Rapporto 2022 – 2023

Medio Oriente e Africa del nord

Photo by ANAS BABA/AFP via Getty Images

PANORAMICA REGIONALE SU MEDIO ORIENTE E AFRICA DEL NORD

I governi non hanno fornito risposte adeguate al devastante impatto sui diritti umani di milioni di persone a cibo, acqua, alloggio e assistenza medica, del peggioramento delle condizioni economiche, esacerbato da eventi di portata mondiale come la guerra in Ucraina e fattori locali come situazioni di conflitto e disastri correlati al cambiamento climatico.

I conflitti armati hanno continuato a devastare le vite di milioni di persone in tutta la regione del Medio Oriente e Africa del Nord. I civili hanno subìto attacchi indiscriminati, distruzione di infrastrutture vitali, sfollamento forzato e il brutale controllo di milizie, gruppi armati o forze di sicurezza, che hanno agito nell’impunità. Libano e Giordania hanno continuato a ospitare milioni di rifugiati siriani, ma entrambi i paesi hanno adottato politiche coercitive per spingerli a tornare indietro. Le autorità non hanno saputo garantire a milioni di persone sfollate internamente un ritorno in sicurezza nei loro luoghi d’origine.

I governi hanno fatto ancora una volta ricorso a misure draconiane per reprimere i diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica. Le autorità hanno censurato o messo a tacere i media sia online che offline. Hanno sottoposto difensori dei diritti umani, giornalisti, manifestanti, attivisti dei diritti delle donne, attivisti politici e altre voci critiche o dissidenti a detenzione arbitraria, azioni penali infondate, processi iniqui, carcerazioni, divieti di viaggio, minacce e altre forme di vessazione. Le forze di sicurezza sono ricorse a un uso illegale, e in taluni casi anche letale, della forza e ad arresti di massa per annientare le proteste.

Tra le violazioni dei diritti umani, ci sono state anche discriminazione contro minoranze etniche e religiose, sparizioni forzate, tortura e altro maltrattamento, e il ricorso alla pena di morte e ad altre pene crudeli, disumane e degradanti.

Tre eventi in particolare hanno evidenziato durante l’anno la problematica situazione dei diritti umani nella regione. A settembre, la morte in custodia di Mahsa (Zhina) Amini, dopo il suo arresto da parte dalla cosiddetta “polizia morale” iraniana per avere violato l’ingiusta legislazione del paese riguardo al velo, ha scatenato proteste senza precedenti per chiedere la fine del sistema della repubblica islamica e la creazione di un nuovo sistema fondato sul rispetto dei diritti umani e l’uguaglianza. A novembre, l’Egitto ha ospitato la Cop27, che ha acceso i riflettori sull’abisso in cui era precipitata la situazione dei diritti umani nel paese e sulla sofferenza di migliaia di persone lasciate a languire nelle carceri egiziane per motivi politici. Ha inoltre evidenziato il fallimento dei governi mondiali, incapaci di adottare gli interventi necessari a scongiurare la crisi climatica e contrastare il degrado ambientale. Successivamente, a novembre, in Qatar si è tenuta la Coppa del mondo di calcio, che ha attirato l’attenzione sulla drammatica situazione dei migranti che costituiscono la forza lavoro del paese, in alcune situazioni equivalente a lavoro forzato. Condizioni purtroppo condivise da molti altri lavoratori migranti nella regione. La Coppa del mondo ha inoltre messo in luce la discriminazione di cui sono vittime le persone Lgbti in Qatar.

 

VIOLAZIONI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO

I prolungati conflitti armati, l’occupazione militare e l’insicurezza hanno continuato a devastare le vite di milioni di civili in Iraq, Israele e Territori Palestinesi Occupati, Libia, Siria e Yemen. Le parti in conflitto, sia attori statali che non statali, hanno commesso crimini di guerra e altre gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, compresi attacchi indiscriminati e deliberati, che hanno provocato vittime civili e distruzione di infrastrutture.

In Siria è proseguito il conflitto armato, entrato nel suo undicesimo anno, nonostante una diminuzione dei livelli di violenza. Le truppe governative siriane e russe hanno effettuato attacchi illegali di terra e aerei che hanno colpito civili e infrastrutture civili, come stazioni di pompaggio dell’acqua e campi per persone sfollate internamente, causando decine di morti e feriti tra la popolazione.

