parte alle operazioni di soccorso. Il Crisis Evidence Lab dell’organizzazione ha analizzato immagini satellitari, foto e video per geolocalizzare e verificare gli attacchi e le distruzioni provocate.
©2024 Planet Labs
Il 12 dicembre 2023, alle 3.02 di notte, un attacco israeliano nel quartiere Zuhor di Rafah ha direttamente centrato due abitazioni appartenenti alla famiglia Harb, uccidendo 25 civili: 10 bambini, nove uomini e sei donne, una delle quali all’ottavo mese di gravidanza. I feriti sono stati almeno 17. L’attacco ha completamente distrutto le due abitazioni e ha danneggiato gravemente tre edifici adiacenti.
Nell’attacco, Islam Harb, 30 anni, ha perso tre dei suoi quattro figli: le due gemelle Jude e Maria di cinque anni e Ammar di sei anni. Questa è la sua testimonianza:
“Ho sentito un’enorme esplosione. Non ricordo di aver visto alcunché, ho solo sentito quell’enorme boato e poi sono svenuto. Mi sono risvegliato in ospedale e ho iniziato a chiedere dei miei figli. Leen, di quattro anni, è l’unica sopravvissuta. La mia famiglia ha passato giorni a scavare tra le macerie per tirare fuori i morti. Il corpo di mio fratello Khalil [25 anni] l’hanno ritrovato a 200 metri di distanza a causa della potenza dell’esplosione. I piccoli corpi dei miei figli erano ridotti a pezzi”.
Islam Harb non ha la minima idea del motivo per cui la loro abitazione sia stata presa di mira. Ha dichiarato di non aver ricevuto alcun preavviso prima dell’attacco. Tra le altre persone uccise nell’attacco c’erano sua madre Inaam di 52 anni; le sorelle Abir e Najwa di 23 e 26 anni; e altri due fratelli, Mohammed al-Hadi e Zein al-Abidine, di 22 e 15 anni.
La famiglia Harb stava ospitando parenti costretti a lasciare Gaza City su ordine delle forze israeliane. Islam Harb ha assicurato che li conosceva bene e che non avevano alcun’affiliazione politica.
Ahlam Harb, una sorella di Islam, è sopravvissuta all’attacco. Le è stato amputato un dito:
“È un miracolo che sia viva e stia parlando con voi. Ho dolori continui, soprattutto ai polmoni, non riesco a respirare bene. Ho perso mia madre, mia sorella Najwa, suo marito e tutti i loro bambini. Abir, la mia sorella adorata, la persona a me più cara… hanno ucciso anche lei. La sua morte è stata una pugnalata alla schiena. Mio fratello Mohammed al-Hadi l’hanno riconosciuto solo per i capelli. Di mio fratello Khalil era rimasta solo una mano. I miei bambini sono stati estratti vivi dalle macerie. Li guardo e non riesco a credere che siano ancora vivi”.
Abir aveva già testimoniato ad Amnesty International, dopo che il suo fidanzato e la madre di quest’ultimo erano stati uccisi da un attacco israeliano durante l’offensiva di tre giorni contro la Striscia di Gaza dell’agosto 2022.
Dalle testimonianze e dalle prove fotografiche, che mostrano almeno due crateri, è risultato chiaro che l’edificio sia stato colpito più di una volta. Israele non ha fornito alcuna spiegazione. Amnesty International ha visitato il luogo due volte e ha esaminato l’elenco delle persone morte o ferite. L’organizzazione non ha rinvenuto alcuna prova che, nella zona, vi fossero obiettivi militari o che le persone presenti nell’edificio al momento dell’attacco fossero obiettivi militari. Vi sono, dunque, forti preoccupazioni che l’attacco alla famiglia Harb sia stato un attacco diretto contro civili e obiettivi civili che dev’essere indagato come crimine di guerra.
Alle 11.45 del 14 dicembre 2023 un attacco israeliano ha completamente distrutto un edificio di tre piani nel quartiere Brazil di Rafah, appartenente ad Abdallah Shehada, 69 anni, chirurgo in pensione e già direttore dell’ospedale Abu Yousef al-Najjar. Abdullah Shehada è stato ucciso insieme ad almeno altri 29 civili: 11 bambini, sette uomini e 11 donne. Almeno altre dieci persone sono rimaste ferite. La vittima più grande era Hamdi Abu Daff, uno sfollato di 86 anni; la più piccola, Ayla Nasman, aveva appena tre mesi.
