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PANORAMICA REGIONALE SULLE AMERICHE

A tre anni dall’insorgenza del Covid-19, la regione delle Americhe continuava a vivere gli effetti devastanti della pandemia. Le autorità non hanno saputo garantire a milioni di persone l’accesso ai loro diritti fondamentali al cibo, all’acqua e alla salute, mentre i sistemi sanitari rimanevano drammaticamente sottofinanziati. Sullo sfondo di una recessione economica, le autorità di molti paesi hanno intensificato il ricorso a tattiche repressive per mettere a tacere il dissenso e soffocare molte forme di protesta. Diversi governi hanno dichiarato stati di emergenza che hanno implicato una serie di gravi violazioni dei diritti umani, come arresti arbitrari, processi iniqui e uccisioni illegali. In altri casi, la repressione è stata accompagnata dall’uso eccessivo della forza contro persone che esercitavano il loro diritto di protesta, da sorveglianza e monitoraggio illegali degli attivisti e da attacchi contro i giornalisti. Le popolazioni native, le persone nere e altre storicamente soggette a discriminazione razziale hanno continuato a essere sproporzionalmente colpite da violazioni dei diritti umani, tra cui abusi della polizia e tortura e altro maltrattamento nei centri di detenzione per migranti. I diritti sessuali e riproduttivi hanno registrato significative battute d’arresto e le autorità di vari paesi hanno approvato misure che minacciavano l’accesso all’aborto e messo al bando l’educazione sessuale completa nelle scuole. La violenza contro donne e ragazze è rimasta un fenomeno diffuso e le persone Lgbti continuavano a essere a rischio, con alcuni paesi che hanno registrato livelli da record di persone transgender uccise. In diversi stati, le autorità si sono attivate per assicurare alla giustizia alcuni dei responsabili dei crimini compiuti in passato, ma l’impunità per altre gravi violazioni dei diritti umani è rimasta generalmente radicata. I governi non hanno adempiuto ai loro impegni sul cambiamento climatico. Di fronte ai livelli di portata storica riguardanti i flussi di persone in cerca di protezione o di una vita migliore all’estero, le autorità hanno implementato politiche regressive che hanno indebolito i diritti dei rifugiati e migranti e violato il diritto internazionale.

 

DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI

Il numero di persone che versavano in una situazione di povertà è rimasto sopra i livelli pre-pandemia. Molti governi della regione non sono stati capaci di affrontare gli ostacoli strutturali responsabili della crisi scatenata dalla pandemia: disuguaglianze socioeconomiche preesistenti, bassi livelli di tassazione e di spesa pubblica destinata al settore sanitario e mancanza di accesso ad altri fattori sociali determinanti per la salute, vale a dire sicurezza alimentare, acqua potabile e infrastrutture di base.

L’inflazione ha accentuato le difficoltà economiche. Secondo il Fondo monetario internazionale, l’inflazione era particolarmente forte in Argentina, Cile, Colombia, Haiti, Honduras, Nicaragua e Venezuela. Milioni di persone nella regione non godevano dei fondamentali diritti al cibo, alla salute e all’acqua. In Brasile, più della metà della popolazione non aveva un adeguato e regolare accesso al cibo e le persone nere e le comunità marginalizzate erano sproporzionatamente svantaggiate. In Venezuela, la maggior parte della popolazione viveva in una condizione di insicurezza alimentare e, secondo la Banca mondiale, ad agosto il paese aveva il terzo tasso d’inflazione per i generi alimentari più alto del mondo. A Cuba, l’irreperibilità dei generi alimentari costringeva le persone a mettersi in coda per ore per procurarsi beni di prima necessità e ad Haiti più del 40 per cento della popolazione sperimentava allarmanti livelli di fame, mentre riemergevano i casi di colera. In Argentina, nella prima metà dell’anno il 36,5 per cento della popolazione era in una situazione di povertà. Nella maggior parte dei paesi della regione, le autorità non hanno implementato misure in grado di tutelare maggiormente il diritto alla salute, nonostante la pandemia avesse dimostrato come i sistemi sanitari necessitassero di una profonda riforma. In Brasile, il congresso ha approvato il bilancio del ministero della Salute più basso dell’ultimo decennio, minacciando di colpire l’accesso a un’adeguata assistenza sanitaria e le forniture di farmaci nel paese. Paesi come Guatemala, Honduras e Paraguay hanno continuato a stanziare per il settore sanitario livelli drammaticamente insufficienti di fondi pubblici mentre i fornitori di servizi erano oberati di lavoro e incapaci di far fronte ai bisogni essenziali delle popolazioni. In Cile, a settembre, un’ampia maggioranza di cittadini ha respinto una proposta per una nuova carta costituzionale che avrebbe rafforzato le tutele per i diritti economici, sociali e culturali e i diritti ambientali, mentre le riforme proposte in materia di diritti alla salute e i diritti alla salute sessuale e riproduttiva, a fine anno, rimanevano in sospeso.

