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PANORAMICA REGIONALE SULLE AMERICHE

Anche prima della crisi generata dal Covid-19, le Americhe erano la regione più iniqua al mondo in termini di disuguaglianza tra i redditi. La disomogenea ripresa economica registrata durante l’anno nel continente ha avuto scarso impatto sulle variegate e ampie conseguenze di decenni di disuguaglianze strutturali. Nonostante l’implementazione di vari programmi per fronteggiare le  conseguenze della pandemia, molti governi non hanno saputo tutelare i diritti sociali, economici e culturali delle fasce più vulnerabili della propria popolazione, finendo spesso per indebolirli  ulteriormente con politiche e prassi discriminatorie.

Con altri 1,5 milioni di persone decedute per Covid-19 nel 2021, le Americhe si sono confermate come la regione con il numero di decessi pro capite per Covid-19 più alto del mondo. Il limitato e iniquo accesso all’assistenza medica ha avuto indubbiamente un ruolo importante in tutto ciò, insieme a sistemi sanitari cronicamente sottofinanziati, a politiche e misure di previdenza sociale incapaci di andare incontro ai bisogni delle comunità marginalizzate e alla mancanza di un adeguato accesso ai vaccini. L’impatto della pandemia sulle popolazioni native è stato reso particolarmente grave dall’accesso inadeguato ai servizi igienico-sanitari, all’assistenza medica e ai sussidi sociali. Molti governi non hanno fatto abbastanza per dare priorità ai servizi di salute  sessuale e riproduttiva. I servizi essenziali erano spesso assenti e l’accesso all’aborto è rimasto criminalizzato in molti paesi.

La violenza contro le donne e le ragazze è rimasto motivo di grave preoccupazione in tutta la regione. Le indagini sui casi di violenza di genere, inclusi episodi di violenza di genere, stupro, omicidio e femminicidio, si sono dimostrate spesso inadeguate. Il diritto alla libertà d’espressione è stato minacciato in diversi paesi, con decine di giornalisti e altre persone critiche verso le politiche dei governi minacciati, censurati, attaccati e detenuti. In molti paesi, la polizia e altre forze di sicurezza hanno represso proteste pacifiche con l’uso eccessivo della forza, detenzioni arbitrarie e, in alcuni casi, uccisioni illegali.

L’impunità per queste e altre violazioni dei diritti umani, oltre che per i crimini di diritto internazionale, è rimasta un grave problema in più della metà dei paesi della regione. Anche gli attacchi contro l’indipendenza della magistratura sono aumentati. Decine di migliaia di persone sono fuggite dai loro paesi a causa delle violazioni dei diritti umani legate a situazioni di violenza, povertà, disuguaglianza e cambiamento climatico. Tuttavia, molti governi hanno continuato a proibire l’ingresso nei loro paesi di rifugiati, richiedenti asilo e migranti e hanno violato il diritto  internazionale rimpatriando con la forza coloro che riuscivano a varcare i confini, senza prendere in debita considerazione le loro richieste di protezione.

Lo storico Accordo di Escazú è finalmente entrato in vigore ad aprile. Tuttavia, ciò non è servito a fermare la distruzione ambientale in atto in molti paesi e le Americhe sono rimaste una delle regioni più pericolose al mondo per chi difende i diritti i diritti ambientali e umani.

 

DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI

Nonostante l’anno sia stato testimone di una certa ripresa in termini di crescita economica, questi risultati si sono dimostrati insufficienti a invertire la recessione economica registrata nel 2020, che aveva visto tassi di disoccupazione da record, redditi in caduta libera e l’aumento dei livelli di povertà e disuguaglianza.

In Argentina, Brasile, Guatemala, Haiti, Nicaragua e Venezuela, la crisi si è rivelata in tutta la sua gravità. A giugno, il 40,6 per cento della popolazione argentina viveva in condizioni di povertà. In Brasile, il 56 per cento versava in condizioni di insicurezza alimentare. Ad Haiti, quasi la metà della popolazione necessitava di aiuti alimentari. E in Venezuela, il 94,5 per cento della popolazione viveva in condizioni di povertà reddituale e il 76,6 per cento in povertà estrema. Disuguaglianza e discriminazione sono rimaste una realtà prevalente in tutta la regione. Secondo la Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi (Economic Commission for Latin America and the Caribbean – Eclac) delle Nazioni Unite, il tasso medio di disoccupazione tra le donne nella regione era del 12,7 per cento, rispetto al 9,7 per cento registrato tra gli uomini.

