Rapporto 2022 – 2023

Analisi Globale

Photo by ALEXIS HUGUET/AFP via Getty Images

Nel 2022 sono scoppiati nuovi conflitti, altri sono ripresi e alcuni, di lunga data, sono proseguiti. Sul campo, le violazioni del diritto internazionale umanitario hanno causato terribili tragedie umane. Le risposte internazionali sono state contradditorie, sia rispetto al grave impatto sui diritti umani dei diversi conflitti che alla protezione delle persone che da questi fuggivano, oltre che di fronte a gravi violazioni sistematiche, alcune delle quali equivalenti a crimini contro l’umanità. Queste hanno in alcuni casi implicato la pesante repressione delle libertà di espressione, associazione e riunione pacifica, comprese le proteste. Coloro che difendevano i diritti umani hanno spesso sopportato il peso di questa repressione.

Intanto, la violenza di genere contro donne, ragazze e persone Lgbti è rimasta una problematica globale, nonostante alcune azioni per migliorare le tutele legali; sui diritti all’aborto ci sono stati importanti arretramenti e passi avanti. Sebbene molti paesi abbiano iniziato a uscire dall’ombra del Covid-19, altri hanno continuato a subirne gli effetti. Le crisi economiche associate all’impatto della pandemia, così come debiti insostenibili, conflitti e il cambiamento climatico, hanno alimentato un aumento vertiginoso del costo della vita e dell’insicurezza alimentare. Queste sfide hanno avuto un impatto sproporzionato sulle persone più marginalizzate e hanno accresciuto la diseguaglianza.

Questi sono i temi emersi con più forza dalla ricerca di Amnesty International su 156 paesi nel 2022 e sono profondamente connessi tra loro. La repressione del dissenso ha facilitato il percorso verso i conflitti. I conflitti armati e i colpi di stato del 2021 hanno aperto la strada al giro di vite sulla società civile. La violenza sessuale contro donne e ragazze è stata una caratteristica brutale dei conflitti armati. Guerra, crisi politiche, aumento del costo della vita, restrizioni al diritto di aborto, violenza sulle donne e discriminazione sono stati fattori chiave delle proteste. All’interno di alcuni di questi schemi di violazioni, la ricerca di Amnesty International ha mostrato prove dei danni sempre più gravi che derivano dal modello di business dei colossi tecnologici e ha sottolineato l’urgente necessità di azioni più coraggiose per affrontare la crisi climatica e il degrado ambientale.

 

VIOLAZIONI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO E DIRITTI DELLE PERSONE IN MOVIMENTO

In tutto il pianeta, sono scoppiati nuovi conflitti, altri sono ripresi e alcuni, di lunga data, sono proseguiti. Le forze governative e i gruppi armati si sono resi responsabili di violazioni del diritto internazionale umanitario e di abusi dei diritti umani, in alcuni casi equivalenti a crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

In Europa, le forze russe hanno invaso l’Ucraina in un atto di aggressione e, nel loro attacco alla popolazione civile, hanno commesso esecuzioni extragiudiziali e attacchi indiscriminati, e colpito deliberatamente le infrastrutture energetiche del paese durante l’inverno. In Africa, le forze governative e i gruppi armati che combattono in Etiopia, Repubblica Democratica del Congo (Democratic Republic of the Congo – Drc) e regione del Sahel, per fare alcuni esempi, hanno causato la morte di migliaia di civili, anche in alcune uccisioni di massa. In Medio Oriente e Africa del Nord, i conflitti di lunga data in Libia, Siria e Yemen, così come la ripresa degli scontri armati tra Israele e un gruppo armato palestinese ad agosto, sono stati caratterizzati da incursioni aeree indiscriminate o altri attacchi illegali, che hanno ucciso e ferito civili. Sono stati commessi crimini di guerra in Afghanistan, dove i talebani hanno portato avanti la loro campagna di uccisioni per rappresaglia contro i membri dell’amministrazione e delle forze di sicurezza precedenti.

