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Repubblica Islamica dell’Iran

Le autorità hanno ulteriormente represso i diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica. Donne e ragazze, persone lgbti e minoranze etniche e religiose hanno subìto sistematiche discriminazioni e violenze. Le autorità hanno intensificato il giro di vite contro le donne che sfidavano le leggi sull’obbligo di indossare il velo, la comunità baha’i e le persone rifugiate e migranti afgane. Migliaia di persone sono state arrestate arbitrariamente, interrogate, vessate e/o perseguite ingiustamente per avere esercitato i loro diritti umani. I processi sono rimasti sistematicamente iniqui. Sparizioni forzate e tortura e maltrattamento sono rimasti fenomeni diffusi e sistematici. Sono state eseguite punizioni crudeli e disumane, come la fustigazione e l’amputazione. La pena di morte è stata utilizzata in modo arbitrario, con percentuali sproporzionate tra le minoranze etniche e migranti. È prevalso ancora un clima di impunità strutturale per i crimini contro l’umanità del presente e del passato, così come per i massacri nelle carceri risalenti al 1988 e altri crimini secondo il diritto internazionale.

 

CONTESTO

Ad aprile, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha rinnovato il mandato del Relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nella Repubblica islamica dell’Iran e della Missione internazionale indipendente di accertamento dei fatti in Iran (Fact-Finding Mission on Iran – Ffmi). Le autorità hanno rifiutato l’ingresso nel paese sia a loro sia ad altri esperti indipendenti delle Nazioni Unite e osservatori internazionali sui diritti umani.

A maggio, il presidente Ebrahim Raisi è morto in un incidente di elicottero. A luglio gli è succeduto Masoud Pezeshkian, dopo un’elezione caratterizzata da bassa affluenza in cui il Consiglio dei guardiani aveva ammesso soltanto sei degli 80 candidati registrati.

L’Iran ha continuato a sostenere Hamas, altri gruppi armati palestinesi ed Hezbollah. Ad aprile, l’Iran ha lanciato più di 300 munizioni a lungo raggio contro Israele, come rappresaglia per un attacco a un consolato iraniano in Siria, in cui erano morti sette membri del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche. A ottobre, l’Iran ha lanciato quasi 200 missili balistici contro Israele, in risposta all’uccisione di Ismail Haniyeh, leader politico di Hamas, e Hassan Nasrallah, segretario generale di Hezbollah. Nell’attacco è rimasto ucciso un civile palestinese in Cisgiordania, nel Territorio Palestinese Occupato. Lo stesso mese, Israele ha lanciato raid aerei contro 20 obiettivi in territorio iraniano, uccidendo un civile e quattro membri del personale militare.

L’Iran ha fornito supporto militare al governo di Bashar al-Assad in Siria prima della sua deposizione, l’8 dicembre.

L’Iran ha fornito droni e missili balistici alla Russia, che sono stati utilizzati per colpire infrastrutture civili in Ucraina.

 

LIBERTÀ D’ESPRESSIONE, ASSOCIAZIONE E RIUNIONE

Le autorità hanno censurato i media, disturbato con interferenze canali televisivi satellitari e continuato a bloccare o filtrare applicazioni di telefonia mobile e piattaforme di social media.

Le autorità hanno continuato a vietare tutti i partiti politici indipendenti, le organizzazioni della società civile e i sindacati, e a sottoporre a rappresaglie i lavoratori, tra cui personale infermieristico, insegnanti e attivisti sindacali che scioperavano e partecipavano a raduni pacifici.

Il disegno di legge sulla protezione degli utenti di Internet che, se promulgato, avrebbe violato il diritto alla privacy ed eroso ulteriormente le libertà online e l’accesso a Internet, era ancora in attesa di approvazione da parte del parlamento. A gennaio, il leader supremo ha approvato un decreto che avrebbe vietato l’utilizzo di reti virtuali private (Virtual Private Networks – Vpn) e costretto gli utenti a fare affidamento sulla copertura Internet nazionale.