Il devastante conflitto in Yemen è proseguito nonostante un accordo di cessate il fuoco. Tutte le parti in conflitto hanno compiuto attacchi illegali che hanno ucciso civili, ostacolato l’accesso degli aiuti umanitari e distrutto infrastrutture civili.

In Libia, un cessate il fuoco in vigore da ottobre 2020 ha in linea di massima tenuto. Le milizie e i gruppi armati, tuttavia, hanno continuato a ingaggiare localmente scontri per il controllo del territorio e delle risorse, compiendo attacchi indiscriminati e distruggendo infrastrutture civili.

Il conflitto tra le forze armate israeliane e i gruppi armati palestinesi ha conosciuto una nuova escalation. Il 5 agosto, Israele ha lanciato un’offensiva militare di tre giorni per colpire la Jihad islamica palestinese nella Striscia di Gaza, che da 15 anni subisce il blocco illegale e il discriminatorio sistema di dominazione di Israele. Durante l’offensiva sono state danneggiate o distrutte circa 1.700 case palestinesi e sono stati sfollati centinaia di civili. Diciassette civili palestinesi sono rimasti uccisi negli attacchi compiuti da Israele e almeno sette sono morti apparentemente in seguito a razzi lanciati da gruppi armati palestinesi che avevano sbagliato bersaglio.

Tutte le parti coinvolte in conflitti armati sono tenute a rispettare il diritto internazionale umanitario, in particolare ponendo fine sia agli attacchi diretti contro i civili e le infrastrutture civili sia agli attacchi indiscriminati. I governi esteri devono interrompere i trasferimenti di armi laddove esista un altissimo rischio che siano utilizzate per commettere o facilitare gravi violazioni dei diritti umani o del diritto internazionale umanitario.

 

DIRITTI DI RIFUGIATI, MIGRANTI E SFOLLATI INTERNI

I diritti di rifugiati, migranti e sfollati interni hanno continuato a essere compromessi dai conflitti attuali e storici nella regione. Le nazioni ospitanti, come Libano e Giordania, hanno violato i diritti dei rifugiati, mentre i governi donatori internazionali non hanno finanziato adeguatamente i programmi umanitari di risposta alle crisi. Le autorità hanno continuato ad arrestare e detenere arbitrariamente i rifugiati e i migranti e a sottoporli a refoulement ed espulsioni di massa.

Il Libano ospitava ancora circa 1,5 milioni di siriani, ma l’incapacità del governo di mitigare le conseguenze della crisi economica in cui era piombato il paese ha lasciato la maggior parte dei rifugiati in condizioni di povertà estrema e senza possibilità di esercitare i loro diritti umani a cibo, alloggio, istruzione e salute. Le autorità libanesi hanno inoltre intensificato il programma dei rimpatri cosiddetti volontari per i siriani, nonostante le comprovate forme di persecuzione che rischiavano in Siria e un ambiente coercitivo in Libano, che comprometteva la capacità dei rifugiati siriani di fornire un consenso libero e informato al rientro in patria.

La vicina Giordania ha continuato a ospitare circa due milioni di rifugiati palestinesi e più di 750.000 rifugiati provenienti da altri paesi della regione del Medio Oriente e Africa del Nord, la maggior parte dei quali ha avuto un limitato accesso ai servizi essenziali a causa della grave mancanza di fondi. Israele ha accolto decine di migliaia di rifugiati ucraini e permesso a migliaia di ebrei ucraini di reinsediarsi nel paese, ma ha continuato a negare a milioni di palestinesi il loro diritto al ritorno. Ha anche negato l’asilo a decine di migliaia di persone che fuggivano da paesi africani, in particolare da Eritrea e Sudan.

In Libia, le autorità statali, le milizie e i gruppi armati hanno sottoposto rifugiati e migranti a diffuse violazioni, tra cui uccisioni illegali, detenzione arbitraria a tempo indefinito, tortura, stupro e altro maltrattamento e lavoro forzato. Le unità della guardia costiera libiche supportate dall’Ue hanno sparato o deliberatamente danneggiato imbarcazioni che trasportavano rifugiati e migranti che attraversavano il Mediterraneo. Migliaia di persone intercettate in mare e sbarcate in Libia sono diventate vittime di sparizione forzata; altre migliaia sono state espulse dai confini meridionali del paese senza possibilità di chiedere asilo.