La violenza sessuale è stata perpetrata nei conflitti di diverse regioni, anche come arma di guerra. Sia nella Repubblica Centrafricana che in Sud Sudan, decine di donne e ragazze hanno raccontato di essere state stuprate nel contesto degli scontri tra forze governative e gruppi armati o negli attacchi da parte dei gruppi armati. In Etiopia, le forze tigrine sono state responsabili di molteplici episodi di stupro e altre violenze sessuali legate al conflitto. In Ucraina, oltre alle denunce di violenze sessuali da parte delle forze russe, le donne hanno subìto altre minacce legate al genere poiché gli attacchi alle strutture sanitarie hanno contribuito pesantemente alla riduzione dei servizi di salute materna.

Con una mossa positiva, la maggioranza degli stati dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha condannato l’aggressione della Russia contro l’Ucraina e il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite si è mosso rapidamente per creare una commissione d’inchiesta in seguito all’invasione. Di fronte all’incapacità del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di agire rispetto a molti conflitti, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha messo in evidenza il prezzo politico dell’utilizzo del veto da parte di membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Lo ha fatto adottando ad aprile una risoluzione che impone all’Assemblea generale di riunirsi automaticamente ogni volta che viene usato il veto in seno al Consiglio1. L’Assemblea generale si è successivamente riunita dopo che la Russia aveva abusato del suo potere di veto per bloccare una risoluzione del Consiglio di sicurezza, che le chiedeva di tornare indietro sulla sua decisione di settembre di annettere quattro regioni parzialmente occupate dell’Ucraina. L’Assemblea generale ha condannato questa mossa e l’ha ritenuta illegittima e illegale. Tuttavia, l’azione pro domo sua della Russia non è stata l’unico caso di approccio selettivo alle violazioni in situazioni di conflitto.

Gli stati occidentali si sono espressi a sostegno dell’impegno dell’Icc per indagare le accuse di crimini di guerra in Ucraina; alcuni non hanno fatto altrettanto in diverse altre situazioni. Il Regno Unito ha di fatto destinato un’assistenza supplementare all’Icc e gli Usa hanno fornito sostegno politico, nonostante non abbiano ratificato lo Statuto di Roma e si siano opposti alle indagini che coinvolgevano loro alleati politici, come Israele, e i loro stessi cittadini per le loro azioni in Afghanistan e Iraq. In occasione del suo 20° anniversario, le azioni dell’Icc hanno spinto a chiedersi se i suoi princìpi si applichino alle vittime di crimini di diritto internazionale in modo equo in ogni situazione o regione. Mentre ha pubblicamente promosso la sua indagine su larga scala, assolutamente fondamentale, sulla situazione ucraina, ha impiegato molte meno risorse in altre indagini, come quelle sulla situazione in Nigeria e Palestina2. In un altro esempio di incoerenza, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite da un lato è stato giustamente diretto nel condannare le violazioni in Ucraina, dall’altro ha fallito nell’affrontare in modo significativo il conflitto in Yemen, lasciando un enorme vuoto nell’accertamento delle responsabilità.

Alcune aziende hanno facilitato violazioni in situazioni di conflitto, nonostante le azioni intraprese da difensori e organizzazioni dei diritti umani, così come da alcuni governi, per contrastare la loro condotta. Amnesty International ha documentato il ruolo delle imprese nell’importazione e distribuzione di carburante per l’aviazione, che potrebbe essere stato usato per incursioni aeree contro i civili da parte dell’esercito di Myanmar. In seguito, alcune aziende implicate hanno annunciato che stavano interrompendo o sospendendo le operazioni commerciali con Myanmar. Amnesty International ha anche rilevato che gli algoritmi e le pratiche commerciali di Meta (proprietaria di Facebook e Instagram) avevano di fatto contribuito alle gravi violazioni dei diritti umani commesse nel 2017, amplificando contenuti contro i rohingya e aprendo la strada all’azione dell’esercito di Myanmar contro di loro.