A giugno sono stati aperti fascicoli penali contro centinaia di persone per avere criticato pubblicamente Ebrahim Raisi dopo la sua morte. Altre centinaia hanno ricevuto telefonate intimidatorie, avvertimenti o mandati di comparizione dopo che le autorità avevano dichiarato che “incoraggiare” il boicottaggio delle elezioni presidenziali attraverso la rete era un reato.

Le autorità hanno sottoposto le famiglie delle vittime uccise illegalmente durante la rivolta “Donna Vita Libertà” e le proteste del novembre 2019 a violazioni per la loro richiesta di giustizia. Le autorità hanno sottoposto manifestanti, donne e ragazze che sfidavano le leggi sull’obbligo del velo, giornalisti, artisti, scrittori, accademici, studenti dell’università, persone lgbti, appartenenti a minoranze etniche e religiose e difensori dei diritti umani a violazioni per avere esercitato i loro diritti umani, anche in vista del secondo anniversario della rivolta del 2022, a settembre1. Queste comprendevano interrogatori, detenzione arbitraria, sparizione forzata, procedimenti giudiziari ingiusti che hanno determinato condanne al carcere, alla fustigazione o multe, e sospensione o espulsione dagli studi o dal lavoro.

 

SPARIZIONI FORZATE, TORTURA E MALTRATTAMENTO

Le autorità hanno regolarmente sottoposto persone detenute a sparizione forzata e detenzione in incommunicado. Tortura e maltrattamenti sono stati impiegati in modo diffuso e sistematico. Le “confessioni” forzate ottenute sotto tortura sono state trasmesse alla televisione di stato.

Diverse persone detenute arbitrariamente per motivi politici in strutture psichiatriche sono state sottoposte a tortura e maltrattamento, anche attraverso la somministrazione forzata di farmaci.

Le direzioni delle carceri e le procure negavano regolarmente cure mediche adeguate, anche per le lesioni dovute alle torture.

Diverse persone sono decedute in custodia in circostanze sospette e ci sono stati resoconti credibili che indicavano il ricorso a tortura e maltrattamento, comprese percosse e diniego di cure mediche. Tra queste c’era Mohammad Mirmousavi, morto il giorno dopo il suo arresto, ad agosto. Le autorità avevano inizialmente attribuito il suo decesso a un attacco cardiaco, mentre i media di stato lasciavano intendere che fosse morto in seguito alle lesioni subite durante un alterco prima del suo arresto. Le autorità hanno ammesso la responsabilità soltanto dopo che un video del suo corpo ferito aveva suscitato un’indignazione generale. Sono stati arrestati cinque agenti di polizia ma non sono state annunciate informazioni riguardanti il loro perseguimento.

Le persone incarcerate sono state sottoposte a condizioni di detenzione crudeli e disumane, caratterizzate tra l’altro da sovraffollamento, mancanza di igiene, scarsa ventilazione, infestazioni di topi o insetti, letti inadeguati o insufficienti, carenza di servizi igienici, lavabi e docce.

Il codice penale iraniano ha continuato a prevedere punizioni corporali che costituivano tortura e maltrattamento, tra cui fustigazione, accecamento, amputazione, crocifissione e lapidazione.

I tribunali hanno emesso almeno 186 condanne alla fustigazione, secondo il Centro per i diritti umani in Iran Abdorrahman Boroumand. Sono state eseguite condanne alla fustigazione e all’amputazione.

 

DETENZIONE ARBITRARIA E PROCESSI INIQUI

I processi sono stati sistematicamente iniqui e hanno portato a detenzioni arbitrarie. Le violazioni delle procedure dovute comprendevano diniego del diritto dell’indagato di accedere a un avvocato a partire dal momento dell’arresto, l’ammissione agli atti processuali di “confessioni” ottenute sotto tortura e processi sommari.

La magistratura, data la sua mancanza di indipendenza, ha svolto un ruolo centrale nel consolidare l’impunità per i casi di tortura, sparizione forzata e altri crimini di diritto internazionale.

È prevalsa l’impunità per la continua pratica delle autorità di detenere arbitrariamente persone di nazionalità straniera o con la doppia cittadinanza, come leva di scambio. In alcuni casi, tale pratica era equiparabile al crimine di presa di ostaggi.

