Rapporto 2022 – 2023

Asia e pacifico

Photo by Ezra Acayan/Getty Images

PANORAMICA REGIONALE SULL’ASIA E PACIFICO

Nella regione Asia-Pacifico ci sono stati deboli barlumi di speranza per i diritti umani con modesti progressi per i diritti delle donne e delle persone Lgbti in diversi paesi, una nuova legge che punisce la tortura in Pakistan e l’abolizione della pena di morte in Papua Nuova Guinea. Tuttavia, il quadro generale è rimasto desolante. I civili hanno sopportato il peso dell’escalation del conflitto armato in Myanmar. I pieni effetti del dominio talebano sui diritti umani in Afghanistan sono diventati sempre più evidenti, anche per l’involuzione particolarmente devastante dei diritti di donne e ragazze. Le crisi economiche alimentate dalla recessione legata alla pandemia, dalla cattiva gestione economica e dai conflitti armati all’interno e all’esterno della regione hanno gravemente colpito i diritti economici e sociali, anche in Afghanistan, Laos e Sri Lanka, dove cibo, assistenza sanitaria e un tenore di vita adeguato sono diventati sempre più inaccessibili. L’intolleranza nei confronti del dissenso è cresciuta quando le autorità di numerosi paesi hanno inasprito le restrizioni alla libertà d’espressione e di associazione e hanno arbitrariamente arrestato e detenuto chi le criticava. Le persone sono scese in piazza in tutta la regione per protestare contro l’ingiustizia, la privazione e la discriminazione, ma in paesi come Bangladesh, India, Indonesia, Nepal, Pakistan, Sri Lanka e Thailandia hanno avuto come risposta il ricorso a forza eccessiva, a volte letale. L’impunità è peggiorata per l’incapacità del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite di affrontare efficacemente le gravi preoccupazioni in Cina e nelle Filippine. Sono perdurati modelli di discriminazione ben consolidati, soprattutto nei confronti di minoranze, donne e ragazze, persone Lgbti e native. Anche la ripresa delle esecuzioni in Afghanistan e Myanmar ha rappresentato un importante passo indietro.

 

DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI

Le crisi economiche hanno avuto gravi ripercussioni sui diritti umani, compresi i diritti a uno standard di vita adeguato e alla salute. In Sri Lanka, a settembre l’inflazione ha superato il 73 per cento, rendendo inaccessibili cibo, assistenza sanitaria e altre necessità basilari, in particolare per i lavoratori a giornata, molti dei quali erano donne e appartenenti alle minoranze malaiyaha tamil. Analogamente, l’elevata inflazione in Laos ha messo i prodotti di prima necessità fuori dalla portata di molti. In Afghanistan, la spirale della crisi economica ha fatto precipitare il 97 per cento della popolazione nella povertà: la stragrande maggioranza delle famiglie ha sofferto la fame ed è ricorsa sempre più spesso a disperate strategie di resistenza per sopravvivere, una situazione destinata a peggiorare ulteriormente dopo il decreto talebano di dicembre, che ha vietato alle donne di lavorare per organizzazioni umanitarie e altre Ong. Il decreto ha limitato le opportunità di sostentamento per le donne e ha impedito alle persone di accedere a servizi che in precedenza erano forniti dalle lavoratrici.

Altrove, l’inadeguata protezione degli alloggi e le demolizioni hanno trasformato migliaia di persone in senzatetto e indigenti o a rischio di diventarlo. In Nepal, il governo ha ignorato gli appelli per la modifica della legge sulla casa del 2018, che non è riuscita a garantire adeguatamente il diritto all’alloggio e ha lasciato a rischio di sfratto centinaia di famiglie, prevalentemente appartenenti a comunità marginalizzate o che vivono in insediamenti informali. In India, le autorità hanno demolito illegalmente soprattutto abitazioni e altre proprietà private di musulmani nella capitale Nuova Delhi e in diversi stati, suscitando il timore che si trattasse di una forma di punizione collettiva per il presunto coinvolgimento negli scontri tra comunità. In Cambogia e Mongolia, diverse famiglie sono rimaste senza casa o hanno perso i mezzi di sussistenza a causa di progetti di sviluppo urbano.