Molti governi non hanno saputo tutelare i diritti sociali, economici e culturali delle fasce più vulnerabili della propria popolazione e, anzi, in alcuni casi li hanno ulteriormente compromessi. Per citare un esempio, in Paraguay è aumentato il numero degli sgomberi forzati, in particolare a danno di comunità native e rurali, che sono stati eseguiti senza rimedi giudiziari concreti o senza  offrire sistemazioni alternative. Secondo la campagna Zero Sgomberi, sono state 23.500 le famiglie brasiliane sgomberate dalle loro abitazioni tra marzo 2020 e ottobre 2021, in piena pandemia. Negli Usa, la Corte suprema ha vanificato i tentativi dell’amministrazione di prorogare una moratoria federale sugli sgomberi. Il Venezuela è stato attraversato nella prima metà dell’anno da più di 3.000 proteste poiché la rete di distribuzione pubblica dei generi alimentari non riusciva a soddisfare i bisogni nutrizionali della popolazione e l’accesso all’assistenza medica, all’acqua potabile, al cibo e al carburante continuava a peggiorare.

 

DIRITTO ALLA SALUTE

La pandemia ha continuato ad avere un impatto devastante in molti paesi dove l’accesso all’assistenza sanitaria e ai vaccini era limitato e iniquo. Con 2,3 milioni di morti per Covid-19 dall’inizio  della pandemia, la regione ha registrato il 45 per cento dei decessi dovuti al Covid-19 a livello globale, nonostante rappresentasse appena il 13 per cento della popolazione mondiale. Una diffusa incuria e il cronico sottofinanziamento dei sistemi sanitari pubblici sono stati la ragione principale della portata della crisi. In diversi paesi, il numero di medici e infermieri pro capite era ben al di sotto della soglia che l’Oms considera necessaria per garantire l’erogazione di servizi sanitari basilari nei paesi più poveri al mondo. In Venezuela, mancavano dispositivi di protezione e Ong locali hanno segnalato che da marzo 2020 erano deceduti per Covid-19 più di 800 operatori sanitari. L’ormai cronica mancanza di ossigeno e l’insufficiente capienza degli ospedali hanno contribuito a rendere il Perù il paese con il più alto numero di decessi pro capite al mondo. In Brasile, il presidente Jair Bolsonaro ha risposto alla pandemia da Covid-19 con un mix micidiale di negazionismo, negligenza, opportunismo e disprezzo per i diritti umani. A fine agosto, oltre la metà della popolazione del Nord America era stata vaccinata con doppia dose contro il Covid-19, rispetto ad appena un quarto degli abitanti dell’America Latina e dei Caraibi. Un mese dopo, uno studio della società di analisi e informazione scientifica Airfinity ha stimato che i paesi sviluppati avevano un surplus di oltre 500 milioni di dosi di vaccino inutilizzate.

Alcuni paesi ad alto reddito hanno attivamente bloccato l’espansione della produzione di vaccini. A fine anno, il Canada non aveva ancora rilasciato l’autorizzazione necessaria all’azienda farmaceutica canadese Biolyse per produrre 20 milioni di dosi di vaccino Johnson&Johnson, con i primi 15 milioni destinati alla Bolivia. A fine anno, la copertura vaccinale complessiva era simile nel Nord e Sud America, con oltre la metà della popolazione completamente vaccinata. Tuttavia, permanevano considerevoli disparità tra i paesi della regione. Mentre Canada, Cile e Uruguay avevano completamente vaccinato tre quarti o più della loro popolazione, Guatemala e Venezuela avevano raggiunto appena un quinto degli abitanti, mentre Nicaragua e Haiti avevano vaccinato rispettivamente meno del sei e dell’uno per cento della popolazione.