La detenzione arbitraria agli arresti domiciliari dei dissidenti Mehdi Karroubi, Mir Hossein Mousavi e Zahra Rahnavard è entrata nel suo 14° anno.

 

DIRITTI DI DONNE E RAGAZZE

Le autorità hanno continuato a trattare le donne come cittadine di seconda classe, anche in relazione a questioni come matrimonio, divorzio, custodia dei figli, impiego, eredità e cariche politiche.

L’età legale del matrimonio per le ragazze è rimasta 13 anni e i padri potevano ottenere il permesso dai tribunali affinché le figlie si sposassero ancora prima.

Le autorità hanno fatto ricorso ad accuse politicamente motivate che comportavano la pena di morte contro difensore dei diritti umani. Sharifeh Mohammadi è stato condannato a morte a giugno2 e Pakhshan Aziz a luglio3.

A partire da aprile, le autorità hanno implementato il Piano Noor per intensificare la loro repressione contro le donne e le ragazze che sfidavano l’obbligo di indossare il velo, anche attraverso l’utilizzo della sorveglianza digitale come la tecnica di riconoscimento facciale, violando ulteriormente i diritti sociali, economici, culturali, civili e politici delle donne e limitando la loro libertà di movimento. Un numero crescente di pattuglie di sicurezza hanno sottoposto donne e ragazze a vessazioni e violenza negli spazi pubblici4. La repressione comprendeva tra l’altro impedire alle studenti universitarie di frequentare le lezioni; ingaggiare pericolosi inseguimenti in auto per fermare per strada le donne alla guida; la confisca in massa dei loro veicoli; corsi forzati di “moralità”; carcerazione e fustigazione.

A luglio, agenti di polizia che cercavano di confiscare l’auto a una donna per applicare le leggi sull’obbligo del velo hanno aperto il fuoco con proiettili veri contro il veicolo, ferendo gravemente la passeggera Arezou Badri.

Ad agosto, le autorità hanno sottoposto la difensora dei diritti umani Narges Mohammadi e altre donne recluse nel carcere di Evin a tortura e maltrattamento, fino a provocare ferite, ma negando loro cure mediche adeguate.

A settembre, il Consiglio dei guardiani ha approvato il disegno di legge a sostegno della famiglia attraverso la promozione della cultura della castità e dell’hijab, che ha consolidato ulteriormente la discriminazione e la violenza contro donne e ragazze. La legge sarebbe entrata in vigore il 13 dicembre, dopo la firma del presidente, ma la sua promulgazione è stata temporaneamente sospesa.

A novembre, le autorità hanno annunciato di avere in programma l’apertura di una clinica nella capitale, Teheran, “per abbandonare l’idea di togliersi l’hijab”, per fornire “un trattamento scientifico e psicologico” alle donne e alle ragazze che non rispettavano l’obbligo di indossare il velo.

Quelle che avessero sfidato tale obbligo avrebbero rischiato il carcere, multe esorbitanti e sarebbero state private dell’accesso all’istruzione e ai servizi pubblici.

Il disegno di legge per prevenire la vulnerabilità delle donne e migliorare la loro sicurezza contro i comportamenti impropri è rimasto all’esame del parlamento. La bozza del documento non era riuscita a definire la violenza domestica come un reato distinto, a criminalizzare lo stupro maritale e il matrimonio infantile o a garantire pene proporzionate alla gravità dei crimini commessi per gli uomini che uccidono una loro familiare.

 

DISCRIMINAZIONE

Minoranze etniche

Le minoranze etniche, tra cui arabi ahwazi, turchi azeri, baluci, curdi e turkmeni, hanno subìto una discriminazione diffusa e violazioni dei diritti umani, comprese discriminazioni nell’accesso all’istruzione, al lavoro, a un alloggio adeguato e agli incarichi politici. Ancora una volta gli scarsi investimenti nelle regioni popolate da minoranze hanno esasperato situazioni di povertà e marginalizzazione.