Il figlio di Abdallah Shehada, Yousef, di 36 anni, chirurgo all’ospedale europeo di Khan Younis e che ha perso suo fratello Yahia, di 29 anni, studente di Informatica, aveva lasciato l’edificio un’ora prima dell’attacco:
“Era l’abitazione di un medico che aveva dedicato la sua vita ad aiutare la gente, una casa dove persone sfollate avevano cercato rifugio. Abbiamo passato giorni a scavare tra le macerie per recuperare i corpi di persone che cercavano solo di stare al riparo. Conoscevamo tutte le persone che si trovavano all’interno”.
Almeno due delle persone sfollate e che si trovavano presso la famiglia Shehada avevano il permesso di lavorare in Israele, dunque erano state sottoposte a rigorosi controlli da parte delle autorità israeliane.
Ahmad Nasman, un fisioterapista di 30 anni, ha perso la moglie Oula – 29 anni, a sua volta fisioterapista – e tre figli: Arwa di cinque anni; Karam di quattro anni; e Ayla di tre mesi. L’attacco ha ucciso anche i suoi genitori – Hassan di 63 anni e Omaya di 58 anni – e la sorella Aya di 28 anni.
Ahmad Nasman ha raccontato ad Amnesty International che, un mese dopo che i genitori si erano trasferiti dalla famiglia Shehada, a metà novembre li aveva raggiunti insieme alla moglie e ai figli. Avevano fatto un viaggio tremendo da Gaza City a Rafah su un carretto trainato da un cavallo, attraverso il cosiddetto “corridoio sicuro”, che ha descritto come “il corridoio dell’inferno”. I figli erano rimasti terrorizzati alla vista dei soldati israeliani che eseguivano perquisizioni corporali.
Il giorno dell’attacco, Ahmad Nasman si trovava in un mercato nelle vicinanze. Ha sentito l’esplosione ed è corso verso l’edificio in fiamme:
“Tutto era completamente distrutto: c’erano solo macerie, fumo e pietre”.
Ci ha messo quattro giorni per ritrovare il corpo della piccola Aya tra le macerie, riconoscendola solo dai vestiti, e quello dell’altra figlia Arwa, decapitato.
“Quando è iniziata la guerra, mi ero dato un’unica missione: proteggere i miei figli. Avrei voluto stare con loro quando c’è stato l’attacco. Il mio corpo è sopravvissuto ma la mia anima è morta con loro, è stata sbriciolata sotto le macerie insieme a loro”.
Un sopravvissuto, che ha chiesto di rimanere anonimo, ha raccontato di aver trascorso quasi otto ore sotto le macerie con una gamba rotta, in grado solo di muovere un braccio. Nell’attacco ha perso la moglie e il figlio. Si trovava sulla porta d’ingresso, dopo essere andato fuori a cuocere il pane su un fuoco di legna, quando improvvisamente è volato in aria, è andato a sbattere contro un muro e ha perso conoscenza. È rinvenuto sotto le macerie: “Ho iniziato a urlare, a gridare che venissero ad aiutarmi. Ero sotto le macerie, come in una minuscola cantina. Potevo vedere le persone che cercavano di tirarmi fuori da lì. Ho urlato per due ore, c’era un sacco di rumore, sentivo il rumore delle scavatrici”.
Thaer al-Haddad, di 27 anni, è stato soccorso immediatamente ma i suoi genitori – Salama di 48 anni e Maysara di 47 anni – sono rimasti uccisi insieme alla moglie Aya di 28 anni.
“Il dottor Abdallah era una persona molto prudente, tutte le persone nell’edificio erano suoi familiari o amici stretti.”
Dalle ricerche di Amnesty International non è emersa alcuna indicazione che vi fossero obiettivi militari all’interno o nei pressi dell’edificio o che questo fosse un obiettivo militare. Vi sono forti preoccupazioni dunque che anche questo attacco, su cui Israele non ha ancora fornito alcuna informazione, sia stato diretto contro civili e obiettivi civili.