I governi devono agire immediatamente per destinare il massimo delle risorse a disposizione in modo da adempiere ai loro obblighi minimi di base in materia di diritti economici, sociali e culturali.

 

DETENZIONI ARBITRARIE, UCCISIONI ILLEGALI E TORTURA E ALTRO MALTRATTAMENTO

Le autorità di molti paesi hanno continuato a violare i diritti delle persone alla vita, alla libertà, a un processo equo e all’integrità fisica. Queste violazioni sono occorse principalmente durante le azioni repressive messe in atto dai governi in risposta alle crisi politiche o agli stati d’emergenza, o nel quadro di carenze più generalizzate delle forze di sicurezza e dei sistemi giudiziari, che hanno portato a reazioni illegali, arbitrarie e sproporzionate.

Le forze di sicurezza hanno fatto ricorso all’uso eccessivo della forza e compiuto uccisioni illegali in maniera diffusa in tutta la regione, prendendo spesso di mira i quartieri a basso reddito e razzializzati in paesi come Argentina, Brasile, Colombia, Messico, Repubblica Dominicana, Usa e Venezuela, per citarne alcuni. In Venezuela, nel periodo compreso tra gennaio e settembre, le forze di sicurezza hanno compiuto 488 esecuzioni extragiudiziali in varie parti del paese. In Brasile, nelle operazioni condotte dalla polizia sono rimaste uccise decine di persone.

Le detenzioni arbitrarie sono rimaste diffuse in Colombia, Cuba, Ecuador, El Salvador, Messico, Nicaragua e Venezuela. Le persone trattenute venivano spesso torturate o altrimenti maltrattate e, in alcuni casi, sottoposte a sparizione forzata. A marzo, le autorità di El Salvador hanno dichiarato uno stato d’emergenza in risposta a un’impennata del numero degli omicidi, attribuiti all’attività delle bande armate. La misura ha dato luogo a massicce violazioni dei diritti umani, più di 60.000 arresti e numerosi processi iniqui. In Ecuador, almeno 146 persone private della libertà sono state uccise, nel contesto di una crisi del sistema penitenziario. In Ecuador e in Messico, sono stati varati provvedimenti amministrativi, giudiziari e legislativi per ampliare il ruolo delle forze armate, conferendo loro compiti di pubblica sicurezza.

 

REPRESSIONE DEL DISSENSO E DELLA LIBERTÀ D’ESPRESSIONE

In diversi paesi, movimenti sociali e attivisti sono scesi per le strade per chiedere il rispetto dei diritti economici e sociali, azioni concrete contro la violenza di genere, il rilascio di coloro che erano stati ingiustamente arrestati e per difendere l’ambiente. Le autorità hanno regolarmente risposto a tali richieste facendo ricorso all’uso eccessivo della forza. In Ecuador, almeno sei persone sono morte dopo che le forze di sicurezza erano intervenute facendo uso eccessivo della forza, per disperdere le proteste dei nativi riguardanti tematiche socio ambientali. In Colombia, un leader nativo è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco nel contesto di una protesta ambientale e, in un’altra situazione, nella capitale Bogotá, un manifestante ha riportato un trauma oculare, dopo essere stato colpito da un proiettile. In Perù, almeno tre persone sono morte durante le proteste suscitate dagli interventi della polizia nazionale durante la prima metà dell’anno e, nelle ultime settimane del 2022, almeno 22 persone sono state uccise durante le proteste legate alla crisi politica che era seguita alla destituzione dell’ex presidente Pedro Castillo, a dicembre.

In Bolivia, le autorità di pubblica sicurezza hanno represso con la violenza e, in alcuni casi, hanno arbitrariamente arrestato produttori di foglie di coca che protestavano contro i tentativi di sradicare le loro coltivazioni. Negli Usa, più di 75 persone sono state arrestate in relazione alle proteste che avevano fatto seguito alla morte di Jayland Walker, un uomo nero ucciso con 46 colpi d’arma da fuoco esplosi dalla polizia ad Akron, in Ohio, a giugno. In Messico, il governo ha continuato a stigmatizzare le femministe e i difensori dei diritti umani che protestavano contro l’inazione del governo davanti agli episodi di violenza di genere e, in alcuni stati, le forze di sicurezza hanno picchiato con violenza e arrestato arbitrariamente i manifestanti. A Portorico e Cuba, sono stati segnalati diversi casi di uso eccessivo della forza da parte della polizia, intervenuta per sedare le proteste per le frequenti interruzioni dell’energia elettrica e per altre richieste sociali, in seguito all’uragano Ian.