Nonostante i ripetuti appelli alla diversità linguistica, il persiano è rimasto l’unica lingua d’insegnamento nell’istruzione primaria e secondaria.

Le forze di sicurezza hanno ucciso illegalmente nell’impunità decine di corrieri transfrontalieri curdi disarmati (kulbar), tra le regioni del Kurdistan iraniano e iracheno, e portatori di carburante baluci (soukhtbar), nella provincia del Sistan e Balucistan.

Minoranze religiose

Le minoranze religiose, tra cui quelle baha’i, cristiana, dei dervisci di Gonabadi, ebrea, musulmana sunnita e di adepti del culto di Yaresan hanno subìto discriminazioni nella legge e nella prassi, anche nell’accesso all’istruzione, al lavoro, all’adozione dei figli, agli incarichi politici e ai luoghi di culto. I membri di queste minoranze religiose sono stati arbitrariamente detenuti, perseguiti ingiustamente, torturati o altrimenti maltrattati per avere professato o praticato la loro fede.

Le persone nate da genitori classificati come musulmani dalle autorità e che adottavano altre religioni o si professavano atee sono rimaste a rischio di detenzione arbitraria, tortura o maltrattamento e pena di morte per “apostasia”.

Le autorità hanno fatto irruzione nelle chiese e arrestato arbitrariamente persone convertite al cristianesimo.

I membri della minoranza baha’i hanno subìto violazioni diffuse e sistematiche, come detenzione arbitraria, irruzioni nelle loro abitazioni, esclusione dall’istruzione superiore, espulsioni dal posto di lavoro, chiusura forzata di attività commerciali, confisca e distruzioni di proprietà, procedimenti giudiziari ingiusti e lunghi periodi di carcerazione unicamente per avere professato la loro fede. Le donne baha’i sono state prese particolarmente di mira, con decine sottoposte a interrogatori e carcerazione.

A gennaio, le autorità hanno sequestrato i beni e i terreni agricoli appartenenti a famiglie baha’i nella provincia del Mazandaran. A maggio, hanno fatto passare i bulldozer sulle loro risaie, distruggendo i raccolti e i sistemi di irrigazione.

Le autorità hanno inoltre impedito le sepolture baha’i in un cimitero che i baha’i usavano da decenni. A marzo hanno distrutto più di 30 tombe baha’i localizzate presso l’adiacente fossa comune di Khavaran. Ad agosto non hanno provveduto a indagare sulla vandalizzazione di un cimitero baha’i ad Ahvaz, nella provincia del Khuzestan.

Persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate

Le persone lgbti hanno subìto sistemiche discriminazioni e violenze. Le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso rimanevano un reato punibile con sanzioni che andavano dalla fustigazione alla pena di morte.

Le cosiddette “terapie di conversione”, avallate dallo stato, equivalenti a tortura o maltrattamento, continuavano a essere diffuse e praticate anche su minorenni. La terapia ormonale e le pratiche chirurgiche, come la sterilizzazione, erano obbligatorie per il riconoscimento legale del genere.

Le persone di genere non conforme rischiavano di essere criminalizzate ed escluse dall’istruzione e dal lavoro.

 

DIRITTI DELLE PERSONE RIFUGIATE E MIGRANTI

I cittadini afgani hanno affrontato una discriminazione diffusa, che rendeva tra l’altro per loro complicato accedere a istruzione, alloggio, lavoro, assistenza sanitaria, servizi bancari ed esercitare il diritto alla libertà di movimento. Funzionari pubblici hanno utilizzato una retorica disumanizzante contro i cittadini afgani, alimentando i discorsi d’odio e istigando a compiere atti di violenza contro di loro.

Le autorità hanno effettuato arresti di massa e rimpatri forzati, spesso con violenza, e si sono vantati di avere espulso 850.000 “cittadini non autorizzati”, riferendosi con ogni probabilità a persone con cittadinanza od origine afgana, con provvedimenti eseguiti al di fuori delle procedure dovute tra marzo e novembre.