Al confine tra il Marocco settentrionale e l’enclave spagnola di Melilla, le forze di sicurezza su entrambi i lati hanno fatto ricorso all’uso eccessivo della forza, uccidendo 37 persone dell’Africa Subsahariana e ferendone molte altre. In Algeria, le autorità hanno arrestato o espulso sommariamente decine di rifugiati e richiedenti asilo. In Iran, le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco contro cittadini afgani che attraversavano il confine tra Iran e Afghanistan e ne hanno arbitrariamente arrestato e torturato altri prima di espellerli illegalmente dal paese. L’Arabia Saudita ha rimpatriato con la forza decine di migliaia di migranti etiopi, dopo averli arbitrariamente detenuti in condizioni disumane perché privi di validi documenti di soggiorno, sottoponendoli anche a tortura e altro maltrattamento. In Iraq, Libia e Siria, le persone sfollate internamente non sono riuscite a fare ritorno alle loro case, per via dell’insicurezza, dei rischi di essere arbitrariamente arrestate e vessate dalle forze di sicurezza e della mancanza di servizi essenziali e opportunità d’impiego.

I governi devono porre fine alla detenzione arbitraria di rifugiati e migranti sulla base del loro status di migranti e proteggerli da refoulement ed espulsioni di massa. Devono anche avviare iniziative concrete per garantire un ritorno sicuro, volontario e dignitoso nei loro luoghi d’origine delle persone sfollate internamente.

 

LIBERTÀ D’ESPRESSIONE, ASSOCIAZIONE E RIUNIONE

In tutta la regione del Medio Oriente e Africa del Nord, le autorità hanno continuato ad arrestare arbitrariamente, detenere, perseguire e vessare le persone per avere espresso opinioni critiche, partecipato a proteste pacifiche o per il loro impegno a favore dei diritti umani o per l’attivismo politico.

Le autorità hanno utilizzato la legislazione contro il terrorismo o accuse dalla formulazione vaga in materia di “sicurezza nazionale” per mettere a tacere il dissenso e per imporre lunghe pene carcerarie. In Algeria, l’ambientalista Mohad Gasmi è stato incarcerato per tre anni per avere scambiato email riguardanti lo sfruttamento di giacimenti di gas di scisto nel paese. In Giordania, tre giornalisti sono stati arrestati e accusati di “diffusione di notizie false” per essersi occupati di documenti trapelati che avevano fatto luce sulle attività finanziarie di alcune società, di figure politiche e del re. In Marocco, la difensora dei diritti umani Saida Alami è stata condannata a due anni di reclusione per avere pubblicato sui social network post che denunciavano la repressione di giornalisti e attivisti, una condanna che è stata successivamente inasprita in appello a tre anni.

In alcuni stati, le autorità hanno aumentato la censura o intensificato le minacce contro la libertà di parola. Le autorità de facto huthi in Yemen hanno chiuso almeno sei emittenti radiofoniche che trasmettevano dalla capitale e proseguito la carcerazione di almeno otto giornalisti, quattro dei quali erano nel braccio della morte. Il governo della Siria ha approvato una nuova legge sui reati informatici che puniva con lunghe pene carcerarie chi criticava online le autorità o la costituzione. Un nuovo decreto in Tunisia prevedeva condanne fino a 10 anni di carcere per l’utilizzo improprio intenzionale delle reti di telecomunicazione per produrre, inviare o diffondere “notizie false” o altro contenuto falso o diffamatorio, e consentiva alle autorità di sciogliere quelle entità ritenute violare la legge. Una nuova legislazione negli Emirati Arabi Uniti (United Arab Emirates – Uae) ha introdotto un reato per punire “chiunque derida, insulti o danneggi la reputazione, il prestigio o la posizione dello stato” o “i suoi leader fondatori”.

Le autorità hanno represso le proteste in Iran, Libia e Siria, anche attraverso l’utilizzo della forza letale illegale e arresti di massa. Le autorità in Iran hanno risposto alla rivolta popolare senza precedenti contro la repubblica islamica con proiettili veri, pallini metallici e pestaggi, uccidendo centinaia di persone, tra cui decine di minorenni, e ferendone migliaia di altre. Le autorità hanno bloccato o interrotto i servizi Internet e le reti di telefonia mobile e oscurato le piattaforme dei social network. Migliaia di persone sono state arbitrariamente arrestate e sottoposte a processi iniqui e azioni giudiziarie e due uomini sono stati messi a morte. Le autorità palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza hanno in alcune occasioni fatto ricorso all’uso eccessivo della forza per disperdere raduni pacifici.