I governi devono garantire i diritti economici, sociali e culturali, senza discriminazioni.

 

LIBERTÀ D’ESPRESSIONE

Le minacce al diritto alla libertà d’espressione nella regione sono perdurate, poiché molti governi hanno intensificato la repressione del dissenso e hanno cercato di evitare ogni controllo.

Gli attacchi alla libertà di stampa sono continuati in più paesi. In Afghanistan, i giornalisti hanno subìto arresti e detenzioni arbitrari, nonché torture e altri maltrattamenti per articoli critici verso i talebani. In Bangladesh, dove i giornalisti hanno subìto aggressioni fisiche, vessazioni giudiziarie e altre ritorsioni per i loro servizi, un progetto di legge sulla protezione dei dati ha minacciato di limitare ulteriormente la libertà d’espressione. Anche gli operatori dell’informazione in Pakistan sono stati sottoposti a crescenti pressioni con l’arresto per false accuse di giornalisti e altri. La nuova amministrazione delle Filippine non ha dato alcun sollievo temporaneo all’informazione: almeno due giornalisti sono stati uccisi nell’ultima parte dell’anno, mentre sono proseguite le vessazioni giudiziarie nei confronti di altri e sono rimasti bloccati i siti web appartenenti a gruppi di media indipendenti.

In Cina, la censura e la sorveglianza online sono diventate sempre più diffuse all’interno del paese. Il governo ha anche cercato di impedire la discussione a livello internazionale sulla situazione dei diritti umani interna, ad esempio tentando di impedire all’Ohchr di pubblicare un rapporto che documentava potenziali crimini di diritto internazionale e altre gravi violazioni dei diritti umani contro gli uiguri e altre minoranze etniche musulmane nello Xinjiang.

Allo stesso modo, il governo indiano ha cercato di impedire che la situazione dei diritti umani del paese venisse discussa all’estero, imponendo ai difensori dei diritti umani il divieto di effettuare viaggi internazionali. Ha inoltre compiuto il passo straordinario e illegale di vietare l’uso di un elenco di parole comuni nei dibattiti parlamentari, nel chiaro tentativo di limitare le critiche dei partiti di opposizione.

In Myanmar, le autorità militari hanno intensificato la sorveglianza online e offline e limitato il diritto all’informazione, secondo i resoconti, utilizzando telecamere a circuito chiuso con funzionalità di riconoscimento facciale nelle principali città e imponendo periodiche interruzioni di Internet e delle telecomunicazioni a livello nazionale. In Corea del Nord ogni critica al governo è rimasta vietata.

In Indonesia, a dicembre la libertà d’espressione ha subìto un ulteriore colpo con l’adozione di un nuovo codice penale che ha reso un’altra volta reato l’oltraggio al presidente e ad altri funzionari e istituzioni statali. Il parlamento delle Maldive ha approvato una legge che potrebbe costringere i giornalisti a rivelare le proprie fonti. Fortunatamente, il governo delle Maldive stava valutando la possibilità di modificare la legge, a fronte delle forti critiche.

Le autorità del Vietnam hanno continuato a utilizzare il codice penale vigente per arrestare e perseguire arbitrariamente persone critiche. Un nuovo decreto, il “decreto 53”, che richiede alle aziende tecnologiche di archiviare i dati degli utenti e potenzialmente di condividerli con le autorità, poteva costituire un nuovo strumento per mettere a tacere il dissenso.

Sia in Malesia che in Nepal, gli attori comici sono stati tra coloro che hanno subìto pene detentive a causa delle loro esibizioni.

I governi devono rispettare la libertà di stampa, interrompere tutte le indagini o i procedimenti giudiziari relativi all’esercizio del diritto alla libertà d’espressione senza discriminazioni e abrogare le disposizioni legali che puniscono l’espressione legittima o che possono essere utilizzate per limitarla.