A ottobre, le autorità hanno negato le notizie secondo cui le forze di sicurezza avevano utilizzato armi da fuoco contro decine di cittadini afgani al confine tra Iran e Pakistan, causando morti e feriti, e non hanno condotto indagini concrete su questi episodi.

 

PENA DI MORTE

Centinaia di persone sono state messe a morte arbitrariamente.

La pena di morte è stata comminata al termine di processi gravemente iniqui, anche per reati che non raggiungevano la soglia dei “reati più gravi” che implicavano un omicidio intenzionale, come traffico di droga5.

La pena di morte continuava a essere prevista anche per atti tutelati dai diritti alla privacy e alla libertà d’espressione, religione o culto, come ad esempio bere alcolici e avere relazioni sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso. Il reato di “adulterio” (relazione sessuale al di fuori del matrimonio) è rimasto punibile con la morte per lapidazione.

Le autorità hanno utilizzato la pena capitale come uno strumento di repressione politica contro manifestanti, dissidenti e membri di minoranze etniche.

Un numero sproporzionato di esecuzioni ha colpito membri di minoranze oppresse, come i baluci e i cittadini afgani.

A gennaio6 e ad agosto7, due persone, di cui un giovane con disabilità mentale, sono state messe a morte in relazione alla rivolta del 2022, dopo essere state giudicate colpevoli in processi iniqui e basati su “confessioni” ottenute sotto tortura; diverse altre sono state condannate a morte.

Sono continuate le esecuzioni di persone condannate a morte per reati che risalivano a quando avevano meno di 18 anni8; nel braccio della morte ne rimanevano decine.

 

IMPUNITÀ

È prevalso ancora un clima di impunità strutturale per i funzionari pubblici coinvolti in uccisioni illegali, torture, sparizioni forzate e altri crimini di diritto internazionale e gravi violazioni dei diritti umani commessi nel 2024 e negli anni precedenti.

Un disegno di legge che avrebbe modificato l’uso delle armi da fuoco è rimasto all’esame del parlamento tra richieste di funzionari di alto livello di accelerarne l’approvazione. Se approvato, avrebbe autorizzato la dotazione di armi da fuoco ad altri reparti di sicurezza e di intelligence e consolidato ulteriormente l’impunità per il loro utilizzo illegale.

Le forze di sicurezza hanno sparato illegalmente nell’impunità a persone che si trovavano in auto, causando morti e feriti, con percentuali sproporzionate di vittime tra la minoranza baluci.

A marzo, le autorità hanno risposto a un rapporto pubblicato da Amnesty International a dicembre 2023, negando che qualche funzionario pubblico avesse mai perpetrato violenze sessuali contro manifestanti durante la rivolta del 2022. Hanno risposto in separata sede a un rapporto dell’Ffmi negando i suoi risultati dai quali era emerso che durante la rivolta le autorità avevano commesso i crimini contro l’umanità di omicidio, carcerazione, tortura, stupro e altre forme di violenza sessuale, persecuzione, sparizione forzata e altri atti disumani.

Sempre a marzo, il Comitato speciale per l’esame della rivolta del 2022, istituito dal defunto presidente Ebrahim Raisi, ha pubblicato un rapporto che copriva le violazioni e che attribuiva le uccisioni illegali a “facinorosi e terroristi”. A parte tre funzionari pubblici processati a porte chiuse, non ne sono noti altri perseguiti per l’uccisione illegale e la tortura di manifestanti e passanti durante la rivolta del 2022.

A gennaio, la Corte suprema ha annullato una condanna a morte emessa da un tribunale militare contro Jafar Javanmardi, il comandante della polizia di Bandar Anzali, nella provincia di Gilan, per l’uccisione di un manifestante e ha ritrasmesso il fascicolo a un tribunale di grado inferiore per un nuovo processo. A marzo, un tribunale militare della provincia di Qazvin ha ripristinato la condanna a morte. I media statali hanno esercitato pressioni sulla magistratura affinché fosse liberato, sostenendo che stava proteggendo la sicurezza nazionale. I media statali hanno successivamente riportato che l’autorità giudiziaria avrebbe riesaminato il caso per via di “molteplici irregolarità”.