I programmi di vaccinazione varati dai governi della regione hanno frequentemente trascurato o attivamente escluso persone a rischio di contagio da Covid-19, inclusi, in molti casi, migranti e rifugiati. Molti paesi non hanno saputo sviluppare protocolli speciali per garantire la vaccinazione delle popolazioni native attraverso programmi culturalmente appropriati creati su misura. In alcuni casi, gli operatori sanitari sono stati esclusi dai programmi di vaccinazione. Per esempio, in Nicaragua, la vaccinazione del personale medico non è cominciata prima di maggio, molto dopo gli altri; fonti di stampa hanno denunciato che i primi a beneficiare del programma di vaccinazione erano stati i sostenitori del governo, a prescindere dal loro profilo di rischio per il Covid-19.

 

DIRITTI SESSUALI E RIPRODUTTIVI

Molti governi non hanno fatto abbastanza per dare priorità alla salute sessuale e riproduttiva. Spesso mancavano i servizi essenziali e in molti paesi l’assistenza per un aborto sicuro rimaneva criminalizzata. In Repubblica Dominicana, El Salvador, Haiti, Honduras, Giamaica e Nicaragua l’aborto rimaneva vietato in tutte le circostanze. Nonostante la storica decisione con cui verso fine 2020 l’Argentina aveva depenalizzato e legalizzato l’aborto fino alle prime 14 settimane di gravidanza, altri paesi si ostinavano a non voler seguire l’esempio. In Cile, una proposta di legge che avrebbe depenalizzato l’aborto entro le prime 14 settimane di gravidanza è stata respinta. In Colombia, la Corte costituzionale non è riuscita a emettere un giudizio in merito a un ricorso presentato dalla coalizione di Ong Causa Justa, che chiedeva la depenalizzazione dell’aborto. Nella Repubblica Dominicana e in El Salvador i tentativi di depenalizzare l’aborto autorizzandolo in limitatissime circostanze non hanno ottenuto l’approvazione delle rispettive assemblee legislative. In Honduras, a gennaio, il congresso ha approvato una riforma costituzionale che rende più difficile l’eliminazione dei divieti sull’aborto e sul matrimonio omosessuale, anche se, a fine anno, era ancora all’esame della Corte suprema di giustizia un ricorso costituzionale contro il divieto d’aborto in tutte le circostanze.

Negli Usa, durante il 2021 i governi statali hanno emanato una quantità senza precedenti di provvedimenti restrittivi contro l’aborto. Il Texas ha approvato una normativa che ha reso praticamente impossibile abortire, criminalizzando l’aborto dopo le sei settimane di gravidanza. In un raro positivo sviluppo, seppur limitato, ad aprile la Corte costituzionale dell’Ecuador ha depenalizzato l’aborto in caso di stupro.

 

DIRITTI DELLE POPOLAZIONI NATIVE

Le popolazioni native delle Americhe hanno continuato a subire gli effetti dell’inadeguato esercizio di alcuni loro diritti in termini di accesso all’acqua, ai servizi igienici, alla salute e alla protezione sociale, oltre che della mancanza di meccanismi culturalmente appropriati in grado di tutelare i loro diritti alla salute e ai mezzi di sussistenza, tutti fattori che hanno nel complesso aggravato l’impatto della pandemia da Covid-19.

Particolarmente grave era la situazione vissuta dalle comunità native in Argentina, Brasile, Bolivia, Canada, Colombia, Ecuador, Nicaragua, Paraguay e Venezuela. In Brasile, le popolazioni native non sono state protette dalle invasioni dei loro territori, dalla deforestazione e dalle attività minerarie, oltre che dalla diffusione del Covid-19. Ad agosto, l’Articolazione dei popoli nativi del Brasile (Articulação dos povos indígenas do Brasil – Apib) ha depositato un ricorso senza precedenti all’Icc, accusando il governo del presidente Bolsonaro di genocidio ed ecocidio.

In molti paesi, tra cui Messico, Guatemala, Honduras, Paraguay, Perù e Venezuela, i governi hanno continuato a permettere grossi progetti estrattivi, agroindustriali e infrastrutturali, senza ottenere il consenso libero, anticipato e informato delle popolazioni native colpite e, in alcuni casi, nonostante le ingiunzioni dei tribunali che avevano disposto la sospensione delle operazioni.