Come prevedibile, i conflitti armati hanno provocato grandi flussi di rifugiati e sfollamenti interni. Le politiche di accoglienza a porte aperte dell’Ue verso i rifugiati ucraini in fuga dall’aggressione russa hanno dimostrato che, in quanto uno dei blocchi più ricchi del mondo, era più che in grado di ricevere un cospicuo numero di persone in cerca di protezione e garantire loro l’accesso a servizi essenziali, come salute, istruzione e alloggio. Tuttavia, l’approccio nettamente differente da quello riservato alle persone in cerca di protezione che provenivano dall’esterno della regione ha messo in evidenza un profondo razzismo e una discriminazione radicata. Sia alle frontiere terrestri che marittime, rifugiati e migranti sono stati soggetti a rimpatri forzati, sommari e talvolta violenti, nonostante alcuni di loro abbiano subìto tortura e altre violazioni in paesi di transito come la Libia. Molti sono stati lasciati morire.

In Medio Oriente e Africa del Nord, la protezione dei rifugiati è stata minacciata. Le autorità libanesi hanno intensificato i così detti “rimpatri volontari” di siriani. Nelle Americhe, la mancanza di solidi sistemi di protezione internazionale in molti paesi ha continuato a lasciare senza tutele un numero in netto aumento di persone che scappavano da situazioni di violenza armata o altre crisi. Tra settembre 2021 e maggio 2022, gli Usa hanno espulso più di 25.000 haitiani e hanno sottoposto molti di loro a tortura e altri maltrattamenti, che hanno radici nel razzismo verso le persone nere.

Le parti coinvolte nei conflitti armati devono rispettare il diritto internazionale, indagare sulle accuse di violazioni e perseguire i sospetti responsabili. Tutti gli altri governi dovrebbero fare sistematicamente pressione in tal senso e agire per rafforzare la messa in atto della Risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che chiede misure speciali per proteggere donne e ragazze dalla violenza sessuale legata ai conflitti, oltre ad affermare l’importanza della piena ed equa partecipazione delle donne nella risoluzione dei conflitti e nella costruzione della pace. L’Icc deve garantire che i fondi per le indagini siano allocati in modo non discriminatorio. Tutti i governi devono assicurare che ogni persona che scappa dalla persecuzione abbia accesso a sicurezza e protezione internazionale e porre fine ai doppi standard nel trattamento di chi cerca protezione.

 

LIBERTÀ D’ESPRESSIONE, ASSOCIAZIONE E RIUNIONE

La repressione del dissenso e della società civile è rimasta una delle tendenze chiave a livello globale sui diritti umani.

Alcuni giri di vite sulle libertà di espressione e associazione sono stati collegati a un conflitto armato. In Russia, una nuova legislazione di fatto vietava di menzionare in modo critico la guerra in Ucraina. Sono stati avviati migliaia di procedimenti penali o amministrativi e decine di media indipendenti sono stati chiusi. In Etiopia, le autorità hanno arrestato arbitrariamente lavoratori dei media e ostacolato gli sforzi delle organizzazioni della società civile per l’avvio di un processo di pace.

Altre ondate di repressione sono seguite a situazioni in cui il potere governativo è stato ottenuto con le armi. In Afghanistan, le autorità talebane hanno sottoposto i giornalisti a detenzioni arbitrarie, così come a tortura e altri maltrattamenti, per aver riportato in modo critico la loro presa del potere nel paese, nel 2021. In Myanmar, le autorità militari che hanno preso il potere in seguito al colpo di stato del 2021 hanno arrestato decine di operatori dei media, mantenuto il divieto sui mezzi d’informazione indipendenti e posto restrizioni al legittimo lavoro delle Ong, rendendo la non conformità alle regole punibile con il carcere. In Mali, dove ci sono stati colpi di stato nel 2020 e nel 2021, le autorità hanno sospeso le emittenti nazionali ed estere, arrestato o minacciato giornalisti e altri che criticavano il governo o l’esercito.