 

LIBERTÀ DI RIUNIONE E ASSOCIAZIONE PACIFICA

Anche se i governi hanno cercato di reprimere il dissenso, le persone in tutta la regione hanno rivendicato il proprio diritto di protestare contro l’ingiustizia e la discriminazione, rischiando spesso arresti e detenzioni arbitrari, nonché di essere ferite e persino uccise nei casi in cui le autorità hanno ripetutamente fatto uso non necessario ed eccessivo della forza.

In Sri Lanka, la polizia ha usato proiettili veri, gas lacrimogeni e cannoni ad acqua contro folle in gran parte pacifiche che protestavano contro la crisi economica, provocando morti e feriti. La polizia del Bangladesh ha utilizzato proiettili veri e di gomma, granate assordanti e gas lacrimogeni per disperdere le proteste di studenti e lavoratori.

In Pakistan, le autorità hanno interrotto con la forza le proteste pacifiche di attivisti e familiari delle vittime di sparizioni forzate. Alle vittime delle proteste contro gli strozzini in Nepal, la polizia ha risposto con cariche, uso di manganelli e arresti arbitrari. In India, un ragazzo di 15 anni e un altro manifestante sono stati uccisi dalla polizia durante proteste nello stato di Jharkhand. Anche in Indonesia la polizia ha risposto con forza non necessaria e talvolta letale alle proteste, anche a Papua e Papua Occidentale.

In diversi paesi sono state introdotte nuove restrizioni che limitano ulteriormente il diritto di manifestare. Nello stato indiano di Karnataka è stato confermato un ordine che limitava le proteste a un’area designata nella capitale dello stato. Un nuovo codice penale in Indonesia ha vietato le manifestazioni non autorizzate, mentre in Australia diversi stati hanno adottato nuove leggi che impongono multe e pene detentive per la partecipazione a proteste non autorizzate.

Anche la libertà di associazione è stata ulteriormente ridotta in diversi paesi. In Afghanistan, lo spazio per il monitoraggio e le denunce indipendenti riguardo ai diritti umani è praticamente scomparso. In India, le leggi contro il riciclaggio di denaro e altri pretesti sono state utilizzate per vessare le Ong. Nuove restrizioni sono state imposte al lavoro legittimo delle Ong in Myanmar, che nel caso di mancato rispetto comportavano pene carcerarie.

In Cambogia, il principale partito di opposizione, il Partito della salvezza nazionale della Cambogia, è rimasto al bando e sono proseguiti i procedimenti giudiziari contro i suoi membri e contro il suo successore, il Partito delle candele. Nelle Filippine, la “schedatura in rosso”, ovvero l’accusa pubblica di legami con gruppi comunisti, ha continuato a essere impiegata contro organizzazioni e singoli come mezzo per sopprimere il dissenso, rendendoli bersaglio di detenzione arbitraria e uccisioni illegali. In Mongolia, i difensori dei diritti umani hanno subìto accuse di spionaggio e altre tipologie comuni di intimidazione. Nel 2022, lo spazio della società civile a Hong Kong si è ulteriormente contratto, quando le attività legittime delle Ong sono state rese illegali, creando un ambiente di paura e autocensura.

I governi devono rispettare e facilitare l’esercizio dei diritti alla libertà di riunione e associazione pacifica. Il lavoro dei difensori dei diritti umani deve essere rispettato e protetto e deve essere garantito un ambiente sicuro e favorevole per il loro lavoro.

 

ARRESTI E DETENZIONI ARBITRARI

In Cina, nonostante le affermazioni contrarie delle autorità, si ritiene che molte migliaia di uomini e donne siano ancora detenuti arbitrariamente nello Xinjiang. Anche gli attivisti tibetani in Cina sono stati condannati a lunghe pene detentive dopo processi iniqui, per attività ritenute aver “incitato al separatismo” o “messo in pericolo la sicurezza nazionale”.

In altre parti della regione, difensori dei diritti umani, attivisti politici e ambientalisti e altri sono stati arbitrariamente arrestati e detenuti per aver affermato il proprio diritto a protestare o per aver contestato in altro modo le politiche e le azioni del governo.

In Thailandia, più di 1.000 persone, tra cui diverse centinaia di minori, sono state incriminate per aver partecipato a proteste. In Sri Lanka, i manifestanti sono stati arrestati, detenuti arbitrariamente e accusati di terrorismo e altri reati. In Myanmar sono continuati gli arresti arbitrari di massa e la detenzione di oppositori del regime militare; più di 1.000 persone sono state condannate in processi gravemente iniqui.