In Nicaragua, durante l’anno, le autorità hanno revocato lo status legale a più di un migliaio di organizzazioni, chiuso almeno 12 università, incarcerato giornalisti e vessato attivisti e oppositori politici. In Venezuela, i servizi di intelligence e altre forze di sicurezza, con la compiacenza del sistema giudiziario, hanno continuato a detenere arbitrariamente, torturare e altrimenti maltrattare coloro che percepivano come oppositori del governo.

Difensori dei diritti umani sono stati uccisi a causa del loro lavoro in Bolivia, Brasile, Colombia, Guatemala, Honduras, Messico, Perù e Venezuela. Sono stati inoltre minacciati, vessati o sottoposti a procedimenti penali o arresti arbitrari in paesi come Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Cuba, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Honduras, Messico, Nicaragua, Paraguay, Perù e Venezuela. In Colombia, durante l’anno sono stati uccisi almeno 189 leader sociali e difensori dei diritti umani. In Venezuela, almeno 396 difensori dei diritti umani sono stati vittime di intimidazioni, stigmatizzazione e minacce. In Nicaragua, decine di dissidenti e persone critiche verso il governo detenute sono state sottoposte a procedimenti giudiziari privi delle basilari garanzie di equità processuale. In Paraguay, gli attivisti hanno continuato a incorrere in accuse inventate per la loro partecipazione alle proteste contro le politiche sanitarie varate dallo stato. In Guatemala, giudici, procuratori, difensori dei diritti umani e manifestanti hanno subìto procedimenti penali infondati. E in Bolivia, i difensori dei diritti umani hanno affrontato azioni penali per avere criticato il governo.

La libertà di stampa è rimasta a rischio in tutta la regione. Giornalisti sono stati uccisi in Colombia, Haiti, Messico e Venezuela. In Messico, il 2022 è stato l’anno in assoluto più tragico per la stampa, con almeno 13 giornalisti uccisi. In Nicaragua e Venezuela, sono state disposte chiusure arbitrarie di emittenti. In Guatemala, i giornalisti che svolgevano inchieste sulla corruzione e l’impunità sono spesso incorsi in denunce penali e campagne diffamatorie, mentre in El Salvador sono state denunciate decine di attacchi contro i giornalisti.

L’utilizzo dello spyware Pegasus per porre illegalmente sotto sorveglianza attivisti e giornalisti è stato documentato in El Salvador, Messico e Perù.

Le autorità hanno inoltre utilizzato legislazioni dalla formulazione vaga e ampiamente generica per mettere a tacere le voci critiche. In El Salvador, il codice penale è stato emendato al fine di punire con condanne da 10 a 15 anni di carcere chiunque generasse “ansia” o “panico”, svolgendo inchieste giornalistiche sulle bande criminali. In Nicaragua, la legge generale sulla regolamentazione e il controllo delle organizzazioni non profit è stata solo l’ultima di una serie di legislazioni approvate a partire dal giro di vite del 2018 contro le attività delle organizzazioni della società civile. A Cuba, un nuovo codice penale entrato in vigore a dicembre rischiava di rendere sempre più radicate le limitazioni di lunga data ai diritti alla libertà d’espressione e riunione pacifica. In Argentina, il governo provinciale di Jujuy ha presentato una proposta di legge per emendare la costituzione provinciale e limitare le proteste, vietando i blocchi stradali e l’“usurpazione di spazio pubblico”.

I governi devono rispettate, proteggere e facilitare l’esercizio dei diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica, assicurando tra l’altro che i giornalisti, i difensori dei diritti umani e coloro che sono percepiti come oppositori politici siano in grado di svolgere il loro lavoro ed esercitare i loro diritti a un ambiente sicuro e libero da vessazioni, violenza e sorveglianza illegale.

I governi devono garantire che le persone siano in grado di esercitare il loro diritto di protestare pacificamente e che l’uso della forza impiegato dalle agenzie di pubblica sicurezza sia necessario, proporzionato e legale.