In Bolivia, Cile, Colombia, Nicaragua, Paraguay e Perù, membri di comunità native sono stati feriti o uccisi dalle forze di sicurezza o da civili armati, nel corso di attacchi violenti e sparatorie.
In Canada, sono stati localizzati i resti centinaia di bambini nativi sepolti presso ex collegi scolastici, fondati dal governo canadese e amministrati dalle chiese locali. Molte comunità native, associazioni, organizzazioni si sono unite ai consigli tribali denunciando la vicenda come genocidio e invocando giustizia. A settembre, la Corte federale del Canada ha stabilito che ciascuno dei circa 50.000 bambini delle prime nazioni che erano stati separati con la forza dalle loro famiglie aveva diritto a ricevere dal governo di Ottawa una somma pari a 40.000 dollari canadesi (circa 32.000 dollari Usa).

 

LIBERTÀ D’ESPRESSIONE E RIUNIONE

Il diritto alla libertà d’espressione, associazione e riunione è finito sotto attacco in diversi paesi della regione. Giornalisti e persone critiche verso il governo hanno subìto intimidazioni, vessazioni, minacce, forme di censura, azioni penali o diniego d’accesso alle informazioni della pubblica amministrazione in paesi come Brasile, Canada, Cuba, El Salvador, Guatemala, Messico, Nicaragua, Uruguay e Venezuela. A febbraio, la Commissione interamericana dei diritti umani (Inter-American Commission on Human Rights – Iachr) ha assegnato misure precauzionali a favore di 34 membri dello staff del giornale digitale salvadoregno El Faro, che erano stati obiettivo di vessazioni, minacce e intimidazioni.

In Venezuela, diverse emittenti sono state sospese e uno dei principali quotidiani è stato multato per diffamazione di un alto funzionario governativo. Una Ong locale ha documentato più di 290 attacchi contro giornalisti. In Colombia, la Fondazione per la libertà di stampa ha riportato 402 attacchi agli organi di stampa che coprivano le proteste sociali. A Cuba, in seguito alla più vasta manifestazione degli ultimi decenni, l’11 luglio, la Iachr ha raccolto diverse segnalazioni riguardanti attacchi violenti contro i media da parte della polizia e dei sostenitori del governo e l’arresto di almeno 10 giornalisti.

La libertà d’espressione è stata ulteriormente indebolita in Colombia, Cuba, Messico, Usa e Venezuela attraverso restrizioni, azioni repressive e divieti allo svolgimento di proteste pacifiche. Il governo colombiano ha emanato misure che hanno limitato la circolazione dei trasporti e delle persone, al fine di impedire la partecipazione alle proteste in programma in varie città il 20 luglio. A Cuba, centinaia di persone sono state arrestate durante le proteste di portata storica dell’11 luglio e a ottobre il governo ha vietato lo svolgimento di un altro corteo per chiederne il rilascio. Intanto, negli Usa i legislatori di almeno 36 stati e il governo federale hanno presentato più di 80 bozze legislative che avrebbero limitato la libertà di riunione, con nove stati che hanno successivamente convertito in legge 10 di queste proposte.

 

USO ECCESSIVO DELLA FORZA

Il ricorso all’uso eccessivo della forza per reprimere le proteste ha accomunato molti paesi, tra cui Argentina, Cile, Colombia, Honduras, Messico, Paraguay, Portorico e Venezuela. L’Ohchr ha potuto verificare 46 morti (44 civili e due poliziotti) durante le manifestazioni organizzate nell’ambito dello sciopero nazionale che ha attraversato la Colombia tra aprile e maggio, così come 49 casi di violenza sessuale. In Venezuela, la polizia, i militari e i gruppi armati filogovernativi hanno attaccato almeno 59 proteste, causando la morte di un manifestante e il ferimento di altri sette.

In Messico, la polizia ha fatto ricorso all’uso non necessario ed eccessivo della forza, a detenzioni arbitrarie e perfino a violenza sessuale per mettere a tacere le donne che protestavano contro la violenza di genere.