In Vietnam sono state inflitte lunghe pene detentive ad attivisti per i diritti umani e per i diritti alla terra, mentre in India i difensori dei diritti umani sono stati detenuti senza processo.

I governi devono porre fine a tutti gli arresti e detenzioni arbitrari di chi critica il governo e di altri e rilasciare immediatamente chiunque sia detenuto esclusivamente per l’esercizio pacifico dei diritti alla libertà d’espressione, di riunione pacifica, di associazione o altri diritti umani.

 

IMPUNITÀ E DIRITTO ALLA GIUSTIZIA

L’impunità ha prevalso poiché le autorità nazionali in molti paesi non hanno rispettato i diritti delle vittime a giustizia, verità e riparazione e perché gli organismi internazionali troppo spesso si sono sottratti alle loro responsabilità di proteggerle.

Nonostante il rapporto dell’Ohchr, che si è aggiunto a un già solido corpus di prove delle atrocità cinesi nello Xinjiang, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha votato persino contro lo svolgimento di un dibattito sulla situazione. Allo stesso modo, ha tradito le innumerevoli vittime della “guerra alla droga” nelle Filippine, fallendo nel rinnovare il mandato di monitoraggio dell’Ohchr, nonostante un preoccupante aumento delle uccisioni da parte della polizia durante le operazioni antidroga nel corso dell’anno. Al contrario, di fronte alla mancanza di progressi nell’accertamento delle responsabilità per i crimini di diritto internazionale commessi durante e dopo il conflitto armato in Sri Lanka, il Consiglio ha adottato una risoluzione per estendere il mandato dell’Ohchr, legato alla raccolta di prove per futuri processi di accertamento delle responsabilità.

L’impunità si è ulteriormente radicata in Afghanistan, dove la versione talebana di un sistema giudiziario ha mancato di credibilità. In Nepal, non ci sono stati progressi verso la realizzazione del diritto alla giustizia per le decine di migliaia di vittime di gravi violazioni dei diritti umani commesse durante il conflitto armato interno del 1996-2006.

Laddove si sono svolti procedimenti giudiziari contro presunti perpetratori, i processi sono stati troppo spesso viziati da irregolarità. Ad esempio, sono stati espressi seri dubbi sulla credibilità di un processo in Indonesia, in cui un ex comandante militare è stato assolto dall’accusa di aver ucciso illegalmente quattro studenti papuani delle scuole superiori nel 2014.

I governi devono affrontare l’impunità intraprendendo indagini approfondite, indipendenti, imparziali, efficaci e trasparenti sui crimini di diritto internazionale e altre gravi violazioni dei diritti umani e consegnando i presunti perpetratori alla giustizia in processi equi. La piena cooperazione dovrebbe essere estesa alle indagini internazionali e ai processi giudiziari.

 

VIOLAZIONI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO

L’esercito di Myanmar si è reso responsabile di crimini di guerra, poiché ha intensificato attacchi terrestri e aerei indiscriminati e mirati contro civili e obiettivi civili e ha saccheggiato e bruciato villaggi, uccidendo centinaia di persone e costringendone migliaia a sfollare. È stato anche documentato l’utilizzo di munizioni a grappolo e mine terrestri, entrambe vietate dal diritto internazionale.

Crimini di guerra sono stati commessi anche in Afghanistan, dove i talebani hanno continuato la loro campagna di uccisioni per rappresaglia contro membri dell’ex amministrazione e delle forze di sicurezza e hanno commesso arresti arbitrari, esecuzioni extragiudiziali e torture nei confronti di persone ritenute associate al Fronte di resistenza nazionale e ad altri gruppi di opposizione armata.