L’impunità per le uccisioni illegali e le altre gravi violazioni dei diritti umani ha prevalso all’interno dei paesi della regione, ma a livello internazionale sono state intraprese alcune iniziative positive. Per esempio, a novembre, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha istituito una missione di accertamento dei fatti per indagare le violazioni dei diritti umani legate alle proteste scoppiate in Iran a settembre. Inoltre, i paesi europei hanno indagato e perseguito individui sospettati di avere commesso crimini di diritto internazionale in Siria e Iran, attraverso i loro tribunali nazionali in base al principio della giurisdizione universale.

In diversi paesi, le autorità hanno adottato altre misure per reprimere il dissenso. In Algeria, hanno utilizzato accuse antiterrorismo inventate per mettere a tacere i membri dei partiti e movimenti d’opposizione. Hanno anche sospeso almeno un partito politico e minacciato di sospenderne almeno altri due. Le autorità israeliane hanno preso di mira le organizzazioni della società civile palestinese, effettuando irruzioni nelle loro sedi e ordinandone la chiusura di almeno sette e hanno escluso un partito politico palestinese dalle imminenti elezioni parlamentari israeliane. A dicembre, l’avvocato per i diritti umani Salah Hammouri è stato espulso in Francia dopo una detenzione amministrativa durata nove mesi senza accusa né processo e la revoca del suo status di residente a Gerusalemme Est.

Tra aprile e fine anno, le autorità egiziane hanno rilasciato 895 persone trattenute per motivi politici, ma nello stesso periodo, 2.562 persone sospettate di essere critiche verso il governo sono state arrestate dai procuratori, comprese centinaia in relazione agli appelli alla protesta durante la Cop27 a novembre. Migliaia di difensori dei diritti umani, giornalisti, manifestanti e altri reali o percepiti critici e dissidenti sono rimasti sottoposti a detenzione arbitraria per avere esercitato i loro diritti umani.

I governi devono rispettare i diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica, assicurando tra l’altro che giornalisti, difensori dei diritti umani e attivisti possano godere di questi diritti senza subire vessazioni, violenza e azioni giudiziarie, e rilasciando quelli detenuti per avere esercitato tali diritti.

 

DISCRIMINAZIONE

Donne e ragazze

Nel 2022, donne e ragazze hanno continuato a essere discriminate nella legge e nella prassi nei paesi della regione del Medio Oriente e Africa del Nord, anche in relazione ai diritti relativi a eredità, divorzio, rappresentanza politica e opportunità d’impiego. La violenza di genere è rimasta prevalente ed è stata commessa nell’impunità. Le autorità di Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq e Yemen hanno sottoposto le attiviste e difensore dei diritti umani ad azioni giudiziarie, interrogatori e/o altre forme di vessazione, per aver denunciato la violenza sessuale e la discriminazione di genere.

Donne e ragazze sono state in prima linea nelle proteste scoppiate in Iran a settembre, contestando decenni di discriminazione e violenza di genere e sfidando le norme discriminatorie e ingiuste sull’obbligo di indossare il velo.

Sono anche continuati i cosiddetti “delitti d’onore” di donne e altri femminicidi. Nell’Iraq centrale e nella regione del Kurdistan iracheno, il governo non è riuscito a rendere reato la violenza domestica, nonostante un aumento di tali omicidi e altre forme di violenza di genere, anche contro donne transgender. In Algeria, sono stati registrati 37 femminicidi.

Le tutele legali contro la discriminazione sono state ulteriormente indebolite in diversi paesi della regione. A marzo, l’Arabia Saudita ha approvato la sua prima “legge sullo status personale”, che ha codificato molte delle spinose pratiche insite nel sistema di tutoraggio maschile e radicato ulteriormente la discriminazione di genere in molti aspetti della vita familiare. Un emendamento alla legge elettorale tunisina ha cancellato le disposizioni che avevano migliorato la rappresentanza femminile in parlamento. Le autorità de facto huthi in Yemen hanno vietato alle donne di viaggiare nei governatorati sotto il loro controllo senza un tutore maschile o una sua autorizzazione scritta.