In Cile, secondo i dati aggiornati forniti dalla procura generale e dall’Istituto nazionale per i diritti umani, dall’inizio delle proteste a ottobre 2019, le vittime della violenza operata da agenti statali erano state almeno 8.000. Anche l’uso eccessivo della forza durante le operazioni della polizia finalizzate a contrastare il crimine ha causato un pesante bilancio in termini di perdita di vite umane. Il Brasile, il 6 maggio è stato testimone della più cruenta operazione mai compiuta dalla polizia di Rio de Janeiro, che si è conclusa con l’uccisione di 27 abitanti di Jacarezinho, una favela della città. A novembre, altre nove persone sono morte in seguito a un’altra operazione condotta dalla polizia a Complexo do Salgueiro, un’altra favela di Rio de Janeiro.
A novembre, la polizia di Buenos Aires, in Argentina, ha aperto il fuoco e ucciso nella sua auto un giovane calciatore di 17 anni, Lucas González, mentre si stava allontanando da un supermercato.

Negli Usa, sono stati segnalati almeno 888 casi di persone uccise in seguito all’uso di armi da fuoco da parte della polizia, con le persone nere colpite in maniera sproporzionata. Erano ancora sei gli stati americani che non avevano un regolamento specifico sull’uso della forza e, in quelli dove questo era presente, l’uso della forza letale da parte della polizia non era conforme alle norme e agli standard internazionali. Il senato americano non aveva ancora approvato il George Floyd Justice in Policing Act, un disegno di legge che forniva un pacchetto di proposte bipartisan per la riforma di determinati aspetti delle operazioni di ordine pubblico negli Usa.

 

DETENZIONI ARBITRARIE E SPARIZIONI FORZATE

Casi di detenzioni arbitrarie sono stati riportati in molti paesi, tra cui Colombia, Cuba, Messico, Nicaragua, Venezuela e nella base navale statunitense di Guantánamo Bay. Secondo l’Ong Campagna per difendere la libertà, nel contesto dello sciopero nazionale della Colombia sono state arbitrariamente arrestate 3.275 persone. Il Gruppo di lavoro sulle sparizioni forzate ha documentato che a fine anno non erano state ancora localizzate 327 persone vittime di sparizione forzata.

Le autorità cubane hanno arbitrariamente incarcerato centinaia di persone per avere esercitato i loro diritti alla libertà d’espressione e riunione pacifica, nel contesto delle proteste dell’11 luglio.
In Nicaragua, nei mesi che hanno preceduto la rielezione del presidente Daniel Ortega a novembre, la polizia ha arbitrariamente detenuto o sottoposto a sparizione forzata decine di difensori dei diritti umani, giornalisti e oppositori politici, inclusi sette potenziali candidati presidenziali.

Secondo l’organizzazione per i diritti umani venezuelana Foro Penal, le forze di sicurezza del paese hanno arbitrariamente detenuto durante l’anno 44 attivisti politici, studenti e difensori dei diritti umani. Alcuni detenuti sono morti in custodia, inclusi tre la cui detenzione era politicamente motivata. Nonostante la dichiarata intenzione del presidente americano Biden di chiudere la struttura di detenzione presso la base navale statunitense di Guantánamo Bay, vi erano ancora detenuti arbitrariamente e a tempo indefinito 39 uomini; 10 rischiavano la pena di morte.

 

DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI

Le Americhe sono rimaste una delle regioni più pericolose al mondo per chi difende i diritti umani. I difensori dei diritti umani sono stati vittime di omicidi in vari paesi della regione, tra cui Brasile, Colombia, Guatemala, Haiti, Honduras, Messico, Perù e Venezuela. Un rapporto dell’Ong Global Witness ha descritto la Colombia come il paese con il più alto numero mai registrato al mondo di attacchi contro ambientalisti e operatori dei diritti umani.
I difensori dei diritti umani hanno anche subìto minacce, violenze, azioni penali, detenzioni arbitrarie e sorveglianza illegale in Bolivia, Cile, Cuba, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Honduras, Messico, Nicaragua e negli Usa. Il Venezuela ha visto un drammatico peggioramento della situazione dei difensori dei diritti umani. Secondo il Centro per i difensori dei diritti umani e la giustizia, nel 2021 ci sono stati 743 attacchi contro attivisti, con un aumento del 145 per cento rispetto al 2020.