Anche i gruppi armati sono stati responsabili di gravi violazioni in Afghanistan: lo Stato islamico della provincia di Khorasan ha continuato i suoi attacchi mirati contro gruppi etnici e religiosi minoritari, anche bombardando strutture religiose ed educative utilizzate dalle comunità hazara e sikh. In Myanmar, alcuni gruppi hanno utilizzato mine antipersona vietate od ordigni esplosivi improvvisati. Secondo quanto riferito, gruppi armati nella regione indiana di Jammu e Kashmir hanno ucciso almeno 19 civili, inclusi membri della comunità minoritaria indù.

Tutte le parti coinvolte nei conflitti armati devono rispettare il diritto internazionale umanitario, in particolare ponendo fine agli attacchi diretti contro civili o infrastrutture civili e agli attacchi indiscriminati.

 

RESPONSABILITÀ DELLE IMPRESE

A seguito di un rapporto di Amnesty International che documenta il ruolo delle imprese nell’importazione e distribuzione di carburante per aviazione, che potrebbe essere utilizzato da Myanmar in attacchi aerei militari contro i civili, le società implicate, tra cui Puma Energy e altre imprese straniere, hanno annunciato che stavano chiudendo o sospendendo le operazioni commerciali in Myanmar.

Sottolineando la necessità che gli attori aziendali prendano seriamente la loro responsabilità di proteggere e promuovere i diritti umani e il fatto di essere tenuti a rispondere quando non lo fanno, Amnesty International ha anche scoperto che gli algoritmi e le pratiche commerciali di Meta (ex Facebook) hanno contribuito in modo sostanziale alle gravi violazioni dei diritti umani subite dai rohingya in Myanmar nel 2017.

Gli attori aziendali dovrebbero mettere in atto misure di diligenza dovuta per garantire che le loro operazioni e quelle dei loro partner non causino o contribuiscano a violazioni dei diritti umani. Essi dovrebbero anche mettere in atto misure di mitigazione contro ogni potenziale abuso.

 

LIBERTÀ DI RELIGIONE E CREDO

La libertà di religione e di credo è rimasta minacciata in diversi paesi. In India, dove i musulmani sono stati regolarmente arrestati e perseguiti per aver esercitato la loro libertà religiosa, il governo dello stato di Karnataka, seguendo l’esempio di altri stati, ha varato una legge che punisce i matrimoni per i quali un parente o un’altra persona denunci che uno dei coniugi, spesso la donna indù, sia stato costretto alla conversione forzata. Alle ragazze è stato anche vietato di indossare l’hijab nelle scuole pubbliche di Karnataka.

Le accuse di violazione delle leggi sulla blasfemia hanno continuato a sfociare in condanne a morte e linciaggi in Pakistan, dove sono perdurate anche le conversioni forzate all’islam di donne e ragazze indù, cristiane e sikh.

In Cina, leader religiosi e praticanti del Falun Gong sono stati sottoposti a detenzione e carcerazione arbitrarie, mentre la continua persecuzione di uiguri, kazaki e di altri gruppi etnici minoritari a prevalenza musulmana nello Xinjiang ha minacciato di cancellare le loro identità religiose e culturali.

I governi devono adottare misure efficaci per attuare riforme legali e politiche per proteggere, promuovere e garantire pienamente la libertà di religione o di credo senza discriminazione.

 

DIRITTI DI DONNE E RAGAZZE

In diversi paesi, tra cui Cina, Indonesia e Papua Nuova Guinea, sono state adottate nuove leggi volte a rafforzare le tutele per donne e ragazze, tra cui norme contro la violenza sessuale e di genere. In India, la Corte suprema ha emesso due sentenze progressiste: una sosteneva il diritto alla dignità delle persone che svolgono un lavoro sessuale, ordinando alla polizia di cessare di molestarle, e l’altra dava un’interpretazione di una legge esistente in modo da estendere l’accesso all’aborto a tutte le donne, indipendentemente dal loro stato civile.

Ciononostante, la realtà per molte donne e ragazze nella regione è rimasta quella della discriminazione e della violenza sistemiche. In Afghanistan, donne e ragazze sono state di fatto cancellate dalla vita e dagli spazi pubblici, poiché nuovi editti ne hanno limitato ulteriormente i diritti e le libertà: tra le altre restrizioni, oltre a vietare loro di lavorare con le Ong, è stato loro proibito di viaggiare senza un accompagnatore maschile, di frequentare la scuola secondaria e l’università o di andare nei parchi pubblici.