 

DIRITTI SESSUALI E RIPRODUTTIVI

In diversi paesi della regione, le autorità hanno intrapreso iniziative che hanno gravemente minacciato i diritti sessuali e riproduttivi. In El Salvador, l’aborto è rimasto vietato in tutte le circostanze. Almeno due donne erano ancora in carcere per accuse legate a emergenze ostetriche, compresa una condannata alla pena massima di 50 anni di carcere. Nella Repubblica Dominicana, il congresso non è ancora riuscito a proporre una riforma del codice penale che depenalizzasse l’aborto.

A giugno, la Corte suprema degli Usa ha cancellato le protezioni federali che tutelavano i diritti all’aborto ribaltando la storica sentenza Roe vs. Wade, riportando la giurisprudenza indietro di quasi 50 anni. In seguito alla decisione, le assemblee legislative di diversi stati hanno approvato leggi per vietare o ridurre l’accesso all’aborto. Per contro, in vari stati americani si sono tenuti referendum in cui i cittadini hanno votato a larga maggioranza a favore del diritto d’aborto. A Portorico, cinque proposte legislative che miravano a limitare l’accesso all’aborto sono state bocciate. In Perù, è stata presentata al congresso una proposta di legge che, se approvata, avrebbe minacciato l’accesso all’aborto. In Argentina, l’accesso all’aborto è rimasto difficile in molte parti del paese, nonostante l’approvazione nel 2020 di una legge che aveva depenalizzato e reso legale l’aborto fino alle prime 14 settimane di gravidanza.

Ciononostante, ci sono stati anche alcuni sviluppi positivi per i diritti sessuali e riproduttivi. Una sentenza della Corte costituzionale della Colombia, a febbraio, ha depenalizzato l’aborto fino alla 24ᵃ settimana di gravidanza. In Messico, altri quattro stati hanno depenalizzato l’aborto, portando a 11 il numero degli stati messicani in cui l’aborto è legale su un totale di 32. In Ecuador, il presidente ha convertito in legge una proposta che ha depenalizzato l’aborto in caso di stupro, ma che tuttavia conteneva determinati elementi restrittivi che limitavano i diritti riproduttivi.

Le autorità di diversi stati non hanno saputo proteggere il diritto a un’educazione sessuale completa. Le autorità argentine (nella provincia di Chaco), paraguayane, peruviane e di diversi stati degli Usa hanno continuato a frenare l’integrazione delle tematiche riguardanti l’educazione sessuale e la diversità di genere nei programmi scolastici.

I governi devono assicurare l’accesso ai diritti sessuali e riproduttivi, incluso l’accesso ai servizi di assistenza per un aborto sicuro.

 

VIOLENZA E DISCRIMINAZIONE CONTRO DONNE, RAGAZZE E PERSONE LESBICHE, GAY, BISESSUALI, TRANSGENDER E INTERSESSUATE

Le autorità non hanno saputo proteggere donne e ragazze dalla radicata violenza di genere o fornire risposte al problema dell’impunità per questi crimini. In Argentina, secondo i dati raccolti dalle Ong, sono state registrate 233 uccisioni motivate dal genere (femminicidi), il 91 per cento delle quali in ambito domestico. In Messico, tra gennaio e novembre, sono stati denunciati 858 femminicidi (uccisioni motivate dal genere facilitate dal clima di impunità in cui le istituzioni hanno pertanto un concorso di responsabilità). In Venezuela, le organizzazioni locali hanno riportato un totale di 199 femminicidi tra gennaio e settembre. Un osservatorio della società civile in Uruguay ha registrato un aumento dei casi di femminicidio rispetto all’anno precedente e in Perù sono stati riportati 124 femminicidi.