Non sono mancati tuttavia segnali di progresso in alcuni paesi, sebbene le donne abbiano continuato a essere vittime di discriminazione e violenza. Il Marocco ha ratificato il Protocollo opzionale alla Cedaw, ma la legislazione interna ancora rafforzava la disuguaglianza di genere. Un emendamento costituzionale in Giordania ha sancito l’uguaglianza dell’uomo e della donna davanti alla legge e ha vietato la discriminazione tra di loro, ma non sono state intraprese azioni per emendare le leggi del paese. In Kuwait, il governo ha introdotto una serie di misure per accrescere la rappresentanza femminile nel pubblico impiego e nelle posizioni apicali, ma la legislazione interna continuava a discriminare le donne. Le autorità omanite hanno inaugurato un servizio di assistenza telefonica per le vittime di violenza domestica, ma non sono riuscite a creare case rifugio o approvare una legge specifica sulla violenza domestica.

Persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate

In tutta la regione, le persone Lgbti hanno affrontato arresti e azioni giudiziarie e, in alcuni casi, hanno anche subìto forme di tortura come visite anali forzate, sulla base del loro orientamento sessuale o dell’identità di genere. Alcuni tribunali penali hanno emesso pesanti condanne per coloro che erano stati giudicati colpevoli di rapporti omosessuali consensuali.

In alcuni paesi, ci sono stati segnali di regressione. In Libano, in seguito alle richieste avanzate da alcuni gruppi religiosi di “respingere l’ondata di omosessualità”, il ministero dell’Interno ha vietato i raduni pacifici delle persone Lgbti, ma un tribunale ha sospeso la decisione. Negli Uae, dove la legge considera reato le relazioni omosessuali consensuali, il governo ha ordinato agli insegnanti di non discutere a scuola di “identità di genere, omosessualità o qualsiasi altro comportamento ritenuto inaccettabile per la società degli Uae”. In Yemen, le autorità hanno preso di mira le persone con orientamento sessuale o identità di genere non conforme con arresti arbitrari, stupro e altre forme di tortura.

Minoranze etniche e religiose

In tutta la regione, i membri di comunità nazionali, etniche e religiose hanno continuato a subire una radicata discriminazione nella legge e nella prassi, anche in relazione al loro diritto di culto, di godere di pari opportunità di accesso all’impiego e all’assistenza sanitaria e di condurre una vita libera dalla persecuzione e da altre gravi violazioni dei diritti umani. Israele ha mantenuto una forma estrema di discriminazione, equivalente a un sistema di apartheid, attraverso l’oppressione e la dominazione del popolo palestinese, tramite strategie di frammentazione, segregazione e controllo territoriale, esproprio di terreni e proprietà e diniego dei diritti economici e sociali. Israele ha commesso un’ampia gamma di violazioni dei diritti umani contro i palestinesi per rafforzare questo sistema, come trasferimenti forzati, detenzioni amministrative, tortura, uccisioni illegali, privazione di diritti e libertà fondamentali e azioni giudiziarie che, nell’insieme, costituivano il crimine contro l’umanità di apartheid. In un tentativo di istituzionalizzare ulteriormente il sistema di apartheid, a marzo le autorità hanno ripristinato una legislazione che imponeva drastiche restrizioni alla riunificazione familiare palestinese, per mantenere una maggioranza demografica ebrea, e a luglio la Corte suprema ha confermato una legge che autorizzava il ministro dell’Interno a revocare la cittadinanza a coloro che erano ritenuti colpevoli di atti equiparabili a “violazione dell’alleanza verso lo stato”.

In Iran, le minoranze etniche, tra cui arabi ahwazi, turchi azeri, baluci, curdi e turkmeni, hanno subìto una sistematica discriminazione, che ha limitato il loro accesso all’istruzione, al lavoro, a un alloggio adeguato e agli incarichi politici. In Kuwait, i bidun (nativi del Kuwait ma apolidi) sono stati sempre più discriminati dalla legge.