 

IMPUNITÀ E ACCESSO ALLA GIUSTIZIA

L’impunità per le violazioni dei diritti umani e i crimini di diritto internazionale, così come la mancanza di accesso alla giustizia, alla verità e a forme di riparazione, hanno continuato a essere motivi di grave preoccupazione in più della metà dei paesi della regione. L’indipendenza della magistratura è stata duramente attaccata in Bolivia, Brasile, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua, Paraguay e Venezuela.  Per esempio, in El Salvador, la nuova assemblea legislativa ha adottato una serie di misure che hanno limitato l’indipendenza della magistratura, rimuovendo tra l’altro membri della Corte costituzionale, della Corte suprema di giustizia e il procuratore generale. In Guatemala, magistrati con un ruolo di primo piano nella lotta all’impunità, che lavoravano a casi giudiziari riguardanti gravi violazioni dei diritti umani e corruzione, sono stati rimossi dall’incarico o di fatto impossibilitati ad assumerlo.

Nel periodo che ha preceduto le elezioni di novembre, il presidente del Nicaragua Daniel Ortega ha continuato a servirsi degli organi giudiziari e legislativi per implementare tattiche repressive, con migliaia di vittime di violazioni dei diritti umani che attendevano di ottenere giustizia per i crimini compiuti da agenti statali sotto il suo governo.

In Venezuela, il sistema giudiziario ha svolto un ruolo significativo nella repressione attuata dallo stato contro gli oppositori del governo, mentre le vittime di violazioni dei diritti umani e di reati sono state lasciate senza tutele. A novembre, il procuratore dell’Icc Karim Khan ha annunciato l’apertura di un’indagine su possibili crimini contro l’umanità commessi in Venezuela.

In Argentina, Perù e Uruguay sono stati ottenuti alcuni progressi per assicurare alla giustizia coloro che erano sospettati di responsabilità penale per i crimini di diritto internazionale, commessi negli anni Settanta, Ottanta e Novanta. Ad aprile, il governo americano ha ritirato le sanzioni contro il personale dell’ufficio del procuratore dell’Icc che erano state imposte dalla precedente amministrazione, benché continuasse a non riconoscere la giurisdizione dell’Icc sui presunti crimini di guerra compiuti da personale militare americano in Afghanistan, Iraq o in altri paesi.

 

VIOLENZA CONTRO DONNE E RAGAZZE

Le misure adottate per proteggere donne e ragazze si sono dimostrate inadeguate in tutta la regione e le indagini riguardanti casi di violenza di genere sono state spesso caratterizzate da irregolarità. In Messico, ad esempio, la violenza contro le donne è rimasta un fenomeno dilagante. Durante l’anno, nel paese sono state registrate 3.427 uccisioni di donne, di cui 887 erano oggetto d’indagine per femminicidio. Le indagini avviate dalla procura generale dello stato del Messico su casi di donne scomparse prima di essere uccise si sono rivelate fortemente viziate. Le forze di sicurezza messicane hanno inoltre fatto ricorso all’uso eccessivo della forza, a detenzioni arbitrarie e violenza sessuale contro donne che partecipavano a eventi di protesta. In Colombia, dove l’Osservatorio colombiano sui femminicidi ha registrato 432 femminicidi nei primi otto mesi dell’anno, le forze di sicurezza hanno regolarmente commesso atti di violenza sessuale contro donne.

Sia Paraguay che Portorico hanno dichiarato lo stato d’emergenza a causa dell’impennata di violenza contro le donne. I livelli di violenza sono considerevolmente aumentati anche in Perù e Uruguay. A Portorico, a maggio erano già stati registrati 511 casi di violenza domestica, un brusco aumento rispetto allo stesso periodo del 2020. In Perù, le donne vittime di femminicidio erano state 146, rispetto alle 136 del 2020. Inoltre, tra gennaio e ottobre, erano scomparse 12.084 donne e il 25 per cento dei femminicidi del Perù erano stati in precedenza registrati come sparizioni.

In Venezuela, la procura generale ha annunciato che in tutto il territorio nazionale erano operativi 72 uffici giudiziari specializzati in indagini penali riguardanti casi di violenza di genere. Tuttavia, Ong locali hanno messo in discussione la loro reale efficacia e il Centro per la giustizia e la pace ha documentato tra gennaio e giugno 125 femminicidi.