In Nepal, le donne hanno continuato a vedersi negati pari diritti di cittadinanza e, sebbene i termini di prescrizione per lo stupro siano stati prolungati, il periodo eccessivamente breve in cui devono essere presentate le denunce è rimasto un ostacolo significativo a un rimedio efficace per le sopravvissute.

Gli ostacoli giuridici alla partecipazione delle donne alle elezioni nelle Figi sono rimasti in vigore durante le elezioni parlamentari di dicembre, perché non è stata risolta una disputa legale contro una legge discriminatoria che imponeva alle donne di cambiare il proprio nome sul certificato di nascita se desideravano votare con il nome da sposate. La rappresentanza femminile nella vita pubblica è rimasta bassa, anche in Papua Nuova Guinea, dove dei 118 parlamentari eletti nel 2022 solo due erano donne, e in Giappone, dove le donne rappresentavano appena il 10,6 per cento dei membri delle assemblee prefettizie.

Anche la violenza contro le donne è rimasta diffusa. Esperti delle Nazioni Unite si sono appellati alle autorità delle Maldive affinché affrontassero la crescente violenza di genere nel paese. In Bangladesh, una Ong ha registrato centinaia di episodi di stupro od omicidio di donne da parte dei loro mariti o di altri membri della famiglia, anche se si ritiene che molti casi non siano stati denunciati e l’impunità per tali crimini sia estesa. Nonostante siano state rese punibili per legge, a Papua Nuova Guinea sono continuate le violente aggressioni contro donne e ragazze accusate di stregoneria.

In Pakistan sono stati segnalati diversi omicidi di alto profilo di donne, commessi dai loro partner o familiari, ma l’assemblea nazionale non ha ancora adottato la legislazione sulla violenza domestica, in sospeso dal 2021.

I governi di tutta la regione devono accelerare gli sforzi per proteggere e porre fine alla discriminazione nei confronti di donne e ragazze e adottare misure concrete per prevenire e perseguire la violenza sessuale e di genere.

 

DIRITTI DELLE PERSONE LESBICHE, GAY, BISESSUALI, TRANSGENDER E INTERSESSUATE

Sono stati compiuti alcuni passi verso il riconoscimento legale dei diritti Lgbti in alcuni paesi, tra cui Giappone, Singapore e Taiwan. A Singapore, i rapporti sessuali consensuali tra uomini sono stati depenalizzati. Tuttavia, il governo ha anche emendato la costituzione per bloccare di fatto i matrimoni tra persone omosessuali. Nel complesso, le persone Lgbti nella regione sono rimaste tra i gruppi più a rischio, in particolare nell’Asia meridionale.

In Sri Lanka, nonostante una storica decisione del Comitato Cedaw, secondo cui le norme del codice penale dello Sri Lanka che puniscono la condotta omosessuale consensuale violano il diritto alla non discriminazione, il governo non fatto niente. In Afghanistan, le persone Lgbti sono state costrette a vivere nascoste per proteggersi da aggressioni fisiche e sessuali, detenzione arbitraria e altre violazioni da parte dei talebani. Anche le autorità cinesi hanno continuato la loro campagna anti-Lgbti, limitando severamente l’attivismo Lgbti offline e online e censurando i contenuti Lgbti. In Pakistan, aggressioni violente, discorsi d’odio e minacce contro le persone transgender non sono cessati e il tasso di omicidi di persone transgender è stato il più alto della regione.

I governi dovrebbero abrogare le leggi e le politiche che discriminano le persone Lgbti, anche depenalizzando le relazioni omosessuali consensuali e rimuovendo gli ostacoli legali al matrimonio tra persone dello stesso sesso, e mettere in atto misure per proteggere i diritti delle persone Lgbti e consentire loro di vivere in sicurezza e dignità.