Il congresso americano ha approvato, e il presidente Biden ha successivamente convertito in legge, il Violence Against Women Act (Vawa), il principale meccanismo legislativo per finanziare gli interventi di risposta e prevenzione della violenza contro le donne negli Usa, la cui approvazione era in precedenza saltata. Le persone Lgbti hanno continuato a essere a rischio di uccisioni, attacchi, discriminazione e minacce e hanno incontrato ostacoli nel riconoscimento legale in vari paesi della regione. Le persone transgender erano particolarmente a rischio di essere uccise in Brasile, Colombia, Guatemala, Honduras e Messico. I dati pubblicati a gennaio mostravano che per il 13° anno consecutivo il Brasile era il paese con il più alto numero di uccisioni di persone transgender del mondo. Tuttavia, per la prima volta nella storia del paese, due donne transgender sono state elette al congresso federale. Durante l’anno sono stati adottati diversi provvedimenti legislativi riguardanti i diritti delle persone Lgbti. In Colombia, la Corte costituzionale ha riconosciuto l’identità di genere non binaria nei sistemi d’iscrizione anagrafica e di rilascio dei documenti d’identità, stabilendo un precedente legale per la diversità di genere. A settembre, in seguito a un referendum, Cuba ha approvato un nuovo codice di famiglia che ha dato il via libera al matrimonio egualitario e all’adozione da parte delle coppie omosessuali. A ottobre, lo stato di Tamaulipas, in Messico, ha approvato il riconoscimento del matrimonio tra le persone dello stesso sesso, rendendolo pertanto legale in tutto il paese. Negli Usa, a dicembre è entrato in vigore il Respect for Marriage Act, che ha fornito una tutela federale per i matrimoni omosessuali. Per contro, a maggio, la Commissione portoricana per i diritti umani e le politiche del lavoro ha affossato le proposte per la creazione di una carta dei diritti delle persone Lgbti.

I governi della regione devono adottare interventi urgenti per prevenire i femminicidi così come le uccisioni delle persone Lgbti, assicurare i responsabili di questi crimini alla giustizia e impegnarsi a stabilire concrete garanzie di non ripetizione.

 

DISCRIMINAZIONE CONTRO LE POPOLAZIONI NATIVE E LE PERSONE NERE

Le persone storicamente soggette a discriminazione razziale hanno continuato a essere sproporzionalmente colpite da violazioni dei diritti umani. Leader nativi sono stati uccisi nel contesto di conflitti legati alla terra in Brasile, Colombia, Ecuador e Messico. In Colombia, leader e difensori nativi sono stati attaccati e uccisi e, nelle aree in cui continuavano a operare i gruppi armati, le popolazioni native e le comunità afrodiscendenti sono state sfollate con la forza fino a dover affrontare in alcuni casi situazioni di crisi umanitaria. In Paraguay, la risposta delle autorità davanti agli sgomberi forzati delle popolazioni native dalle loro terre è stata inadeguata. In Nicaragua, le popolazioni native sono state sgomberate con la forza e sottoposte a violenza da parte di individui armati.

In diversi paesi, come Argentina, Brasile, Canada, Guatemala, Honduras, Messico, Paraguay, Perù e Venezuela, i governi hanno dato il via libera a progetti estrattivi, agroindustriali e infrastrutturali senza ottenere il consenso libero, anticipato e informato delle popolazioni native che ne erano colpite. In Argentina, le popolazioni native hanno continuato ad affrontare gravi difficoltà nell’accesso ai loro diritti collettivi alla terra. In Ecuador, sono proseguite le uccisioni e le minacce contro i leader e i difensori nativi. Le popolazioni native dell’Amazzonia ecuadoriana colpite da estesi sversamenti di petrolio a gennaio non hanno ottenuto alcun indennizzo per quella fuoriuscita né per una precedente verificatasi nel 2020.

Negli Usa, le donne native hanno continuato a subire un numero sproporzionatamente elevato di stupri e violenza sessuale e a non avere accesso a forme basilari di assistenza post stupro; era alto anche il tasso di sparizioni e uccisioni. In Canada, le donne native di diverse prime nazioni e comunità inuit del Québec hanno riportato sterilizzazioni forzate e altra violenza ostetrica.

Il primo ministro canadese Trudeau ha ammesso ufficialmente il ruolo della chiesa cattolica e del governo canadese nella fondazione, amministrazione e nel funzionamento del sistema di scuole residenziali, che a ottobre la camera dei comuni ha unanimemente riconosciuto come genocidio contro le popolazioni native.

Le persone nere hanno continuato a essere sproporzionatamente vittime della violenza dello stato in diversi paesi della regione. In Brasile, molte operazioni di polizia si sono concluse con numerose uccisioni, come a maggio nel quartiere Vila Cruzeiro di Rio de Janeiro, quando sono state uccise 23 persone. Secondo i dati raccolti dalla società civile brasiliana, l’84 per cento di tutte le persone uccise dalla polizia in Brasile erano nere. Analogamente, i dati sulle uccisioni compiute dalla polizia a Portorico hanno rilevato che coloro che vivevano in comunità a basso reddito multirazziali correvano un rischio maggiore di essere uccisi dalla polizia, rispetto a chi viveva in comunità a basso reddito bianche. Le autorità statunitensi hanno sottoposto i richiedenti asilo haitiani a detenzione arbitraria e a trattamento discriminatorio e umiliante configurabile come tortura a sfondo razziale. Sempre negli Usa, i limitati dati disponibili suggerivano che l’uso letale della forza da parte della polizia colpiva in maniera sproporzionata le persone nere. Il senato americano non è riuscito ad approvare il George Floyd Justice in Policing Act. La legge, che era stata approvata dalla camera dei rappresentanti nel 2021, intendeva affrontare un ampio pacchetto di politiche e tematiche relative alle operazioni di ordine pubblico e all’accertamento delle responsabilità della polizia. In Canada, il servizio di polizia di Toronto ha ammesso uno sproporzionato utilizzo della forza e delle perquisizioni contro le comunità razzializzate, in particolare quelle nere.