 

DIRITTI DELLE PERSONE LESBICHE, GAY, BISESSUALI, TRANSGENDER E INTERSESSUATE

Nelle Americhe durante l’anno c’è stato un cauto avanzamento nel riconoscimento dei diritti delle persone Lgbti, ma nel complesso la legislazione in materia non è progredita e in diversi paesi le persone Lgbti hanno continuato a essere obiettivo di episodi di discriminazione, violenza e uccisioni. L’Argentina ha riconosciuto l’identità di genere non binaria nei sistemi d’iscrizione anagrafica e di rilascio dei documenti d’identità e a giugno il congresso ha approvato un progetto di legge d’inclusione lavorativa per le persone transgender.

Negli Usa, l’amministrazione Biden ha avviato l’iter di abrogazione delle politiche discriminatorie contro le persone Lgbti messe in atto dalla precedente amministrazione. Nonostante ciò, a livello statale sono state presentate centinaia di proposte di legge che avrebbero eroso i diritti delle persone Lgbti. In altre parti delle Americhe, le persone Lgbti sono state vittime dell’uso della forza letale. L’Associazione nazionale dei travestiti e transessuali del Brasile ha denunciato che solo nella prima metà dell’anno nel paese erano state uccise 80 persone transgender; in Colombia, la Rete comunitaria trans ha riportato che a fine novembre erano state uccise 30 persone transgender.

 

DIRITTI DI RIFUGIATI E MIGRANTI

Durante l’anno, decine di migliaia di persone, in maggioranza provenienti da Guatemala, Haiti, Honduras e Venezuela, sono fuggite da violazioni dei diritti umani legate a situazioni di violenza, povertà, disuguaglianza e cambiamento climatico. I governi di vari paesi della regione, tra cui Canada, Cile, Curaçao, Messico, Perù, Trinidad e Tobago e Usa, hanno vietato l’ingresso di rifugiati, richiedenti asilo e migranti e hanno respinto con la forza coloro che erano riusciti a varcare i loro confini, senza tenere in debita considerazione le loro domande d’asilo e di riconoscimento dello status di rifugiato. Negli Usa, l’agenzia di controllo delle frontiere ha effettuato respingimenti di massa di oltre un milione di rifugiati e migranti al confine tra Usa e Messico, usando come pretesto l’applicazione delle disposizioni di salute pubblica introdotte per il Covid-19. Anche le procedure di detenzione dei migranti applicate dalle autorità dell’immigrazione canadesi hanno continuato a violare le norme internazionali sui diritti umani, inclusi i diritti dei minori e delle persone con disabilità. Il Messico ha inviato migliaia di truppe per chiudere il suo confine meridionale con il Guatemala. Le autorità dell’immigrazione hanno respinto o espulso illegalmente in Guatemala migliaia di persone e lanciato operazioni di vasta portata in Messico per intercettare e rimpatriare minori non accompagnati, in violazione dei loro diritti.

Migliaia di persone, in prevalenza dal Venezuela, si sono messe in marcia per tentare di raggiungere il Cile a piedi e almeno 20 che sono morte lungo il percorso. Ad aprile, il Cile ha introdotto una nuova legislazione che ha fortemente ridotto la capacità dei migranti di regolarizzare il loro status una volta in Cile e centinaia di persone sono state espulse in quelle che potrebbero costituire espulsioni di massa, senza rispetto delle procedure dovute. In Perù, circa un milione di migranti, incluso mezzo milione di richiedenti asilo regolarizzati, non hanno avuto accesso a diritti, come quello all’assistenza sanitaria. Decine di migliaia di rifugiati haitiani hanno cercato protezione internazionale, ma i governi della regione non hanno saputo proteggerli da una gamma di violazioni, come detenzioni e respingimenti illegali, estorsioni, discriminazione razziale e altri abusi, inclusi episodi di violenza di genere da parte dei gruppi armati.