Le autorità hanno continuato a nascondere la verità riguardante l’abbattimento del volo 752 della Ukraine International Airlines, colpito da un missile a gennaio 2020, episodio in cui persero la vita 176 persone. Ad agosto, la Corte suprema ha annullato la precedente sentenza emessa da un tribunale militare che aveva condannato dieci funzionari a periodi di carcerazione, citando irregolarità nelle indagini, e il fascicolo è stato inviato nuovamente a un tribunale di grado inferiore per un riesame.

A marzo e agosto, le autorità hanno impedito alle famiglie delle vittime di accedere al sito della fossa comune di Kharavan, che si ritiene contenga i resti di alcuni delle diverse migliaia di dissidenti politici sottoposti a sparizione forzata ed esecuzione giudiziale nel 1988. Alcuni dei funzionari coinvolti nei crimini contro l’umanità del passato e attuali derivanti dai massacri in carcere del 1988 continuavano a ricoprire posizioni di alto livello istituzionale.

A giugno, un accordo per lo scambio di prigionieri tra l’Iran e la Svezia ha permesso all’ex ufficiale penitenziario iraniano Hamid Nouri, il quale era stato condannato all’ergastolo da un tribunale svedese in relazione al suo ruolo nei massacri in carcere del 1998, di ritornare in Iran9. L’accordo ha contribuito a perpetuare l’impunità per il compimento del crimine di presa di ostaggi e altri crimini di diritto internazionale da parte delle autorità iraniane.

 

DIRITTO A UN AMBIENTE SALUBRE

Le autorità si sono dimostrate incapaci di affrontare la crisi ambientale dell’Iran, segnata dall’inaridimento di laghi, fiumi e terre umide; subsidenza del terreno; deforestazione; contaminazione dell’acqua causata dallo scarico di acque reflue nelle falde idriche urbane; subsidenza del terreno; e infine l’inquinamento dell’aria causato, in parte, dall’utilizzo industriale di combustibili al di sotto degli standard, che secondo il ministero della Salute contribuiva a causare migliaia di morti, e che a dicembre ha costretto alla chiusura scuole e attività produttive.

L’Iran ha mantenuto la produzione di combustibili fossili e derivati ai massimi livelli e non ha saputo proteggere le comunità marginalizzate dagli effetti del cambiamento climatico.

La cattiva gestione da parte delle autorità delle risorse idriche ha determinato scarsità di acqua, in particolare nelle province del Khuzestan, Sistan e Balucistan, luoghi d’origine rispettivamente delle minoranze arabe ahwazi e baluci. Le carenti infrastrutture per la distribuzione dell’acqua nella provincia del Sistan e Balucistan erano all’origine di casi di annegamento tra gli abitanti dei villaggi baluci, anche minori, in pericolosi pozzi scavati nel suolo e utilizzati per attingere acqua.

 

 

Note:
1 Iran: Two years after “Woman Life Freedom” uprising, impunity for crimes reigns supreme, 11 settembre.
2 Iran: Woman Rights Defender at Risk of Execution: Sharifeh Mohammadi, 9 settembre; Iran: Kurdish Woman Activist Sentenced to Death: Pakhshan Azizi, 30 settembre.
3 Iran: Kurdish Woman Activist Sentenced to Death: Pakhshan Azizi, 30 settembre.
4 Iran: Testimonies Provide a Frightening Glimpse Into the Daily Reality of Women and Girls, 6 marzo.
5 Iran: Drug-Related Executions Surging in Iran, 4 aprile.
6 Iran: Executions of protester with mental disability and Kurdish man mark plunge into new realms of cruelty, 24 gennaio.
7 Iran: Shocking secret execution of young man in relation to Woman Life Freedom uprising, 6 agosto.
8 Iran: Youth Arrested at 17 at Risk of Imminent Execution: Mohammad Reza Azizi, 24 ottobre.
9 Iran/Sweden: Staggering Blow to Justice for 1988 Prison Massacres in Iran Amid Long Overdue Release of Swedish Nationals, 18 giugno.

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