Le autorità devono rispettare il diritto delle popolazioni native all’autodeterminazione e garantire il loro consenso libero, anticipato e informato per qualsiasi progetto che interessi il loro territorio. Le uccisioni di persone native devono essere indagate in maniera tempestiva, imparziale ed efficace.

Le autorità devono intervenire in maniera risoluta per smantellare il razzismo sistemico presente nelle operazioni di ordine pubblico e nei sistemi di controllo dell’immigrazione e progettare sistemi di raccolta di dati disaggregati per razza, che si avvalgano della piena e concreta partecipazione delle comunità interessate.

 

IMPUNITÀ E MANCATO ACCERTAMENTO DELLE RESPONSABILITÀ

Le autorità di diversi paesi hanno compiuto alcuni importanti seppur limitati progressi in relazione all’accertamento delle responsabilità per le violazioni dei diritti umani, inclusi i crimini di diritto internazionale, commesse nei precedenti decenni. Per contro, i governi hanno in generale omesso di perseguire coloro che erano sospettati di responsabilità per questi crimini e altre gravi violazioni compiuti più recentemente, e i sistemi giudiziari dei paesi della regione sono rimasti accomunati da una radicata impunità.

Le autorità di Argentina, Bolivia, Cile, Colombia, Guatemala e Uruguay hanno compiuto progressi nelle indagini o sono riuscite ad aprire fascicoli giudiziari per le violazioni dei diritti umani commesse durante i regimi militari o i conflitti armati. In Colombia, a fine anno erano decine gli ex membri dell’esercito formalmente accusati davanti alla giurisdizione speciale per la pace (Jurisdicción especial para la paz – Jep).

Tuttavia, in El Salvador, le autorità non hanno compiuto progressi significativi per perseguire coloro che erano accusati di avere commesso crimini e violazioni dei diritti umani durante il conflitto armato (1982-1992). Negli Usa, nessuno è stato portato davanti alla giustizia per le diffuse violazioni dei diritti umani, tra cui sparizioni forzate, tortura e altro maltrattamento, commesse nel contesto del programma di detenzione segreta operato dalla Cia, autorizzato dal 2001 al 2009. In Guatemala, le autorità non hanno protetto i giudici e i procuratori che si occupavano di casi giudiziari riguardanti il conflitto armato interno (1960-1996) dalle continue intimidazioni, vessazioni e azioni penali infondate.

È prevalsa ancora l’impunità per le violazioni dei diritti umani commesse dalle autorità in Bolivia, Cile, Colombia, Honduras, Nicaragua e Venezuela, durante le proteste che sono state gestite dai governi con varie ondate di repressione tra il 2017 e il 2021. In Messico, il numero delle persone date per disperse o scomparse a partire dagli anni Sessanta aveva ormai superato la cifra di 109.000, oltre 90.000 delle quali dal 2006.

I rapporti della Missione delle Nazioni Unite di accertamento dei fatti in Venezuela hanno evidenziato come la manipolazione del sistema giudiziario per coprire i poliziotti e i militari responsabili di violazioni permettesse loro di sfuggire alla giustizia e hanno identificato la catena di comando che collegava i sospetti perpetratori al governo di Nicolás Maduro. L’ufficio del procuratore dell’Icc ha aperto un’indagine sui presunti crimini contro l’umanità compiuti in Venezuela, la prima indagine di questo tipo nella regione. In Cile, le persone accusate di presunti reati durante le proteste di massa del 2019 sono rimaste in detenzione, alcune per accuse infondate. Intanto, il governo ha annunciato un nuovo programma per fornire riparazione alle oltre 400 persone che avevano riportato traumi oculari durante le proteste. In Nicaragua, a fine anno, erano 225 le persone ancora detenute in relazione alla crisi dei diritti umani cominciata nel 2018.

In Brasile, il procuratore generale ha richiesto alla Corte suprema di archiviare sette delle 10 indagini aperte contro il presidente Bolsonaro, in seguito al rapporto di una commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione da parte del governo della pandemia da Covid-19, che aveva raccomandato il suo rinvio a giudizio per accuse di ciarlatanismo, malafede e crimini contro l’umanità. Nel paese continuava a prevalere l’impunità per le uccisioni illegali compiute dalle forze di sicurezza e dai poliziotti brasiliani.

Le carceri sono rimaste cronicamente sovraffollate in Cile, Ecuador, El Salvador, Uruguay e Venezuela. Trentacinque uomini musulmani erano ancora detenuti arbitrariamente e a tempo indefinito da parte dell’esercito degli Usa nella base navale statunitense di Guantánamo Bay, a Cuba, in violazione del diritto internazionale.

Le autorità devono affrontare l’impunità intraprendendo indagini tempestive, indipendenti, imparziali ed efficaci su tutti i crimini di diritto internazionale e altre violazioni dei diritti umani, sia del passato che del presente. Le autorità devono perseguire coloro che sono sospettati di responsabilità penale per crimini di diritto internazionale e assicurare giustizia, verità e riparazione per vittime e sopravvissuti.

 

FALLIMENTO NELL’AFFRONTARE LA CRISI CLIMATICA E IL DEGRADO AMBIENTALE

I governi non hanno saputo implementare misure sufficientemente incisive per combattere la portata della crisi climatica, mentre gli attivisti e le popolazioni native che proteggevano l’ambiente hanno subìto attacchi per avere cercato di affrontare il problema. Nonostante la retorica con cui molti paesi della regione dichiaravano il loro sostegno all’obiettivo di ridurre le emissioni globali, le autorità non hanno saputo far corrispondere le parole ai fatti. Nel suo rapporto 2022, Global Witness ha dichiarato che tre quarti delle uccisioni registrate nel 2021 di difensori della terra e ambientalisti avevano avuto luogo in America Latina. I paesi che avevano registrato casi di questo tipo erano: Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guatemala, Honduras, Messico, Nicaragua, Perù e Venezuela.

L’America Latina, così come l’Africa, è rimasta una delle regioni con il più alto tasso di perdita di copertura forestale naturale, secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. In Brasile, tra gennaio e ottobre, il ritmo di deforestazione nell’Amazzonia brasiliana ha raggiunto i livelli più alti dal 2015. In Bolivia, nonostante l’impegno assunto dalle autorità di conservare la copertura forestale e combattere la deforestazione illegale, sono stati bruciati più di un milione di ettari di terreno, in larga parte per espandere attività agroindustriali.

Diversi governi hanno assunto impegni e approvato legislazioni sul cambiamento climatico, che tuttavia non corrispondevano alla portata della crisi da affrontare. Durante la Cop27, a novembre, il Canada e gli Usa non hanno innalzato i loro obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030.

Se da un lato il congresso americano ha approvato il primo pacchetto legislativo sul cambiamento climatico nella storia degli Usa, ha anche ridato il via alle vecchie aste per le concessioni delle licenze per l’estrazione di petrolio e gas su terreni federali e nel Golfo del Messico, che l’amministrazione Biden aveva cercato di cancellare, e costretto l’amministrazione a lanciare altre gare, che sono cominciate a settembre.

Il neoeletto presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, ha annunciato che avrebbe promosso la protezione dei biomi del paese, ponendo particolare enfasi sull’Amazzonia, un’area che i rapporti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico hanno descritto come altamente vulnerabile alla siccità e alle alte temperature. Se da un lato il presidente colombiano Gustavo Petro ha annunciato alla Cop27 un piano di transizione energetica imperniato su risorse energetiche rinnovabili non convenzionali, organizzazioni come Nación Wayuu e Indepaz hanno denunciato violazioni del diritto a una consultazione libera, anticipata e informata delle popolazioni native in merito alla realizzazione di diversi parchi eolici nel dipartimento di Guajira. Le autorità della regione non hanno tenuto fede agli impegni che avevano precedentemente sottoscritto come stati parte all’Accordo di Parigi e, in alcuni casi, hanno attivamente sostenuto progetti legati ai combustibili fossili. In Brasile, le autorità hanno presentato un Ndc insufficiente in rapporto al contributo del paese al cambiamento climatico. Nella prima metà dell’anno, la Export Development Canada, l’agenzia di credito per l’esportazione canadese, aveva già fornito finanziamenti per 3,4 miliardi di dollari canadesi (2,5 miliardi di dollari Usa) al settore petrolifero e del gas naturale in Canada e all’estero. Allo stesso tempo, il Canada varava un piano per cancellare il finanziamento pubblico di nuovi progetti legati ai combustibili fossili.

Le autorità devono intraprendere azioni urgenti per frenare le loro emissioni di carbonio, cessare il finanziamento dei progetti legati ai combustibili fossili e garantire che le popolazioni native e i difensori dei diritti umani siano tutelati nelle politiche sull’ambiente adottate dagli stati. I paesi più ricchi della regione devono anche aumentare con urgenza i finanziamenti per il clima indirizzati ai paesi a basso reddito e impegnarsi a fornire ulteriori fondi per perdite e danni.

 

DIRITTI DI RIFUGIATI E MIGRANTI

Le profonde crisi umanitarie e dei diritti umani che hanno investito varie parti della regione hanno determinato un forte aumento del numero delle persone che lasciavano il proprio paese in cerca di protezione. A giugno, l’Unicef ha dichiarato che il numero dei bambini che attraversavano il Darién Gap, tra la Colombia e Panama, aveva superato quota 5.000 dagli inizi del 2022, il doppio del numero registrato nello stesso periodo del 2021. La Piattaforma di coordinamento inter-agenzia per i rifugiati e migranti del Venezuela ha calcolato che, a fine anno, i venezuelani che avevano abbandonato il paese erano ormai 7,13 milioni, l’84 per cento dei quali aveva cercato protezione in 17 paesi dell’America Latina e dei Caraibi. Anche il numero di persone scappate da Cuba e Haiti è notevolmente aumentato rispetto agli ultimi anni, andando ad aggiungersi al regolare flusso di persone in fuga dal Venezuela e dall’America Centrale. La mancanza di solidi sistemi di protezione internazionale ha continuato a lasciare rifugiati e migranti senza tutele in Argentina, Canada, Cile, Colombia, Messico, Perù, Trinidad e Tobago e Usa.

Le corti federali statunitensi hanno convalidato i protocolli statunitensi sulla migrazione, (Migration Protection Protocols – Mpp) e il titolo 42 del codice di salute pubblica, determinando danni irreparabili a decine di migliaia di richiedenti asilo che sono stati espulsi e mandati incontro al pericolo in Messico. Le autorità messicane hanno continuato a collaborare con quelle statunitensi per permettere l’applicazione di tali politiche, in violazione del principio di non refoulement. Negli Usa, le autorità hanno mantenuto in piedi un sistema di detenzione arbitraria di massa dei migranti, stanziando nel 2022 fondi per detenere 34.000 persone al giorno. Tra settembre 2021 e maggio 2022, gli Usa hanno espulso più di 25.000 haitiani al di fuori delle procedure dovute, in violazione della legislazione interna e del diritto internazionale. Le autorità messicane hanno detenuto almeno 281.149 persone in sovraffollati centri di detenzione per migranti ed espulso almeno 98.299 persone, in prevalenza provenienti dall’America Centrale, inclusi migliaia di minori non accompagnati.

Trinidad e Tobago è rimasto uno dei pochi paesi delle Americhe ancora privi di una legislazione specifica sull’asilo e le Nazioni Unite hanno espresso allarme per i continui respingimenti praticati dalle autorità, le disumane condizioni di detenzione e le espulsioni dei richiedenti asilo venezuelani. Intanto, le donne venezuelane in cerca di protezione sono state vittime di episodi di violenza di genere e discriminazione in paesi come Colombia, Ecuador, Perù e Trinidad e Tobago, e non solo, dove le autorità non hanno saputo garantire i loro diritti a una vita libera dalla violenza e dalla discriminazione. In Perù, il sistema di determinazione delle domande d’asilo è rimasto sospeso.

In Cile, le autorità hanno ricominciato a espellere immediatamente gli stranieri senza una concreta valutazione del loro bisogno di protezione internazionale o dei rischi che avrebbero dovuto affrontare se rimandati nel loro paese. In Argentina, le autorità non sono riuscite a far passare i decreti attuativi per l’implementazione di una legge che avrebbe permesso ai richiedenti asilo e ai rifugiati un più ampio accesso ad alcuni diritti fondamentali come quello all’istruzione, al lavoro e all’assistenza sanitaria.

Le autorità devono cessare immediatamente le espulsioni illegali, astenersi dal detenere rifugiati e migranti e assicurare che i loro bisogni di protezione internazionale siano riconosciuti.

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