 

DISCRIMINAZIONE ETNICA E DI CASTA E DIRITTI DELLE POPOLAZIONI NATIVE

Sia in India che in Pakistan, la discriminazione basata sulle caste è continuata in gran parte senza sosta. In India, dalit e adivasi sono stati soggetti a violenze e discriminazioni da parte di membri delle caste dominanti, rimasti impuniti. In Bangladesh è stato presentato un disegno di legge volto a vietare la discriminazione basata su casta, religione e altre identità, ma si sono verificati ancora attacchi violenti da parte della folla contro le minoranze indù.

Popolazioni native e minoranze etniche e religiose hanno continuato a subire diffuse discriminazioni in Cambogia, Filippine, Giappone, Indonesia, Laos, Malesia, Nepal, Sri Lanka e Thailandia. In Australia, gli aborigeni e gli isolani dello Stretto di Torres erano rappresentati in modo sproporzionato nel sistema penale. In Sri Lanka, esponenti delle minoranze musulmane e tamil sono stati arbitrariamente arrestati e detenuti in numero sproporzionato, ai sensi della draconiana legge sulla prevenzione del terrorismo. In Giappone, sono proseguiti l’incitamento online all’odio e la disinformazione nei confronti delle persone di etnia coreana ed esse sono diventate il capro espiatorio per l’assassinio dell’ex primo ministro Shinzo Abe.

In Nepal, le popolazioni native, allontanate dalle loro terre ancestrali a causa dell’istituzione di parchi nazionali e aree di conservazione, sono rimaste senza terra e a rischio di sfratto dagli insediamenti informali. Le autorità malesi hanno trasferito con la forza i membri di una comunità nativa nello stato di Kelantan per fare posto alla costruzione di una diga, mentre il disboscamento illegale in Cambogia ha continuato a minacciare i mezzi di sussistenza e la cultura delle popolazioni native locali.

I governi devono fornire un accesso alla giustizia effettivo e praticabile alle vittime di discriminazione e crimini d’odio per motivi etnici, religiosi e di casta, e lavorare con le comunità colpite per sviluppare programmi completi per eliminare la discriminazione nel sistema di giustizia penale e l’incitamento all’odio sia online sia offline.

 

TORTURA E ALTRI MALTRATTAMENTI

La tortura e altre forme di maltrattamento dei detenuti sono rimaste all’ordine del giorno in molti paesi e in almeno 10 sono stati segnalati decessi in custodia, anche a causa della tortura.

Dopo una lotta decennale, in Pakistan è stata finalmente adottata una legge che rende reato la tortura, ma le denunce di tortura e altri maltrattamenti di detenuti sono continuate, così come episodi di tortura durante la detenzione in Mongolia, nonostante l’istituzione di un meccanismo nazionale per la prevenzione della tortura. In Nepal hanno continuato a essere segnalate torture in custodia cautelare, anche per ottenere “confessioni”, e non vi sono state ancora condanne ai sensi della legge del 2017 che ha reso la tortura un reato.

Nei primi nove mesi del 2022 in Bangladesh sono state registrate 54 presunte morti in custodia. Ci sono state notizie di violenze sessuali durante la detenzione in Myanmar, dove centinaia di persone sono morte in custodia durante l’anno. Tortura e altre forme di maltrattamento sono state segnalate anche in altri paesi, tra cui Cina, Corea del Nord e Vietnam.

Nella provincia indonesiana di Aceh, decine di uomini e donne sono stati sottoposti a fustigazione. Le fustigazioni pubbliche autorizzate dallo stato sono riprese anche in Afghanistan, dopo il ritorno al potere dei talebani.

Gli stati devono proibire e punire la tortura e altri atti di maltrattamento e adottare misure efficaci per proteggere le persone e prevenire queste forme di violazione. Laddove si verificano, gli stati devono indagare sulle accuse, chiedere conto ai responsabili e fornire alle vittime un rimedio.

