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Il 2 dicembre 2021, con un voto a maggioranza il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha avviato la procedura formale d’infrazione contro la Turchia per non aver scarcerato il difensore dei diritti umani Osman Kavala, in prigione da oltre quattro anni per motivi politici.
Nella sua risoluzione provvisoria, il Comitato dei ministri ha ricordato che la Turchia non ha garantito il rilascio immediato di Kavala, “rifiutando di rispettare il giudizio finale della Corte [europea dei diritti umani]” emesso nel dicembre 2019.
In quella occasione, la Corte aveva stabilito che la detenzione di Kavala, ufficialmente imprigionato per aver finanziato le proteste di Gezi Park nel 2013 e per il suo coinvolgimento nel tentato colpo di stato del luglio 2016, non aveva altro motivo che ridurlo al silenzio in quanto difensore dei diritti umani. La Corte, pertanto, aveva chiesto al governo turco di “prendere tutte le misure necessarie per porre fine alla detenzione del ricorrente e assicurare il suo rilascio immediato”.
Kavala si trova nella prigione di alta sicurezza di Silivri, detenuto arbitrariamente da oltre quattro anni. Per aggirare la sentenza della Corte, l’udienza del 26 novembre lo ha visto imputato di un nuovo processo kafkiano nel quale, insieme ad altri 51 imputati tra cui tifosi di calcio, deve rispondere di “tentato rovesciamento dell’ordine costituzionale”, “tentato rovesciamento del governo” e “spionaggio militare e politico”.
Il Comitato dei ministri ha informato la Turchia che nella sessione del 2 febbraio 2022, chiederà alla Corte europea dei diritti umani di stabilire se la Turchia sia venuta meno all’obbligo di rispettare l’articolo 46.1 della Convenzione europea dei diritti umani e ha chiesto alla Turchia di sottomettere suoi commenti entro il 19 gennaio 2022.