I membri delle minoranze etniche hanno anche subìto forme di discriminazione profondamente radicate nella legge e nella prassi, anche riguardo al loro diritto di culto. In Algeria, le autorità hanno utilizzato un decreto che vietava le religioni diverse dall’Islam sunnita, per perseguire i membri della religione ahmadi di Pace e luce e per chiudere almeno tre chiese protestanti. Le autorità egiziane hanno continuato a perseguire e incarcerare i cristiani e i membri di altre minoranze religiose, oltre che gli atei e persone che abbracciavano fedi religiose non autorizzate dallo stato, per “diffamazione della religione” e altre accuse inventate. In Iran, baha’i, cristiani, dervisci di Gonabadi, ebrei, adepti del culto di Yaresan e musulmani sunniti hanno subìto discriminazioni nella legge e nella prassi, in particolare nell’accesso a istruzione, lavoro, incarichi politici e luoghi di culto.

I governi devono intervenire in maniera urgente per porre fine alla discriminazione di genere e alla violenza contro le donne, le ragazze e le persone Lgbti, e assicurare alla giustizia i responsabili di questi crimini. Devono anche depenalizzare le relazioni omosessuali consensuali. I governi devono porre fine alla discriminazione sulla base dell’origine nazionale, etnica o della religione e implementare le riforme legislative e politiche necessarie per assicurare a tutti i loro cittadini parità di diritti, senza alcuna discriminazione, e proteggere, promuovere e garantire la libertà di religione e culto.

 

DIRITTI ECONOMICI E SOCIALI

La crisi economica in alcuni paesi ha avuto un impatto devastante sul costo della vita, sulla sicurezza alimentare e sull’approvvigionamento del carburante, sul diritto all’acqua, all’alloggio, alla salute e a uno standard di vita adeguato. Le persone appartenenti a gruppi marginalizzati, come donne, persone Lgbti, minoranze etniche e religiose, rifugiati e migranti e lavoratori a basso reddito, sono state le più colpite.

In Libano, le autorità non hanno saputo affrontare la grave crisi economica in cui era sprofondato il paese, classificata dalla Banca mondiale come una delle peggiori crisi di questo tipo della storia moderna, che ha determinato un drastico deterioramento della garanzia di godere dei diritti economici e sociali. Quasi la metà dei nuclei familiari libanesi era in una situazione di insicurezza alimentare; lo stato forniva meno di due ore al giorno di elettricità; le medicine erano diventate troppo care o introvabili; i programmi di protezione sociale rimanevano tremendamente inadeguati. L’Egitto è precipitato in una crisi economica e finanziaria che ha compromesso i diritti economici e sociali di milioni di persone. Anche la crisi economica della Tunisia si è aggravata, con un tasso di disoccupazione arrivato al 15 per cento e una carenza di alimenti di base. In Siria, circa il 55 per cento della popolazione viveva in una situazione di insicurezza alimentare. In Yemen, il deprezzamento della valuta, un’inflazione ai massimi livelli e l’impennata dei prezzi dei generi alimentari sul mercato globale hanno fortemente limitato l’accesso al cibo.

In tutta la regione, i governi non hanno saputo proteggere i lavoratori a basso reddito dagli abusi sul lavoro e hanno represso i diritti dei lavoratori di aderire a sindacati indipendenti e di scioperare senza paura di gravi ripercussioni. In Egitto, Iran e Giordania, i lavoratori che partecipavano a proteste o scioperi o che cercavano di formare sindacati indipendenti, sono stati puniti attraverso licenziamenti, arresti e azioni giudiziarie ingiusti. Negli stati del Golfo, i lavoratori migranti a basso reddito, che costituiscono la maggior parte della forza lavoro, sono rimasti vulnerabili a forme estreme di sfruttamento, discriminazione nell’impiego, alloggi fortemente inadeguati, un’ampia gamma di abusi fisici e psicologici, salari sottopagati o non versati, limitato accesso all’assistenza sanitaria, licenziamenti sommari ed espulsioni nei loro paesi d’origine. In Qatar, il governo ha proseguito la sua riforma del sistema di lavoro tramite sponsor conosciuto come kafala cui erano soggetti i lavoratori migranti, ma l’intero processo non è stato in grado di interrompere il circolo vizioso di abusi dilaganti, inclusa la sottrazione del salario. Le autorità hanno continuato a non indagare in modo adeguato sulle morti improvvise di lavoratori migranti, come quelli costretti a lavorare sotto una calura intensa e per lunghi periodi, senza pause o giorni di riposo. Molti lavoratori migranti hanno subìto discriminazioni sulla base di etnia, origine nazionale e lingua, che determinavano trattamenti retributivi differenti, condizioni di lavoro peggiori e lavori più duri. Intanto, i lavoratori domestici, in maggioranza donne, continuavano ad affrontare dure condizioni di lavoro e gravi abusi fisici e psicologici, oltre che aggressioni sessuali. Il governo ha anche mantenuto il divieto per i lavoratori migranti di formare sindacati o di aderire a quelli esistenti, un diritto altresì garantito ai cittadini del Qatar.

