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Se la pandemia da Covid-19 arriverà nei centri di detenzione per migranti degli Usa sarà un disastro: è questo il timore che abbiamo espresso il 7 aprile, a fronte della crescita dei contagi nel paese.
Gli Usa vantano il triste primato del più esteso sistema di detenzione di migranti del mondo: oltre 200 centri, che attualmente ospitano circa 40.000 persone, gestiti dall’Immigration and Customs Enforcement (Agenzia per l’immigrazione e le dogane, Ice).
In diversi centri di detenzione sono stati intrapresi scioperi della fame per denunciare le pericolose e inadeguate condizioni igienico-sanitarie e sollecitare provvedimenti di scarcerazione. Non solo mancano forniture sufficienti di prodotti per l’igiene e la sanificazione, non solo rispettare il distanziamento sociale è impossibile ma quel che è peggio è che proseguono gli ingressi e i trasferimenti di migliaia di detenuti da un centro all’altro degli Usa.
“Privare della libertà personale durante una pandemia per mere ragioni migratorie è una politica crudele, salvo quando non sia applicata nelle più eccezionali circostanze“, ha dichiarato Erika Guevara-Rosas, direttrice di Amnesty International per le Americhe.
Abbiamo ricevuto segnalazioni di numerosi casi di sospetta positività su cui, a detta degli avvocati che se ne stanno occupando, la direzione dell’Ice non commenta né fornisce chiarimenti. Moltissimi detenuti sarebbero immunodepressi a causa dell’Hiv, vivono in promiscuità con altri detenuti e col personale dell’Ice e non stanno ricevendo dispositivi di protezione. Non sono stati effettuati tamponi e non vi è alcun progetto di farli.
Una delle situazioni più atroci documentata è quella della struttura di Karnes, in Texas. Qui anche il personale interno non ha potuto effettuare i tamponi e non vi è quantità adeguata di medicinali neanche per curare mal di testa o raffreddori. Le famiglie di immigrati detenute lamentano sintomi preoccupanti come tosse, congestione nasale e febbre.
Abbiamo sollecitato pertanto l’Ice ad assumere provvedimenti umanitari nei confronti dei migranti detenuti nelle sue strutture, rilasciandoli tutti (salvo i più eccezionali dei casi) a partire dagli anziani, da quelli che sono in cattive condizioni di salute e dai nuclei familiari.