Altrove, gli stati più influenti hanno messo sotto pressione la società civile per cercare di impedire il dibattito sulla situazione dei diritti umani sia all’estero che in patria. Il governo cinese si è scagliato contro un rapporto duro e lungamente atteso dell’Ohchr, che documentava possibili crimini contro l’umanità contro uiguri e altri gruppi etnici di minoranza nello Xinjiang, dove si ritiene che migliaia di uomini e donne siano stati detenuti in modo arbitrario, mentre il governo imponeva una censura sempre più pervasiva e sofisticata all’interno del paese. Il governo indiano ha imposto divieti di viaggio ai difensori dei diritti umani.

In Turchia, il parlamento ha approvato una nuova legge sulla disinformazione, che aumenta i poteri del governo sui social media, mentre le autorità continuavano a detenere e perseguire decine di giornalisti, difensori dei diritti umani e oppositori politici con pretestuose accuse in materia di terrorismo. In Egitto, il governo ha cercato di migliorare la sua immagine in vista della Cop27, che ha ospitato a novembre, tra l’altro rilasciando centinaia di persone detenute per motivi politici. Tuttavia, nello stesso periodo ha trattenuto arbitrariamente circa il triplo delle persone per dissenso reale o percepito, effettuando tra l’altro centinaia di arresti in relazione alle manifestazioni durante la Cop27.

Gli eventi in Egitto sono stati l’immagine stessa del nesso tra libertà d’espressione da un lato e giustizia climatica e degrado ambientale dall’altro. Altrove, gli attivisti impegnati nella protezione dell’ambiente sono stati uccisi o minacciati. In nessun luogo questo è stato più evidente che in America Latina; nel suo rapporto del 2022, Global Witness ha dichiarato che tre quarti delle uccisioni di attivisti per l’ambiente e la terra avvenute nel 2021 avevano avuto luogo nella regione.

In tutto il mondo, le persone di sono unite alle proteste contro il fallimento nell’affrontare il cambiamento climatico, oltre che per una serie di preoccupazioni, tra cui guerra, crisi politiche, aumento del costo della vita, restrizioni al diritto di aborto, violenza contro le donne e discriminazione. Gli stati hanno spesso fatto ricorso all’uso illegale, e talvolta anche letale, della forza per reprimere le proteste. Questo è stato brutalmente evidente in Iran: da settembre, le autorità hanno risposto alle rivolte senza precedenti contro decadi di discriminazione di genere, la dura repressione e, più in generale, la repubblica islamica stessa, con utilizzo di proiettili veri, pallini metallici e pestaggi, uccidendo centinaia di persone, comprese decine di minori. Nel frattempo, in Perù, oltre 20 persone sono state uccise dopo che le forze di sicurezza avevano usato forza illegale per rispondere alle proteste durante la crisi politica, seguita alla rimozione dall’incarico dell’allora presidente a dicembre.

Le forze di sicurezza nei paesi di tutto il mondo hanno usato armi da fuoco e una serie di armi meno letali, inclusi manganelli, gas lacrimogeni e proiettili di gomma, per controllare le proteste. Alcune forze di sicurezza hanno arrestato arbitrariamente i manifestanti e li hanno sottoposti a tortura e altro maltrattamento, talvolta usando equipaggiamenti intrinsecamente violenti, come catene con pesi per le gambe. L’assenza di controlli globali in materia di diritti umani sulla loro importazione ed esportazione ha permesso la proliferazione e l’abuso di strumenti destinati alle forze di polizia per il controllo dell’ordine pubblico. Tuttavia, a maggio, su richiesta dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, un gruppo di esperti governativi ha pubblicato un rapporto che proponeva l’opzione di uno strumento giuridicamente vincolante per regolamentare questo commercio. Argentina, Ue e Mongolia hanno guidato un’alleanza globale di oltre 60 paesi che ha promosso un possibile trattato. Le organizzazioni per i diritti umani hanno proposto alcuni elementi chiave da includere3.