I governi devono agire con urgenza per stabilire misure di protezione sociale che possano proteggere concretamente tutti, compresi i gruppi marginalizzati, dalle ripercussioni negative delle crisi e fare appello alla comunità internazionale per coordinare gli sforzi al fine di garantire i diritti alla salute, al cibo e a uno standard di vita adeguato. I governi devono anche tutelare il diritto dei lavoratori di organizzarsi in sindacati indipendenti e di protestare, ed estendere le protezioni previste dallo statuto dei lavoratori ai lavoratori migranti, compresi i lavoratori domestici.

 

FALLIMENTO NELL’AFFRONTARE LA CRISI CLIMATICA

Gli stati della regione non hanno saputo adottare gli interventi necessari per contrastare il cambiamento climatico e il degrado ambientale, compresi quelli che hanno aderito all’Accordo di Parigi, un trattato internazionale legalmente vincolante sul cambiamento climatico. L’impatto devastante della crisi climatica sui diritti umani è stato particolarmente evidente nel 2022. In Algeria, gli incendi boschivi hanno distrutto vaste aree di foresta e ucciso più di 40 persone. L’Iran ha continuato a subire la perdita di laghi, fiumi, terre umide e foreste, oltre a elevati livelli di inquinamento dell’aria e dell’acqua e subsidenza del terreno. In Iraq, periodi di estrema siccità, ondate di caldo e tempeste di sabbia hanno causato lo sfollamento di oltre 10.000 famiglie.

Le nazioni della regione principali produttrici di petrolio e gas naturale non hanno appoggiato la risoluzione del documento finale della Cop27, che chiedeva di eliminare tutti i combustibili fossili, né sono intervenuti a livello interno per adottare le misure richieste per combattere il cambiamento climatico. L’Arabia Saudita, uno dei maggiori produttori del mondo di petrolio, non ha aggiornato il suo Ndc per ridurre le emissioni di gas serra. Il Kuwait, il Bahrein e gli Uae, rispettivamente al secondo, terzo e quarto posto nella classifica dei principali emettitori pro capite di diossido di carbonio del mondo, così come il Qatar, non hanno provveduto ad aggiornare i loro Ndc. Gli Uae hanno addirittura aumentato i loro livelli di produzione di petrolio durante l’anno, in contrasto con i loro obblighi sanciti dall’Accordo di Parigi. Altri stati non hanno aggiornato o riveduto i loro obiettivi di riduzione delle emissioni entro il 2030 per mantenere l’aumento delle temperature globali sotto gli 1,5°C, o hanno annunciato impegni di modesta entità contingenti al supporto finanziario internazionale. Le negoziazioni alla Cop27 sono state offuscate dalla crisi dei diritti umani dell’Egitto, contraddistinta tra l’altro da un’ondata di arresti di massa in relazione agli appelli alla protesta durante la conferenza. L’evento si è svolto in un clima repressivo, con i partecipanti che sono stati sottoposti a interrogatori, sorveglianza e altre forme di vessazione.

I governi devono adottare interventi urgenti per ridurre le loro emissioni di carbonio e smettere di finanziare i progetti riguardanti i combustibili fossili. Devono inoltre riesaminare e rispettare i loro Ndc e adempiere agli obblighi sanciti dall’Accordo di Parigi.

 

TORTURA E ALTRO MALTRATTAMENTO

Tortura e altro maltrattamento sono rimasti fenomeni diffusi nei luoghi di detenzione ufficiali e non ufficiali e caratterizzati da una pressoché totale impunità in Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq, Israele e Territori Palestinesi Occupati, Libano, Libia, Palestina, Siria e Yemen. Gli abusi erano inflitti per estorcere “confessioni” e punire i detenuti. I metodi utilizzati comprendevano percosse, scosse elettriche, esecuzioni simulate, sospensione in posizioni contorte, violenza sessuale, diniego di cure mediche e prolungati periodi di isolamento. In quasi tutti i casi, le autorità non hanno condotto indagini adeguate sulle accuse di tortura e le morti avvenute in circostanze sospette in custodia.