 

FALLIMENTO NELL’AFFRONTARE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Nonostante alcuni sviluppi positivi registrati durante l’anno, l’azione contro il cambiamento climatico è rimasta limitata, rischiando di minacciare i diritti umani in tutto il continente. L’Accordo di Escazú è entrato in vigore il 22 aprile, ma a fine anno mancava ancora la firma di Cuba e Venezuela e la ratifica di 12 paesi. A febbraio, la nuova amministrazione statunitense è rientrata negli Accordi di Parigi e ha cercato di discostarsi dalle centinaia di norme e direttive con cui la precedente amministrazione aveva inteso liberalizzare i settori ambientali e dell’energia. Ciononostante, in altre parti della regione, i progressi ottenuti nella lotta al cambiamento climatico sono stati a dir poco deludenti. Incoraggiando la deforestazione e l’estrazione delle risorse  naturali in Amazzonia, il presidente brasiliano Bolsonaro ha aggravato l’impatto della crisi climatica sulle terre e i territori delle popolazioni native, lasciando un’eredità di distruzione ambientale. Secondo l’Ong Imazon, l’Amazzonia brasiliana ha registrato il tasso di deforestazione per il mese di agosto più alto degli ultimi 10 anni. La Bolivia ha approvato norme che hanno incentivato la deforestazione illegale e gli incendi boschivi. Il Canada ha continuato a sovvenzionare l’industria dei combustibili fossili. Nonostante il suo rinnovato impegno con il mondo nella lotta al cambiamento climatico, la nuova amministrazione statunitense ha continuato ad autorizzare la realizzazione di progetti di perforazione petrolifera su terreni federali. E il Messico, all’11° posto della classifica mondiale dei maggiori emettitori di gas serra, non ha saputo presentare alcuna nuova strategia per la riduzione delle emissioni alla Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico.

 

RACCOMANDAZIONI

I governi hanno il dovere di assicurare il diritto alla salute senza discriminazione e dovrebbero prestare particolare attenzione ai gruppi marginalizzati e alle categorie più ad alto rischio di contagio da Covid-19. Devono garantire l’accesso ai diritti economici, sociali e culturali, affrontando con uno sforzo speciale l’impatto sproporzionato della pandemia su quanti subiscono già molteplici forme di discriminazione e marginalizzazione, come le violazioni derivanti dalla storica emarginazione e discriminazione cui sono soggette le popolazioni native. Devono anche assicurare l’accesso ai diritti sessuali e riproduttivi, inclusa l’assistenza per un aborto sicuro.

I governi devono rispettare e facilitare l’esercizio dei diritti alla libertà d’espressione e riunione, assicurando tra l’altro che i giornalisti siano in grado di svolgere il loro legittimo lavoro d’informazione, liberi da vessazioni e violenza. Devono riconoscere il legittimo lavoro dei difensori dei diritti umani e creare un ambiente favorevole che permetta loro di lavorare in sicurezza e smettere di rispondere alle proteste sociali o alle critiche con la repressione e di ricorrere alla detenzione arbitraria e alla sparizione forzata per mettere a tacere gli oppositori.

I governi devono assicurare che i protocolli e le prassi riguardanti le operazioni di ordine pubblico siano conformi agli standard internazionali e che qualsiasi violazione di tali standard sia opportunamente indagata e i sospettati di responsabilità penale siano giudicati in processi equi, celebrati da tribunali civili ordinari. Devono astenersi dal compromettere l’indipendenza della magistratura, di modo che il diritto di ottenere giustizia, verità e riparazione possa diventare una realtà tangibile per quanti sono sotto la sua giurisdizione. Devono anche affrontare il problema dell’impunità che avvolge la violenza per motivi legati al genere, all’orientamento sessuale o all’identità di genere. Devono adottare misure urgenti per contrastare la violenza contro donne e ragazze e affrontare le sue cause alla radice; proteggere le persone Lgbti da ogni forma di violenza ed eliminare la discriminazione che è alla base di una gamma di violazioni dei diritti umani di cui sono vittime.

I governi della regione devono adempiere ai loro obblighi di tutelare le persone in cerca di protezione internazionale, rispettarne e salvaguardarne i diritti e permettere loro di rimanere all’interno del loro territorio nazionale, in condizioni dignitose, fino a quando non sia stata trovata una soluzione duratura.

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