 

FALLIMENTO NELL’AFFRONTARE LA CRISI CLIMATICA

Inondazioni devastanti, temperature in aumento, tifoni letali ed erosione costiera hanno messo in evidenza la vulnerabilità della regione ai cambiamenti climatici. Tuttavia, la preparazione e l’adattamento sono rimasti ampiamente inadeguati e i più poveri ed emarginati hanno subìto le peggiori conseguenze. In Pakistan, ondate di caldo, siccità e poi devastanti inondazioni hanno lasciato quasi 750.000 persone senza accesso a un alloggio adeguato, all’istruzione o all’assistenza sanitaria. In India, agricoltori, venditori ambulanti, lavoratori a giornata e altri impiegati all’aperto sono stati particolarmente colpiti dal caldo da record e dall’inquinamento atmosferico. In Bangladesh, il cambiamento climatico, aggravato dalla discriminazione, ha impedito ai dalit e ad altri gruppi emarginati delle regioni costiere sud-occidentali di accedere all’approvvigionamento idrico e ai servizi igienico-sanitari.

Nonostante i segnali di allarme, gli obiettivi di emissione fissati da molti stati della regione, compresi i maggiori emettitori, sono rimasti insufficienti per mantenere l’aumento delle temperature globali medie al di sotto di 1,5°C e le politiche spesso non sono state coerenti con il raggiungimento di questi obiettivi. Particolarmente preoccupanti sono stati il continuo finanziamento da parte del Giappone di progetti globali legati a petrolio, gas e carbone e i suoi piani per la costruzione di nuove centrali elettriche a carbone; l’aumento della produzione di carbone della Cina, nonostante gli impegni del governo a passare alle energie rinnovabili; e l’incompatibilità dei piani di produzione di elettricità della Corea del Sud con la necessità di eliminare gradualmente il carbone entro il 2030.

I governi di tutta la regione devono urgentemente rivedere gli obiettivi e le politiche riguardo al cambiamento climatico, per garantire che siano coerenti con il mantenimento di basse temperature a livello globale. Occorre aumentare gli investimenti nella preparazione alle catastrofi e nell’adattamento e dare priorità alla protezione dei gruppi emarginati e di altri particolarmente a rischio a causa del cambiamento climatico. I paesi più ricchi della regione devono anche aumentare urgentemente i finanziamenti per il clima ai paesi a basso reddito e impegnarsi a fornire ulteriori fondi destinati a perdite e danni.

 

DIRITTI DI RIFUGIATI E MIGRANTI

Rifugiati e richiedenti asilo sono rimasti fortemente emarginati e a rischio di respingimento.

La difficile situazione dei rifugiati rohingya provenienti da Myanmar è rimasta irrisolta. In Bangladesh si è avuto un certo miglioramento nell’accesso all’istruzione per i bambini rohingya, ma circa 100.000 sono rimasti senza istruzione. In Malesia, i rohingya e altri rifugiati di Myanmar sono rimasti detenuti a tempo indeterminato e molti sono morti durante un tentativo di fuga. È stato anche riferito che maltrattamenti e cattive condizioni nei centri di detenzione per immigrati possano aver causato la morte di molti cittadini indonesiani in Malesia.

La pratica di trattenere rifugiati e richiedenti asilo esclusivamente per motivi di immigrazione è continuata in Australia, Giappone e nella regione cinese ad amministrazione speciale di Hong Kong. In Corea del Sud sono stati segnalati maltrattamenti di cittadini stranieri nei centri di detenzione. In Nuova Zelanda una revisione indipendente ha rilevato che il quadro di detenzione degli immigrati era “una ricetta per la detenzione arbitraria” e ha raccomandato di porre fine alla detenzione dei richiedenti asilo in istituti penitenziari.

Gli afgani in fuga dalle persecuzioni in patria hanno subìto respingimenti dai paesi vicini, mentre le autorità malesi hanno deportato migliaia di persone in Myanmar, nonostante la grave situazione dei diritti umani.

I governi devono cessare di detenere i richiedenti asilo sulla base del loro status di immigrazione e consentire loro di chiedere protezione internazionale, garantendo che non vengano rimpatriati forzatamente in un paese in cui sarebbero perseguitati.

 

PENA DI MORTE

Il governo di Papua Nuova Guinea ha abolito la pena di morte. Le esecuzioni sono riprese in Afghanistan, Myanmar e Singapore. A Singapore, avvocati che rappresentavano persone nel braccio della morte hanno subìto intimidazioni e vessazioni.

I governi che mantengono ancora la pena di morte devono adottare misure urgenti per abolirla completamente.

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