All’1.30 del 19 dicembre 2023 un attacco israeliano ha colpito l’edificio di due piani di Omar Zu’rub, nella zona occidentale di Rafah, uccidendo 22 civili: 11 bambini, sette uomini e quattro donne. La vittima più anziana, lo stesso capo-famiglia, aveva 75 anni; la più giovane, la sua bisnipote al-Amira Aisha, aveva meno di tre settimane di vita e doveva ancora essere registrata all’anagrafe. L’edificio è stato completamente distrutto e tre edifici vicini sono stati gravemente danneggiati.
Amnesty International è stata in grado di confermare l’identità di almeno 16 dei feriti ma il totale dev’essere stato di varie decine, in quanto in uno degli edifici gravemente danneggiati si erano rifugiate una settantina di persone.
Tutte le persone che stavano dormendo al primo piano sono morte: Omar Zu’rub di 75 anni; sua moglie Rowaida di 70 anni; il loro figlio Mahmoud di 36 anni; la moglie di quest’ultimo, Mervat, di 35 anni; e tutti i loro figli: Farah di 16 anni, Omar di 14 anni, Mohammed di 13 anni e Dima di un anno. L’altro figlio di Omar Zu’rub, Mamdouh, un funzionario civile di 39 anni, era al piano di sopra con la famiglia. È stato ucciso insieme alla figlia Roua, che aveva appena compiuto 16 anni.
Malak al-Shaer, la moglie di Mamdouh, ha raccontato ad Amnesty International che stavano tutti dormendo. Si è svegliata sotto le macerie.
“Non riuscivo ad aprire gli occhi. Era pieno di vetri, schegge e sabbia. A parte un piede, tutto il resto del corpo era sotto le macerie. Ci avranno messo 20 minuti prima di tirarmi fuori”.
Malak al-Shaer ha riportato gravi danni, anche al volto. Le schegge entrate negli occhi le hanno danneggiato la vista. È stata dimessa dopo appena due settimane, dato che il collasso del sistema sanitario nel sud della Striscia di Gaza ha reso gli ospedali sovraffollati e disperatamente sotto-equipaggiati.
In uno degli edifici vicini gravemente danneggiati, un’abitazione a due piani appartenente al giornalista Adel Zu’rub, c’erano almeno 70 persone della famiglia al-Lada, fuggite da Tal al-Hawa, un quartiere di Gaza City, nella seconda settimana dall’inizio dell’offensiva israeliana. L’attacco ha ucciso Adel Zu’rub e nove membri della famiglia al-Lada.
Aref al-Lada, 52 anni, uno dei sopravvissuti, ha detto ad Amnesty International:
“Mura, pietre, cemento e vetri ci sono piombati addosso. La potenza dell’esplosione ha fatto crollare le mura e le colonne portanti”.
Mohamed Zu’rub, la cui abitazione è stata a sua volta gravemente danneggiata, ha dichiarato che l’attacco ha colpito un blocco di edifici, pieno di famiglie:
Le ricerche di Amnesty International non hanno trovato prove che le persone che erano nell’edificio della famiglia di Omar Zu’rub, quello colpito direttamente dall’attacco israeliano, fossero affiliate a qualche gruppo armato né che vi fossero obiettivi militari nell’edificio o nei suoi pressi. Anche in questo caso vi sono forti preoccupazioni che l’attacco, su cui Israele deve ancora dare spiegazioni, sia stato diretto contro civili e obiettivi civili e debba quindi essere indagato come crimine di guerra.
Poco dopo le 23 del 9 gennaio 2024 un attacco israeliano ha colpito gli ultimi due dei cinque piani dell’edificio della famiglia Nofal, situato a Tal al-Sultan, una zona di Rafah verso la quale l’esercito israeliano aveva ripetutamente ordinato agli sfollati di recarsi.
L’attacco ha ucciso 18 civili: 10 bambini, quattro uomini e quattro donne. Almeno altre otto persone sono rimaste ferite. Sedici delle 18 vittime erano al quarto e al quinto piano. Le altre due, un uomo e un bambino, erano vicini appartenenti alla famiglia Awadallah, la cui casa fatta di lamiera è crollata sotto le macerie dell’abitazione della famiglia Nofal.
Nidal Nofal, 47 anni, un’infermiera che viveva al piano terra, ha raccontato ad Amnesty International che nell’edificio si trovavano loro parenti di Khan Younis, cui l’esercito israeliano aveva ordinato di evacuare verso Rafah.