Le milizie e i gruppi armati in Libia hanno sistematicamente torturato e altrimenti maltrattato i detenuti, in alcuni casi provocandone la morte, con scosse elettriche, fustigazione, violenza sessuale e altri metodi. In Arabia Saudita, le autorità hanno torturato e maltrattato i lavoratori migranti e li hanno privati di cure mediche adeguate, determinando diversi decessi in custodia. In Egitto, la tortura è rimasta dilagante nelle carceri, nei commissariati di polizia e nelle strutture gestite dall’agenzia per la sicurezza interna. In Israele, le forze di sicurezza hanno continuato a torturare e altrimenti maltrattare i detenuti palestinesi e tali abusi sono rimasti dilaganti nei centri di detenzione e in quelli deputati agli interrogatori, gestiti dalle autorità palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. In Libano, un giudice militare inquirente ha rinviato a giudizio cinque membri di un’agenzia di sicurezza per accuse di tortura nel caso di un rifugiato siriano morto in custodia, benché il caso fosse affidato a tribunali militari intrinsecamente iniqui.

Iran, Libia e Arabia Saudita hanno mantenuto leggi che prevedevano l’imposizione di pene corporali, tra cui amputazione, fustigazione, accecamento, lapidazione e crocefissione. In Iran, tra maggio e settembre, le autorità hanno amputato le dita di cinque uomini giudicati colpevoli di furto.

Spesso i prigionieri nella regione erano tenuti in condizioni disumane, vivendo in celle sovraffollate, con scarsa ventilazione e igiene, soffrendo per la mancanza di cibo e acqua sufficienti, vedendosi negare cure mediche appropriate e tempestive, visite familiari, aria fresca ed esercizio fisico all’aperto. In Bahrein, ad Ahmed Jaber Ahmed sono state negate le cure mediche per 11 mesi, fino a che non era più in grado di camminare o di vestirsi da solo. Alla fine, un ospedale gli ha diagnosticato una grave forma di tubercolosi che gli aveva compromesso la spina dorsale. Negli Uae, il difensore dei diritti umani Ahmed Mansour è stato tenuto in isolamento per tutto il 2022 senza materasso, cuscino, prodotti per l’igiene personale, libri e senza i suoi occhiali.

I governi devono assicurare indagini indipendenti, imparziali ed efficaci sulle accuse di tortura, esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate e altri crimini di diritto internazionale e gravi violazioni dei diritti umani, e mettere in atto tutte le misure necessarie per impedire tali crimini e garantire forme di riparazione per le vittime.

 

PENA DI MORTE

Gran parte dei paesi della regione ha mantenuto la pena capitale e i tribunali hanno emesso condanne a morte al termine di processi iniqui, anche per reati che non implicavano un omicidio intenzionale, per atti protetti dal diritto internazionale, come relazioni omosessuali consensuali e “apostasia”, e per accuse inventate o dalla formulazione vaga sporte contro i dissidenti. I paesi che hanno effettuato esecuzioni sono stati: Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq e Palestina, nello specifico nella Striscia di Gaza sotto le autorità de facto di Hamas, dove queste hanno avuto luogo per la prima volta dopo cinque anni. In Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq e Libia, le condanne a morte sono state emesse al termine di processi gravemente iniqui, celebrati anche da tribunali d’emergenza, militari e speciali. In Iran, dove la pena di morte era ampiamente utilizzata come strumento di repressione politica, nel 2022 le esecuzioni sono aumentate e sono anche riprese le esecuzioni pubbliche. L’Iran è stato l’unico paese della regione a mettere a morte persone giudicate colpevoli di reati che sarebbero stati commessi quando erano minorenni. In Arabia Saudita, nella più grande esecuzione di massa effettuata in un solo giorno negli ultimi decenni, il 12 marzo, sono stati messi a morte 81 uomini e sono riprese le esecuzioni per reati in materia di droga dopo una moratoria non ufficiale di due anni. In Egitto e Iraq, nel 2022 sono state effettuate meno esecuzioni rispetto agli anni precedenti.

I governi della regione devono stabilire immediatamente una moratoria ufficiale sulle esecuzioni nella prospettiva di arrivare all’abolizione della pena di morte.

 

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