Gli stati hanno represso le proteste con ogni mezzo. Le autorità di paesi tra cui Australia, India, Indonesia e Regno Unito hanno approvato nuove leggi che imponevano limitazioni alle manifestazioni. Altri governi hanno usato lo stato d’emergenza, come lo Sri Lanka, o pretesti quali il Covid-19, come nel caso della Cina, o la sicurezza per le elezioni, come in Guinea, un altro paese in cui c’è stato un colpo di stato nel 2021, per impedire ai manifestanti di contestare le politiche statali. I governi hanno anche represso lo spazio civico online per cercare di ostacolare i manifestanti. Alcuni paesi, tra cui Iran e Myanmar, hanno chiuso o bloccato Internet e le telecomunicazioni.

La risposta internazionale a queste e altre oltraggiose violazioni dei diritti umani, che andavano oltre la repressione delle libertà di espressione, associazione e riunione pacifica, è stata incoerente, proprio come quelle delle Nazioni Unite e dell’Icc sulle situazioni di conflitto armato. Da una parte, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha istituito un Relatore speciale sulla situazione dei diritti umani in Russia e un meccanismo d’indagine per l’Iran, sull’onda della repressione letale delle proteste nel paese. Dall’altra, ha votato per non indagare ulteriormente o discutere le prove delle Nazioni Unite di possibili crimini contro l’umanità nello Xinjiang, in Cina, e ha sospeso una risoluzione sulle Filippine. Allo stesso modo, gli alleati di Israele hanno respinto con fermezza le conclusioni di un coro crescente di organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International, secondo cui Israele avrebbe istituito un sistema di apartheid, nonostante questa analisi sia stata avallata dagli esperti delle Nazioni Unite. Nel frattempo, il sistema internazionale dei diritti umani, uno dei tre “pilastri” delle Nazioni Unite, è rimasto cronicamente sottofinanziato, con alcuni stati che hanno cercato di utilizzare il processo del bilancio come un’arma per impedire l’operatività di meccanismi necessari.

I governi devono smettere di usare pretesti per reprimere il dissenso e impedire il dibattito sulla situazione dei diritti umani al loro interno. Devono indagare sulle uccisioni, intimidazioni e vessazioni nei confronti dei difensori dei diritti umani, far cessare l’utilizzo eccessivo e non necessario della forza da parte delle forze di sicurezza durante le proteste e abrogare o emendare leggi che violano il diritto di riunione pacifica. A livello multilaterale, i governi dovrebbero supportare i negoziati per raggiungere un nuovo trattato per il controllo del commercio di equipaggiamenti destinati alle forze di polizia per il controllo dell’ordine pubblico.

 

VIOLENZA DI GENERE E DIRITTI SESSUALI E RIPRODUTTIVI

La violenza contro donne, ragazze e persone Lgbti è rimasta un problema per i diritti umani a livello mondiale. Una parte degli episodi di violenza si è consumata nei conflitti armati, come abbiamo già detto. Tuttavia, la maggior parte dei casi sono avvenuti in situazioni di pace e in contesti domestici.

Nel solo Messico sono stati registrati centinaia di femminicidi (uccisioni di donne legate al genere e favorite dall’impunità), riflettendo una situazione ricorrente in tutta la regione delle Americhe. Le rifugiate venezuelane sono state sottoposte a violenza di genere e discriminazione in Colombia, Ecuador, Perù e Trinidad e Tobago. Le donne native hanno denunciato le sterilizzazioni forzate compiute in Canada negli anni precedenti e negli Usa hanno continuato ad affrontare livelli di stupri e violenza sessuale alti e sproporzionati. Il tasso di violenza è rimasto elevato ovunque, sia offline che online. In Pakistan, il parlamento non è stato in grado di promulgare una legge sulla violenza domestica, pendente dal 2021, nonostante siano stati denunciati diversi omicidi di alto profilo di donne da parte di membri della loro famiglia. In India, la violenza contro le donne dalit e adivasi, tra gli altri crimini d’odio basati sulle caste, è stata commessa nell’impunità.

Alcuni governi hanno portato avanti azioni positive per migliorare le tutele legislative, in risposta alle richieste delle difensore dei diritti umani. In Europa, sono entrate in vigore nuove leggi sullo stupro che sanciscono il principio del consenso in Belgio, Finlandia e Spagna. In Africa e Asia, nuove leggi in parte volte a rafforzare le tutele per donne e ragazze contro la violenza sessuale e di genere sono state adottate in vari paesi tra cui: Cina, Congo, Indonesia, Papua Nuova Guinea e Zimbabwe. Tuttavia, troppo spesso, in questi e in altri paesi del mondo, le autorità non sono riuscite nei fatti a proteggere donne e ragazze dalla radicata violenza di genere o ad affrontare l’impunità per questi crimini. In Medio Oriente e Africa del Nord, le autorità in Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq e Yemen hanno anche sottoposto le difensore e le attiviste per i diritti umani a procedimenti giudiziari e altre forme di vessazione per aver protestato contro la violenza sessuale.

Come sempre, a fare da sfondo a questo tipo di violenza c’era una persistente e diffusa discriminazione nella legge e nella prassi contro donne, ragazze e persone Lgbti, enfatizzata da norme e atteggiamenti sociali. L’Afghanistan ha conosciuto un significativo deterioramento dei diritti di donne e ragazze. Nuovi editti emanati dai talebani hanno impedito a donne e ragazze di viaggiare senza un uomo ad accompagnarle, vietato loro l’ingresso nei parchi pubblici e proibito loro di frequentare le scuole secondarie e le università e di lavorare per le Ong.

Intanto, l’anno ha visto sia arretramenti sia progressi nell’ambito dei diritti all’aborto. In seguito alla cancellazione delle protezioni federali che tutelavano i diritti all’aborto negli Usa a giugno, diversi stati americani hanno approvato leggi per vietare o ridurre l’accesso all’aborto, mentre altri hanno votato a larga maggioranza per tutelarlo. In altre parti delle Americhe, l’aborto è rimasto un reato in cinque paesi, ma una sentenza della Corte costituzionale in Colombia ha depenalizzato l’aborto fino alla 24ᵃ settimana di gravidanza e una nuova legge in Ecuador ha depenalizzato l’aborto nei casi di stupro.

Tendenze simili sono state osservate in Europa. In Polonia, Slovacchia e Ungheria sono state presentate nuove misure per limitare l’accesso all’aborto, mentre diversi altri paesi, come la Germania e i Paesi Bassi, hanno eliminato determinate restrizioni nell’accesso all’aborto. Intanto, le attiviste per i diritti umani affrontavano azioni penali in paesi come Andorra e Polonia, per avere difeso il diritto all’aborto.

I governi devono adottare interventi articolati per prevenire la violenza di genere radicata che colpisce donne, ragazze e persone Lgbti, proteggere e sostenere chi ne è vittima e affrontare il problema dell’impunità per questo tipo di reati. Tutti gli stati che continuano a criminalizzare l’aborto devono riformare le loro leggi e garantire che chiunque possa accedere a informazioni e servizi relativi all’aborto e alle cure post abortive, senza discriminazione o coercizione e nel rispetto della propria autonomia riproduttiva e di altri diritti umani.

 

DIRITTI ECONOMICI E SOCIALI

In tutte le regioni, le crisi economiche associate all’impatto della pandemia da Covid-19, così come il debito insostenibile, i conflitti e il cambiamento climatico, hanno alimentato l’aumento vertiginoso del costo della vita e l’insicurezza alimentare. Il Fondo monetario internazionale ha evidenziato a ottobre che il 60 per cento dei paesi a basso reddito e oltre il 25 per cento dei mercati emergenti non sarebbero stati in grado di ripagare i loro debiti. L’invasione russa dell’Ucraina non ha soltanto interrotto le forniture di grano da cui molti paesi dipendevano, ma ha anche fatto schizzare i prezzi del carburante. Queste problematiche sono state esacerbate dall’incapacità di molti governi di fornire risposte alle barriere strutturali e alle cause profonde della mancata realizzazione dei diritti a cibo, salute, sicurezza sociale, alloggio e acqua, come per esempio le disuguaglianze socioeconomiche e i bassi livelli di spesa pubblica destinati al settore sanitario e alla previdenza sociale. Queste problematiche hanno avuto un impatto sproporzionato sulle persone più marginalizzate in tutte le regioni.

L’Ua aveva dichiarato il 2022 “Anno della nutrizione”, ma gli eventi atmosferici estremi hanno innescato situazioni di malnutrizione in diversi paesi della regione. In Somalia, una grave siccità ha determinato un aumento esponenziale dei casi di malnutrizione, mentre le alluvioni in Nigeria hanno favorito l’insorgenza di malattie legate all’acqua, provocando centinaia di morti. Crisi economiche come quelle in Afghanistan e Sri Lanka hanno visto il tasso di povertà della popolazione afgana salire al 97 per cento dal precedente 47 per cento del 2020, e la popolazione dello Sri Lanka lottare contro gli effetti dell’irreperibilità di generi alimentari, carburante, farmaci e altri beni essenziali. Anche nella regione del Medio Oriente e Africa del Nord, la crisi economica ha accentuato l’insicurezza alimentare. Nel caso di Siria e Yemen, il conflitto è stato un fattore chiave. Nelle Americhe, le crisi umanitarie hanno visto più del 40 per cento della popolazione di Haiti affrontare livelli di fame catastrofici e la maggior parte della popolazione del Venezuela vivere in condizioni di insicurezza alimentare. A causa della guerra con la Russia, in Ucraina almeno mezzo milione di bambini sono precipitati in una condizione di povertà. In altre parti d’Europa, l’impennata dei prezzi dell’energia, in parte a causa della guerra, ha contribuito a far salire l’inflazione a livelli record e a rendere il costo della vita insostenibile, soprattutto per le fasce più marginalizzate della popolazione.

Anche il cambiamento climatico ha contribuito a povertà, malnutrizione e sfollamento. L’innalzamento del livello del mare e le alluvioni hanno avuto un grave impatto sulle comunità costiere impoverite in paesi come Bangladesh, Honduras e Senegal, mentre l’aumento delle temperature, associato a progetti infrastrutturali energetici, ha avuto gravi conseguenze per le popolazioni native in Canada e Russia4. In India e Pakistan, per citare alcuni dei paesi colpiti, un’ondata di caldo da record, combinata con l’inquinamento atmosferico, ha determinato un alto bilancio di vittime tra coloro che erano costretti a lavorare all’aperto, come gli agricoltori, i venditori ambulanti e i lavoratori a giornata. Le piogge torrenziali e le alluvioni in Pakistan, accentuate dal cambiamento climatico, hanno avuto un impatto catastrofico sulla vita e i mezzi di sussistenza della popolazione. Nonostante tutto ciò e la positiva adozione a luglio da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite di una risoluzione che ha riconosciuto il diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile, l’azione sul clima da parte dei governi è rimasta miseramente inadeguata. Se da un lato la Cop27 è riuscita ad arrivare all’adozione di un fondo per perdite e danni, per risarcire i paesi poveri dei danni causati dal cambiamento climatico, non è tuttavia riuscita a raggiungere un accordo sull’eliminazione di tutti i combustibili fossili5. Intanto gli attuali impegni dei governi per la riduzione delle emissioni condannerebbero l’umanità al devastante impatto del riscaldamento globale sopra la soglia dei 2,5°C.

In tutto il mondo, il diritto all’alloggio è stato compromesso dagli sgomberi forzati, che hanno spesso colpito coloro che già subivano elevati livelli di discriminazione. In Africa, nelle Americhe e in Asia, i governi hanno dato il via libera a progetti estrattivi, agroindustriali o infrastrutturali senza ottenere il consenso libero, anticipato e informato delle popolazioni native interessate, che in alcuni casi hanno determinato lo sgombero forzato dalle loro terre. In Tanzania le autorità hanno sgomberato con la forza i membri della comunità nativa masai dalla loro terra ancestrale per favorire la realizzazione di attrazioni turistiche.

È proseguito il lavoro in vista dello sviluppo di un nuovo trattato sponsorizzato dalle Nazioni Unite sulla tassazione globale delle imprese multinazionali, che è culminato a dicembre con l’approvazione all’unanimità di una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Questo rifletteva il fatto che l’attuale accordo di tassazione globale dell’Organizzazione per lo sviluppo economico, raggiunto nel 2021, non era stato sufficiente per correggere lo squilibrio nell’allocazione dei diritti di imposizione fiscale tra le fonti di profitto delle compagnie, spesso in paesi del sud del mondo, e la loro sede legale, che spesso è nei paesi del nord del mondo. Sono necessari ulteriori incentivi per assicurare un sistema equo che fornisca risorse addizionali vitali, in particolare per i paesi a basso reddito, per garantire al meglio l’esercizio dei diritti economici, sociali e culturali della popolazione6.

I governi devono intervenire urgentemente per mitigare la crisi climatica e mantenere il riscaldamento globale sotto gli 1,5°C, sopra i livelli preindustriali, anche attraverso misure che diano priorità a un’accelerazione dell’eliminazione dei carburanti fossili e garantiscano al contempo una transizione verso un’economia a zero emissioni di carbonio, giusta e compatibile con i diritti umani. Devono mettere in atto misure che garantiscano i diritti di tutti, inclusi gli individui e i gruppi marginalizzati, a uno standard di vita adeguato, al cibo, alla salute, alla sicurezza sociale, all’alloggio e all’acqua. Devono ottenere il consenso libero, anticipato e informato delle popolazioni native per qualsiasi progetto che interessi il loro territorio.

Gli stati ricchi e le istituzioni finanziarie internazionali devono intervenire urgentemente per ridurre il debito e contribuire finanziariamente agli sforzi internazionali per sostenere i paesi che necessitano di assistenza per garantire i diritti economici, sociali e culturali, anche nel contesto della crisi climatica. I paesi a basso reddito dovrebbero inoltre beneficiare di una maggiore equità e inclusività, attraverso la riforma della tassazione globale sponsorizzata dalle Nazioni Unite, che fornirà risorse addizionali vitali a tal fine.

 

MECCANISMI INTERNAZIONALI SUI DIRITTI UMANI

Il 2023 segna il 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, il 30° anniversario della Dichiarazione e del Programma d’azione di Vienna e il 25° anniversario della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani. Tuttavia, determinati modelli di comportamento degli stati hanno compromesso questi strumenti, attraverso ad esempio un’incoerente o inadeguata implementazione degli obblighi sui diritti umani, contraddittorie risposte internazionali di fronte a gravi violazioni sistematiche e l’incapacità di contribuire con sufficienti risorse finanziarie ai meccanismi internazionali sui diritti umani.

In questo contesto, gli stati devono riconsiderare le proprie posizioni e intraprendere iniziative concrete per migliorare la forza e la resilienza dell’architettura internazionale sui diritti umani. Ciò significa, tra l’altro, aumentare i fondi a bilancio da destinare al pilastro dei diritti umani delle Nazioni Unite, dando priorità a una coerente implementazione dell’intero spettro degli obblighi internazionali sui diritti umani degli stati e promuovendo la capacità dei meccanismi internazionali di fornire una risposta coerente ed efficace alle violazioni dei diritti umani, ovunque si verifichino.

 

Note:
1 UN: Veto resolution is a vital step towards accountability, 26 aprile.
2 The ICC at 20: Double standards have no place in international justice, 1° luglio.
3 Essential Elements of a Torture-Free Trade Treaty, 23 settembre.
4 Any Tidal Wave Could Drown Us: Stories from the Climate Crisis, novembre.
5 COP27: Loss and Damage fund is welcome but failure to deliver on phasing out fossil fuels is a huge setback, 21 novembre.
6 Taxation, Illicit Financial Flows and Human Rights, 28 giugno.

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