“La mappa [dell’esercito israeliano] menzionava espressamente Tal al-Sultan come uno dei quartieri sicuri. Qualche minuto dopo le 23 mio figlio ha urlato di aver sentito un’esplosione. Ho aperto la porta e guardato fuori: c’erano pezzi di vetro che volavano ovunque”.
Gli esperti in armamenti di Amnesty International hanno esaminato le foto dei frammenti recuperati dalle macerie e hanno concluso che l’attacco è stato portato a termine con una bomba GBU-39 di piccolo diametro, un’arma guidata di precisione con una testata più piccola, il che spiega perché siano stati colpiti i piani alti dell’edificio. Quella bomba è prodotta negli Usa dalla Boeing.
Come per gli altri attacchi, Israele non ha fornito alcuna spiegazione. Amnesty International, sulla base delle sue ricerche e della verifica dei nomi delle persone che si trovavano nei due piani colpiti e di quelle uccise e ferite, non ha trovato alcuna indicazione che le persone presenti nell’edificio fossero legittimi obiettivi militari. Si è probabilmente trattato di un attacco diretto contro civili e obiettivi civili oppure di un attacco indiscriminato, portato a termine senza aver preso tutte le precauzioni possibili per evitare di uccidere e ferire civili e senza essere certi di colpire militari e non civili.
“Le nostre ricerche stanno fornendo prove evidenti delle raccapriccianti conseguenze degli incessanti e illegali attacchi israeliani nella Striscia di Gaza. A quattro mesi dall’inizio dell’offensiva israeliana, sono stati uccisi oltre 28.000 palestinesi e oltre 60.000 sono rimasti feriti in mezzo a una catastrofe umanitaria senza precedenti. Alla luce dell’agghiacciante livello di morte e distruzione, tutti gli stati hanno il chiaro obbligo di agire per prevenire il genocidio. Invece, continuano a non fare richieste esplicite di un cessate il fuoco e ad alimentare crimini di guerra fornendo armi a Israele”, ha accusato Guevara-Rosas.
“I familiari di alcune delle vittime ci hanno detto che a farle andare avanti, nonostante le loro perdite, è la lotta per avere qualche forma di giustizia. Le loro parole mettono in luce l’importanza di porre fine alla duratura impunità per i crimini di guerra e per gli altri crimini di diritto internazionale commessi dalle forze israeliane. Da qui, l’urgente necessità che l’ufficio del procuratore della Corte penale internazionale acceleri le sue indagini sulle prove di crimini di guerra e di altri crimini di atrocità commessi da tutte le parti in conflitto”, ha concluso Guevara-Rosas.
Oltre a questi quattro attacchi, Amnesty International ha documentato vari altri casi in cui, dal 7 ottobre 2023, le forze israeliane hanno compiuto attacchi illegali che hanno ucciso e ferito civili. Agli incessanti bombardamenti si assommano l’assedio imposto sulla Striscia di Gaza, il deliberato impedimento di accedere ad acqua e cibo che ha causato la fame e un crescente rischio di carestia, nonché la distruzione dei sistemi sanitari ed educativi e di altre infrastrutture di primaria importanza.
Successive ondate di sfollamenti di massa hanno trasformato Rafah nell’area più sovraffollata della Striscia di Gaza: oltre un milione di persone, per lo più sfollate, vivono in condizioni drammatiche in tende e in edifici scolastici. La popolazione del governatorato di Rafah è aumentata di cinque volte rispetto al periodo pre-guerra. Se Israele lancerà l’offensiva di terra contro Rafah, le conseguenze saranno molto probabilmente cataclismatiche per gli sfollati che non hanno un luogo dove andare e per l’intero sistema degli aiuti che già adesso è proprio al limite.
Il 7 ottobre 2023 Hamas e altri gruppi armati palestinesi hanno lanciato razzi indiscriminati e inviato combattenti all’interno del sud di Israele, commettendo crimini di guerra come l’intenzionale uccisione di massa di civili e la presa di ostaggi. Secondo le autorità israeliane sono state uccise almeno 1139 persone e oltre 200, per lo più civili compresi 33 bambini, sono state prese in ostaggio da Hamas e altri gruppi armati palestinesi e portate a Gaza.
Nella “pausa umanitaria” in vigore dal 24 novembre al 1° dicembre 2023 erano tornati in libertà 133 ostaggi israeliani e 240 palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane.