Rapporto 2023 – 2024

Africa Subsahariana

Brian Ongoro/Getty Image

I paesi dell'area


PANORAMICA REGIONALE SULL’AFRICA SUBSAHARIANA

La recrudescenza della violenza in Sudan è un chiaro esempio dell’immensa sofferenza patita dai civili intrappolati nei conflitti armati che infiammano la regione e dell’assoluto disprezzo delle parti belligeranti per il diritto internazionale umanitario. Le notizie di massacri di civili sono state frequenti e scioccanti, in particolare per la portata degli attacchi compiuti, sia mirati che indiscriminati. La violenza sessuale è rimasta un aspetto distintivo dei conflitti armati.

Criticare i governi continuava a essere pericoloso in molti paesi africani. Le brutali azioni repressive contro chi protestava contro gli eccessi, i fallimenti o le accuse di corruzione dei governi erano diffuse in tutta la regione e hanno avuto come particolare obiettivo giornalisti, difensori dei diritti umani, attivisti e leader e membri dell’opposizione. Le uccisioni del noto difensore dei diritti umani Thulani Maseko in Eswatini e del giornalista Martinez Zogo in Camerun, oltre alla morte in circostanze sospette del giornalista investigativo ruandese John Williams Ntwali, nell’arco di un’unica settimana a gennaio, hanno rappresentato un momento buio per il movimento dei diritti umani.

Fattori concatenati come inflazione, corruzione, cambiamento climatico e conflitto hanno creato condizioni di vita insopportabili. Milioni di persone non avevano accesso ai diritti economici e sociali essenziali. Molti paesi sono stati sproporzionalmente colpiti da un’impennata dell’inflazione dei prezzi dei beni alimentari e l’insicurezza alimentare ha raggiunto livelli sconcertanti.

Conflitti armati incessanti ed eventi climatici estremi hanno sfollato milioni di persone dalle loro case e tuttavia le autorità di diversi paesi hanno palesemente violato i loro obblighi di fornire protezione a rifugiati e richiedenti asilo.

Discriminazione di genere e violenza contro donne e ragazze sono rimasti fenomeni radicati, mentre gli attacchi omofobici e le azioni repressive contro i diritti delle persone Lgbti si sono intensificati in tutta la regione.

I governi africani sono rimasti in larga parte indifferenti agli appelli che li invitavano a combattere l’impunità, consentendo pertanto a quest’ultima di prosperare, alimentando il ciclo di violazioni e abusi e il disprezzo per lo stato di diritto. Molti governi hanno indebolito la giustizia e le iniziative finalizzate ad accertare le responsabilità o hanno apertamente ostacolato il vaglio internazionale sulla loro situazione dei diritti umani.

 

ATTACCHI E UCCISIONI ILLEGALI

I conflitti armati hanno continuato ad avere un effetto devastante sui civili in Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centrafricana (Central Africa Republic – Car), Repubblica Democratica del Congo (Democratic Republic of the Congo – Drc), Mali, Nigeria, Somalia, Sudan e in altri luoghi. Quando non erano presi di mira deliberatamente, anche in attacchi etnicamente motivati, i civili hanno sopportato il peso di attacchi indiscriminati, che in alcuni casi hanno implicato raid aerei, lanci di razzi, mortai e altre armi esplosive con effetti ad ampio raggio.

Alcuni di questi attacchi hanno costituito crimini di guerra.

In Sudan, più di 12.000 persone sono state uccise a causa degli scontri scoppiati tra le Forze armate sudanesi (Sudan Armed Forces – Saf) e le Forze di supporto rapido (Rapid Support Forces – Rsf). Gli attacchi mirati compiuti in molte parti del paese, inclusa la capitale Khartoum, ma in particolare nel Darfur occidentale, hanno causato morti e feriti tra i civili, così come hanno fatto le armi esplosive lanciate dalle Saf e dalle Rsf da quartieri densamente popolati.

In Burkina Faso, a febbraio, membri del gruppo armato Ansaroul Islam hanno ucciso almeno 60 civili nella città di Partiaga; sei mesi dopo hanno ucciso 22 persone a Nohao. Anche le forze governative hanno preso di mira i civili. In un caso, i soldati, affiancati dai Volontari per la difesa della patria, hanno ucciso almeno 147 civili nel villaggio di Karma. Nella Drc, i gruppi armati hanno ucciso almeno 4.000 persone e ne hanno ferite altre migliaia. Nella provincia del Nord Kivu, i combattenti del gruppo armato Forze democratiche alleate hanno massacrato circa 23 persone a colpi di machete. Nella provincia dell’Ituri, almeno 46 persone, metà delle quali bambini, sono state uccise a colpi d’arma da fuoco e a colpi di machete durante la notte da combattenti del gruppo armato Cooperativa per lo sviluppo del Congo. In Mali, gli attacchi compiuti dal gruppo armato Stato islamico nel Sahel contro i villaggi di Gaina e Boyna, nella regione di Gao, hanno causato 17 morti. Due mesi dopo, un assalto lanciato da membri del Gruppo per il supporto dell’Islam e dei musulmani contro i villaggi di Bodio e Yarou, nella regione di Bandiagara, si è concluso con la morte di 37 civili.

Un raid aereo dell’aviazione militare nigeriana ha ucciso 21 civili nello stato di Niger, mentre in Somalia, un nuovo conflitto tra le forze di sicurezza del Somaliland e combattenti armati ha determinato la morte di 36 civili, principalmente in seguito al bombardamento indiscriminato della città di Las Anod, da parte delle forze di sicurezza del Somaliland.

Le parti coinvolte nei conflitti armati devono proteggere i civili ponendo fine agli attacchi mirati e indiscriminati contro i civili e le infrastrutture civili.

 

VIOLENZA SESSUALE E VIOLENZA DI GENERE LEGATE AL CONFLITTO

Sono continuati in maniera diffusa gli episodi di violenza sessuale e violenza di genere legata al conflitto, tra cui stupro, stupro di gruppo, rapimento e schiavitù sessuale; molte delle sopravvissute non hanno avuto accesso al necessario supporto medico e psicosociale. I soldati delle Forze di difesa eritree hanno tenuto prigioniere almeno 15 donne per quasi tre mesi in un accampamento militare nella regione etiope del Tigray, stuprandole ripetutamente. In Burkina Faso, presunti membri di Ansaroul Islam hanno rapito 66 donne, ragazze e neonati vicino al villaggio di Liki, nella regione del Sahel. Sono state liberate quattro giorni dopo a un posto di blocco a Tougouri. Combattenti di Boko haram hanno rapito oltre 40 donne nel distretto amministrativo locale di Mafa, nello stato di Borno, in Nigeria.

Nella Car, le Nazioni Unite hanno annunciato di avere raccolto prove di stupro che incriminavano 11 peacekeeper tanzaniani. Nella Drc, nel primo trimestre dell’anno, sono stati documentati oltre 38.000 casi di violenza sessuale nella sola provincia del Nord Kivu. In Mali, le Nazioni Unite hanno registrato durante lo stesso periodo 51 episodi di violenza sessuale legata al conflitto contro donne e ragazze. In Sudan, decine di donne e ragazze sono state sottoposte a violenza sessuale, stupro compreso, da parte di membri delle parti belligeranti, principalmente elementi delle Rfs e delle milizie alleate. In un caso, membri delle Rsf hanno rapito 24 donne e ragazze, trattenendole per giorni in un hotel di Nyala in condizioni equivalenti a schiavitù sessuale.

Le parti coinvolte nei conflitti armati dovrebbero impartire ordini chiari ai membri delle loro truppe, proibendo qualsiasi atto di violenza sessuale e violenza di genere; e i governi dovrebbero assicurare che le vittime sopravvissute a questo tipo di violenza abbiano completo accesso all’assistenza medica e psicosociale.

 

REPRESSIONE DEL DISSENSO

Libertà di riunione pacifica

In tutta la regione, i manifestanti si sono riversati nelle strade per dare voce alle loro preoccupazioni riguardo a una miriade di problematiche, come l’alto costo della vita, una governance inadeguata e le violazioni dei diritti umani. In molti casi, le forze di sicurezza hanno disperso le proteste facendo ricorso all’uso eccessivo della forza; questi interventi hanno causato decine di morti e feriti tra manifestanti e passanti in paesi come Angola, Etiopia, Kenya, Mali, Mozambico, Senegal e Somalia. In Kenya, la polizia ha ucciso almeno 57 persone durante le proteste che hanno attraversato il paese tra marzo e luglio. In Senegal, almeno 29 persone sono state uccise quando poliziotti e uomini armati in abiti civili sono intervenuti sparando proiettili veri per disperdere le violente proteste scoppiate a giugno nella capitale Dakar e a Ziguinchor.

In altri casi, le proteste sono state vietate in anticipo, come è accaduto ad esempio in Ciad, Senegal e Sierra Leone. I divieti erano principalmente indirizzati ai raduni e alle manifestazioni convocati da associazioni della società civile o da partiti o leader d’opposizione. In Ciad, due manifestazioni organizzate da partiti d’opposizione erano tra gli eventi vietati dal ministero della Pubblica sicurezza, apparentemente perché i partiti non esistevano legalmente e non soddisfacevano le condizioni per l’autorizzazione allo svolgimento di una manifestazione. In Guinea, un divieto generico, imposto su tutti i raduni politici proclamato a partire da maggio 2022, è rimasto in vigore sebbene diversi raduni organizzati per sostenere il capo dello stato fossero stati autorizzati a procedere.

Libertà d’espressione

Le minacce al diritto alla libertà d’espressione sono continuate. Esporsi apertamente contro le politiche, le azioni o le inazioni del governo, o condividere pubblicamente informazioni ritenute dannose all’immagine del governo comportava il rischio di arresto, detenzione arbitraria o morte. Thulani Maseko, un difensore dei diritti umani in Eswatini, è stato assassinato nella sua abitazione. Il corpo mutilato del giornalista Martinez Zogo è stato trovato cinque giorni dopo il suo rapimento nei sobborghi di Yaoundé, in Camerun. Stava lavorando a un’inchiesta giornalistica sulla presunta corruzione di persone vicine al governo. John Williams Ntwali, un giornalista investigativo che si era occupato di tematiche riguardanti i diritti umani, è morto in circostanze sospette in Ruanda, il giorno dopo che aveva raccontato a un altro giornalista di temere per la sua sicurezza.

In Sud Sudan, sette giornalisti sono stati arbitrariamente detenuti presso la struttura di detenzione gestita dal servizio di sicurezza nazionale nella capitale Juba, in relazione a un video circolato sui social media, che mostrava il presidente che si urinava addosso. Sono rimasti trattenuti per periodi anche di 10 settimane e rilasciati senza accusa; uno di loro sarebbe stato torturato e altrimenti maltrattato.

In Somalia, un tribunale ha condannato Abdalle Ahmed Mumin, giornalista e segretario generale del sindacato dei giornalisti somali, a due mesi di reclusione per “avere disobbedito agli ordini del governo”. Avendo già scontato più di due mesi in detenzione cautelare, è stato rilasciato ma riarrestato poco più di una settimana dopo e detenuto per un altro mese. In Tanzania, almeno 12 persone sono state arrestate tra giugno e dicembre, per avere criticato l’accordo portuale stipulato tra Tanzania ed Emirati Arabi Uniti, e rilasciate incondizionatamente pochi giorni dopo.

La vessazione giudiziaria di chi esprimeva critiche era la prassi. In Burundi, la giornalista Floriane Irangabiye è stata condannata a 10 anni di carcere per “attentato all’integrità del territorio nazionale”. Il verdetto di colpevolezza, basato sui commenti che aveva espresso durante un programma radiofonico, è stato confermato in appello. In Benin, Virgile Ahouansè, direttore del notiziario di un’emittente radiofonica, ha ricevuto una condanna a 12 mesi di carcere con sospensione della pena per “diffusione di informazioni false”. Nel 2022, aveva mandato in onda un’inchiesta contenente le dichiarazioni di testimoni che accusavano la polizia di una serie di esecuzioni extragiudiziali. In Niger, Samira Ibrahim è stata condannata per “avere prodotto […] dati che potrebbero turbare l’ordine pubblico”, dopo avere sostenuto in un post pubblicato su Facebook che l’Algeria non riconosceva il regime militare del Niger.

Diversi giornalisti, difensori dei diritti umani e attivisti, in paesi come Car, Ciad, Mali, Tanzania e Togo, sono stati costretti all’esilio. In Togo, Ferdinand Ayité e Isidore Kowonou, del quotidiano L’Alternative, sono stati condannati a tre anni di carcere e a una pesante ammenda per avere pubblicato un articolo che accusava due membri del governo di corruzione. Hanno abbandonato il paese per evitare di scontare la pena. Nella Car, un giornalista che aveva scritto della presunta corruzione all’interno dell’assemblea nazionale è fuggito dal paese, in seguito alle minacce ricevute da una fonte non identificata. In Mali, la difensora dei diritti umani Aminata Dicko è stata costretta all’esilio dopo avere denunciato gli abusi compiuti dalle forze armate in un briefing presentato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in seguito al quale era stata convocata dalla gendarmeria per interrogarla in relazione ad accuse di alto tradimento e diffamazione.

In Benin, Burkina Faso, Ciad, Togo e in altre parti, le autorità hanno sospeso gruppi editoriali, testate giornalistiche o siti web per vari periodi. Messe di fronte a rivolte sociali o politiche, le autorità di Etiopia, Guinea, Mauritania e Senegal hanno reagito sospendendo o bloccando l’accesso a Internet. La commissione nazionale per le trasmissioni della Nigeria ha sanzionato 25 emittenti in relazione alla loro copertura delle elezioni generali del 2023, per presunte infrazioni del codice sulle trasmissioni. Altre autorità si sono spinte oltre, come in Benin, dove l’agenzia di stampa Gazette du Presse è stata sospesa a tempo indefinito. In Burkina Faso, due corrispondenti esteri sono stati espulsi dal paese e in Niger, il quotidiano L’Évènement è stato chiuso per presunto mancato pagamento delle imposte.

Libertà d’associazione

Il diritto alla libertà d’espressione è stato sempre più minacciato attraverso gravi e indebite restrizioni. I partiti d’opposizione sono finiti nel mirino di questa strategia e la possibilità di organizzarsi e svolgere liberamente le loro attività è stata soffocata. In Burundi, le autorità hanno sospeso quasi tutte le attività del principale partito d’opposizione, il Congresso nazionale per la libertà. In seguito al colpo di stato in Niger di luglio, i militari hanno sospeso a tempo indeterminato tutte le attività dei partiti politici. In Uganda, i comizi politici e le altre attività del partito Piattaforma per l’unità nazionale sono stati sospesi. Con una nota positiva, il presidente della Tanzania ha revocato un divieto in vigore dal 2016 sui partiti politici riguardante la loro organizzazione di raduni e altre attività politiche.

Le autorità hanno continuato a strumentalizzare le leggi in vigore per limitare l’esercizio dei diritti umani, compreso il diritto alla libertà d’associazione. Il parlamento dell’Angola ha approvato il disegno di legge sulle Ong, che secondo le associazioni avrebbe potuto limitare il diritto alla libertà d’associazione e conferire all’esecutivo poteri eccessivi di interferire con le loro attività.

Arresti e detenzioni arbitrari, e tortura e altro maltrattamento

Arresti e detenzioni arbitrari sono rimasti prassi diffuse. Le forze di sicurezza hanno fatto ricorso in molti casi ad arresti di massa e detenzioni per disperdere le proteste o per applicare le disposizioni sullo stato d’emergenza. Ad agosto, il governo etiope ha imposto uno stato d’emergenza di sei mesi su tutto il territorio nazionale, in seguito agli scontri armati che avevano avuto luogo nella regione di Amhara, tra l’esercito e le milizie Fano. Il provvedimento è stato usato come pretesto per la detenzione di centinaia di persone alle quali è stato negato l’accesso a un avvocato e all’autorità giudiziaria. In Senegal, oltre un migliaio di persone sono state arrestate e detenute per avere partecipato alle proteste, o per i loro presunti legami con il partito d’opposizione, il Pastef.

In altri paesi, tra cui Botswana, Burundi, Niger e Zimbabwe, figure politiche di alto profilo sono state arrestate o arbitrariamente detenute. In Botswana, diversi dirigenti del partito d’opposizione Fronte patriottico del Botswana, e due giornalisti, sono stati arrestati e detenuti senza accusa per periodi fino a due giorni. In seguito al colpo di stato in Niger, il presidente Bazoum e la sua famiglia sono stati detenuti nel complesso presidenziale. Diversi altri ex funzionari del governo e del partito al potere sono stati detenuti senza accusa. In Zimbabwe, Jacob Ngarivhume, leader del partito d’opposizione Transform Zimbabwe è stato assolto in appello otto mesi dopo essere stato condannato a 48 mesi di reclusione (di cui 12 sospesi). Era stato arrestato a luglio 2020 per avere guidato e organizzato proteste antigovernative.

Arresti e detenzioni arbitrari sono stati riportati anche nella Drc, in Guinea Equatoriale, Mali e in altri stati.

Tortura e altro maltrattamento durante lo stato di detenzione hanno continuato a essere motivo di grave preoccupazione. Morti sospette in custodia di polizia sono state segnalate in diversi paesi, tra cui Guinea Equatoriale, Lesotho, Mauritania e Nigeria. In Mauritania, il difensore dei diritti umani Souvi Ould Jibril Ould Cheine è morto dopo essere stato sottoposto a interrogatorio in un commissariato di polizia. Un’autopsia ufficiale ha concluso che la morte era stata causata da strangolamento, contrariamente a quanto sostenuto dalle autorità, secondo le quali il suo decesso era da attribuire a un attacco cardiaco. Il procuratore generale ha ordinato l’arresto del commissario di polizia e degli agenti coinvolti. In Nigeria, Faiz Abdullah è deceduto in custodia di polizia nello stato di Kaduna, dopo essere stato torturato durante l’interrogatorio. Uno studente di 17 anni è morto in ospedale in seguito alla tortura subita durante l’interrogatorio della polizia nello stato di Adamawa.

Esecuzioni extragiudiziali e sparizioni forzate

In diversi paesi, le autorità hanno continuato ad avvalersi di esecuzioni extragiudiziali, altre uccisioni illegali e sparizioni forzate come strumenti di repressione. In Burkina Faso, esponenti politici sono stati rapiti o arrestati e sottoposti a sparizione forzata, compreso il presidente nazionale di un’organizzazione che rappresenta gli interessi delle comunità pastorizie. In Burundi, sono stati segnalati nuovi casi di sparizioni forzate, soprattutto di oppositori politici; il servizio nazionale di intelligence e membri dell’ala giovanile del partito al potere, Imbonerakure, sono stati indicati come i principali perpetratori. In Eritrea, la sorte e localizzazione di 11 membri del gruppo dei G-15, un gruppo di 15 politici di spicco che si erano schierati apertamente contro il presidente nel 2001, rimanevano ignote così come quelle di 16 giornalisti accusati di essere legati al G-15.
I governi devono porre fine alla vessazione e intimidazione di giornalisti, difensori dei diritti umani, attivisti, oltre che dei membri e leader dell’opposizione; rilasciare immediatamente e incondizionatamente chiunque sia arbitrariamente detenuto; e garantire che la libertà dei media sia rispettata, permettendo tra l’altro ai mezzi di informazione di operare in maniera indipendente.

 

DIRITTI ECONOMICI E SOCIALI

Diritto al cibo

Molti paesi africani hanno registrato livelli d’inflazione dei generi alimentari tra i più alti a livello mondiale. Il numero delle persone in una condizione di insicurezza alimentare ha raggiunto livelli sconcertanti. Il World Food Programme ha calcolato che, a febbraio, il 78 per cento della popolazione della Sierra Leone versava in una situazione di insicurezza alimentare e che il 20 per cento dei nuclei familiari viveva in una condizione di grave insicurezza alimentare. A dicembre, l’Ocha ha dichiarato che in Sud Sudan 5,83 milioni di persone (pari al 46 per cento della popolazione totale del paese) stava affrontando elevati livelli di insicurezza alimentare. In Namibia, l’insicurezza alimentare è bruscamente aumentata, fino a colpire il 22 per cento della popolazione.

Il cambiamento climatico e gli eventi metereologici estremi hanno inasprito la crisi alimentare. In Madagascar, l’insicurezza alimentare è aumentata dopo che a gennaio e febbraio due cicloni si erano abbattuti sul paese, distruggendo colture da reddito e impedendo la fornitura degli aiuti umanitari verso le aree colpite. In Somalia, circa cinque milioni di persone stavano affrontando gli effetti di una crisi alimentare, dopo che una grave siccità aveva devastato il settore agricolo, che produce il 90 per cento di tutte le esportazioni del paese.

I conflitti armati hanno aggravato la situazione. In Burkina Faso, i gruppi armati hanno posto sotto assedio almeno 46 tra città e centri urbani, tagliando ogni tipo di accesso alle forniture di beni essenziali, impedendo ai residenti di accedere ai loro terreni coltivati e sabotando le infrastrutture idrauliche. Le agenzie di aiuti internazionali hanno sospeso per sei mesi la fornitura degli aiuti alimentari destinati alla regione etiope del Tigray, dopo che erano emerse prove che le forniture venivano dirottate, verosimilmente ad opera delle agenzie governative e dell’esercito. La sospensione ha avuto gravi ripercussioni su oltre quattro milioni di persone, che già versavano in una condizione di insicurezza alimentare, e centinaia sarebbero di conseguenza decedute per fame.

I governi hanno adottato una serie di misure per combattere l’inflazione e assicurare uno stabile approvvigionamento alimentare al mercato interno. Queste comprendevano l’adozione da parte della Sierra Leone di un programma per incrementare la produttività agricola e l’autosufficienza alimentare, oltre alla sospensione da parte della Costa d’Avorio delle esportazioni di riso e zucchero. Intanto, la risposta internazionale si dimostrava insufficiente. I fondi internazionali destinati alla sicurezza alimentare in Ciad ammontavano a settembre a 96,9 milioni di dollari Usa, una cifra inferiore di 128,1 milioni di dollari a quella necessaria. In Sud Sudan, l’esaurimento dei fondi per il progetto umanitario delle Nazioni Unite ha determinato una situazione che ha richiesto l’immediata distribuzione di aiuti alimentari di emergenza per le persone che affrontavano condizioni di insicurezza alimentare drammatiche.

Diritto all’istruzione

Il diritto all’istruzione è stato negato o fortemente limitato nei paesi colpiti da situazioni di conflitto e in particolare in Burkina Faso, Camerun, Ciad, Drc e Niger. In Burkina Faso, fino a ottobre erano state chiuse almeno 6.549 scuole e sono state appena 539 quelle in grado di riaprire durante l’anno, con conseguenze per oltre un milione di bambini. In Camerun, nelle regioni del Nord-ovest e del Sud-ovest, nel periodo compreso tra gennaio e luglio sono stati riportati almeno 13 episodi violenti contro istituti scolastici, comprendenti il rapimento di bambini e insegnanti, e almeno 2.245 scuole sono state chiuse. Nella Drc, l’istruzione di circa 750.000 bambini è stata interrotta in due delle province più colpite dal conflitto, nell’est del paese. Migliaia di scuole sono state attaccate, costrette alla chiusura a causa dell’insicurezza o utilizzate come rifugi per le persone sfollate.

Con una nota positiva, il programma per l’istruzione gratuita dello Zambia, destinato ai bambini della scuola primaria, ha preso il via a gennaio e ha richiesto l’assunzione di ulteriori 4.500 insegnanti. In Tanzania, si è assistito a un generale incremento delle percentuali d’iscrizione a scuola e di alfabetizzazione, oltre a una riduzione degli ostacoli che impedivano l’accesso delle bambine a scuola. Tuttavia, nonostante la revoca a febbraio 2022 del divieto che impediva alle ragazze in gravidanza e alle madri adolescenti di frequentare la scuola nelle classi regolari, le percentuali di prosecuzione degli studi rimanevano ancora basse.

Diritto alla salute

L’accesso all’assistenza sanitaria è rimasto complicato in molti paesi. Il servizio sanitario del Ghana ha rivelato a febbraio che nella municipalità di Bawku, tra il 2021 e il 2022, 27 donne in gravidanza erano decedute a causa della loro impossibilità di ottenere l’assistenza medica necessaria. In Sudafrica, a marzo, un’azione di sciopero relativa a vertenze salariali ha ostacolato l’accesso ai servizi sanitari e contribuito al decesso di quattro persone, secondo il ministro della Salute. Contemporaneamente, casi di Shigella, colera, tifo e altre malattie infettive venivano riportati in Congo, Sud Sudan e in altri luoghi.

Sgomberi forzati

I governi hanno continuato a eseguire sgomberi forzati in nome di progetti di sviluppo. In Benin, migliaia di persone che erano state sgomberate con la forza in relazione alla realizzazione di progetti turistici lungo la costa, tra le città di Cotonou e Ouidah, hanno protestato per la mancanza di adeguate forme di compensazione. Nella provincia di Lualaba, nella Drc, l’espansione di attività minerarie su scala industriale per l’estrazione del cobalto e del rame, sotto la spinta della crescente domanda globale di minerali fondamentali per la transizione energetica, ha alimentato gli sgomberi forzati di migliaia di persone dalle loro abitazioni e terre coltivate.

Nel distretto di Hoima, in Uganda, le forze di sicurezza hanno usato la violenza per sgomberare con la forza quasi 500 famiglie dai loro terreni, per permettere la costruzione dell’oleodotto dell’Africa orientale (East African Crude Oil Pipeline). In Tanzania, almeno 67 nativi masai sono stati arrestati, principalmente nel villaggio di Endulen, per essersi rifiutati di lasciare le loro terre ancestrali in base agli attuali piani di rilocazione forzata per la creazione di una riserva naturale all’interno dell’area protetta di Ngorongoro.

I governi devono adottare misure immediate per affrontare le difficoltà economiche, rendendo disponibili risorse in grado di garantire alle loro popolazioni l’esercizio dei diritti economici e sociali, in linea con i loro obblighi minimi fondamentali.

 

DIRITTI DELLE PERSONE RIFUGIATE, MIGRANTI E SFOLLATE INTERNAMENTE

Secondo le stime, la Drc contava quasi sette milioni di persone sfollate internamente, il numero più alto in Africa. Il paese ospitava 500.000 rifugiati in fuga dal conflitto armato e dalla persecuzione in altri paesi africani. Tra gennaio e agosto, circa 45.000 persone sono fuggite dalla Drc riversandosi nei paesi vicini, come l’Uganda che ospitava oltre 1,6 milioni di rifugiati, la più grande popolazione di rifugiati dell’intero continente africano.

Oltre 5,8 milioni di persone erano sfollate internamente da aprile in Sudan, diventato nel 2023 lo scenario della più grande crisi di sfollati del mondo. Di queste, più di 4,5 milioni erano state sfollate tra aprile, quando era iniziato il conflitto, e ottobre, mentre circa 1,4 milioni di sudanesi e altri sfollati di nazionalità diverse erano fuggiti nei paesi vicini. Tuttavia, alcuni paesi hanno negato l’ingresso ai richiedenti asilo sudanesi; le autorità egiziane, ad esempio, richiedevano a tutti i cittadini sudanesi l’obbligo di ottenere un visto d’ingresso rilasciato dall’ufficio consolare egiziano in Sudan e hanno imposto un requisito addizionale per entrare nel paese, consistente in un certificato di nulla osta di sicurezza per tutti i ragazzi e gli uomini di età compresa tra i 16 e i 50 anni.

In Niger, circa 9.000 rifugiati e migranti che erano stati espulsi dalle autorità algerine hanno raggiunto il piccolo villaggio di confine di Assamaka, tra gennaio e aprile. In Malawi, la polizia ha arrestato centinaia di rifugiati prelevandoli nelle loro abitazioni e attività commerciali nella capitale e li ha spostati nel campo per rifugiati di Dzaleka.

I governi devono onorare i loro obblighi di fornire protezione alle persone rifugiate, richiedenti asilo e migranti, rispettando tra l’altro il loro diritto di chiedere asilo e al non refoulement.

 

DISCRIMINAZIONE

Diritti di donne e ragazze

Gli effetti devastanti delle mutilazioni genitali femminili sono emersi in maniera particolarmente drammatica quando una bambina di appena due anni è morta dopo essere stata sottoposta a tale pratica in Sierra Leone. Nella regione continuavano a essere inoltre praticati i matrimoni infantili, precoci e forzati. Quasi il 29 per cento delle donne di età compresa tra 20 e 24 anni in Zambia erano sposate prima dei 18 anni. Il caso della sedicenne Nazira, che si era suicidata per sfuggire a un matrimonio combinato, ha messo in luce i danni causati dai matrimoni precoci in Niger.

Tuttavia, non sono mancati diversi positivi sviluppi. La Drc ha emanato una legge che criminalizzava le forme di intimidazione e stigmatizzazione legate al genere. In Sierra Leone, una nuova legislazione riservava alle donne il 30 per cento di tutte le posizioni pubbliche. In Sudafrica, un disegno di legge che si proponeva di istituire un organismo incaricato di vigilare sull’implementazione di un piano strategico nazionale sulla violenza di genere è stato diffuso per essere commentato pubblicamente.

Diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate

Alcuni paesi hanno adottato provvedimenti legislativi antigay. In Uganda, una nuova legge che prevedeva la pena di morte per il reato di “omosessualità aggravata” è stata seguita da notizie di crescenti episodi di violenza contro persone Lgbti. In Kenya, un parlamentare ha presentato una proposta di legge che avrebbe potuto criminalizzare ulteriormente le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso. In Ghana, il parlamento ha approvato un disegno di legge antigay. In Eswatini, il governo ha ignorato una sentenza della Corte suprema, rifiutandosi di registrare legalmente un’organizzazione per i diritti Lgbti.

L’arresto e la detenzione delle persone Lgbti è rimasto un fenomeno diffuso nella regione. In Burundi, 24 persone sono state arrestate a febbraio a Gitega, durante un seminario sull’inclusione economica. Sono state perseguite penalmente assieme ad altre due associate successivamente al caso per accuse di “omosessualità” e “incitamento alla depravazione”. Sette sono state giudicate colpevoli ad agosto e nove sono state assolte ma non rilasciate immediatamente; uno dei detenuti è deceduto in custodia. In Nigeria, 69 uomini sono stati perseguiti penalmente per avere organizzato un matrimonio gay nello stato del Delta, mentre un altro gruppo di 59 uomini e 17 donne è stato arrestato nello stato di Gomba con l’accusa di avere partecipato a una festa di compleanno “gay”.

La retorica antigay si è inasprita in Botswana, Camerun, Etiopia, Kenya, Malawi e Tanzania. In Botswana e Malawi, centinaia di dimostranti, sostenuti da gruppi religiosi e funzionari governativi, hanno manifestato contro la depenalizzazione delle relazioni sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso. In Camerun, le autorità hanno minacciato di sospendere i mezzi di informazione nel caso in cui avessero mandato in onda “programmi volti a promuovere pratiche omosessuali”. In Etiopia, contro le persone Lgbti è stata lanciata una campagna sia online che offline promossa da influencer attivi sui social media, leader religiosi e artisti popolari nel paese. In Tanzania, il ministro dell’Istruzione ha messo al bando i libri contenenti tematiche Lgbti dalle scuole pubbliche e private.

Con una nota positiva, una sentenza della Corte suprema ha riconosciuto il diritto dei coniugi di cittadini namibiani di regolarizzare il loro status d’immigrazione in base a matrimoni omosessuali contratti al di fuori del paese; e la Corte suprema del Kenya ha affermato il diritto alla libertà d’associazione per le persone Lgbti.

Persone con albinismo

In Malawi, i crimini contro le persone con albinismo hanno subìto durante l’anno un aumento e hanno compreso tentati rapimenti, aggressioni fisiche e profanazione di tombe. In Angola, è stato adottato il piano nazionale d’azione per la protezione e la promozione dei diritti umani delle persone con albinismo.

I governi devono combattere urgentemente tutte le forme di discriminazione e violenza di genere contro donne e ragazze, affrontando tra l’altro le cause alla radice di tali fenomeni e intensificando gli sforzi per eliminare pratiche dannose. I governi devono tutelare in maniera più incisiva i diritti delle persone Lgbti, sia intervenendo sul piano legislativo sia indagando in maniera efficace le segnalazioni di abusi e assicurando i perpetratori alla giustizia.
 

DIRITTO A UN AMBIENTE SALUBRE

Diversi paesi sono stati colpiti da eventi atmosferici estremi, la cui intensità e frequenza potrebbero essere riconducibili al cambiamento climatico. Tuttavia, i governi si sono dimostrati malpreparati a rispondere all’esordio lento o rapido degli eventi climatici che hanno colpito varie parti della regione. Tra febbraio e marzo, il ciclone Freddy si è abbattuto sul Malawi e il Mozambico, uccidendo rispettivamente 679 e 453 persone. In diversi altri paesi, tra cui la Drc e il Ruanda, sono state le alluvioni a mietere molte vittime. A settembre, si è tenuto a Nairobi, in Kenya, il primo summit africano sul clima che è riuscito a definire una posizione africana unita in preparazione delle trattative dell’imminente Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Cop28).

I governi devono elaborare risposte immediate in grado di proteggere la popolazione contro il rischio e gli effetti della crisi climatica e rafforzare la capacità di reazione agli eventi atmosferici estremi, anche attraverso la richiesta di aiuti internazionali e strumenti di finanza climatica forniti dai paesi sviluppati che li rendano in grado di adottare politiche efficaci in materia di mitigazione a adattamento ai cambiamenti climatici, e di risarcire le perdite e i danni subiti dalle fasce della popolazione più marginalizzate.
 

DIRITTO A VERITÀ, GIUSTIZIA E RIPARAZIONE

In seguito alla cinica campagna ingaggiata dal governo etiope finalizzata a ostacolare la giustizia e le iniziative per l’accertamento delle responsabilità, la Commissione africana sui diritti umani e dei popoli ha prematuramente terminato il mandato della propria Commissione d’inchiesta sulla situazione nella regione del Tigray, senza avere mai pubblicato un rapporto sui risultati della sua ricerca. Il governo ha inoltre fortemente osteggiato la Commissione internazionale delle Nazioni Unite degli esperti sui diritti umani in Etiopia (UN International Commission of Human Rights Experts on Ethiopia – Ichree), determinando l’incapacità degli stati membri del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite di mettere sul tavolo una risoluzione per rinnovare il mandato dell’Ichree. Contemporaneamente, la delegazione del Burundi è uscita dall’aula durante la sessione dell’esame periodico davanti al Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite, opponendosi alla presenza di un difensore dei diritti umani giudicato colpevole in contumacia di accuse false riguardanti la sua partecipazione al tentato colpo di stato del 2015, mentre la Tanzania ha impedito a una delegazione dell’Unesco in missione di ricerca di visitare l’area di Ngorongoro, per indagare sulle segnalazioni di sgomberi forzati violenti contro il popolo nativo masai.

Diversi paesi hanno introdotto o preso in considerazione l’adozione di procedure di verità e riconciliazione, benché a scapito del perseguimento della giustizia e dell’accertamento delle responsabilità per le vittime di crimini di diritto internazionale e altre gravi violazioni dei diritti umani e abusi. Il governo della Drc ha adottato il progetto di politica nazionale di giustizia transizionale e quello dell’Etiopia ha avviato consultazioni per l’adozione di una politica analoga.

In Sud Sudan, il consiglio dei ministri ha approvato due bozze legislative per la creazione della commissione di verità, riconciliazione e risanamento e dell’autorità per la compensazione e riparazione, che tuttavia attendevano ancora di essere dibattute in parlamento. Tuttavia, ha continuato a bloccare la creazione di un tribunale ibrido per il Sud Sudan. Le autorità del Gambia hanno concordato l’istituzione di un tribunale ibrido per perseguire i sospetti perpetratori di gravi violazioni dei diritti umani durante la presidenza di Yahya Jammeh.

Diversi sospetti perpetratori di crimini di diritto internazionale sono stati arrestati. Il tribunale penale speciale della Car ha annunciato l’arresto di quattro uomini accusati di crimini di guerra e/o crimini contro l’umanità. Sono state avviate inoltre le procedure per portare davanti alla giustizia due sospetti perpetratori di genocidio: Fulgence Kayishema è stato riarrestato in base a un nuovo mandato di arresto che avrebbe permesso la sua estradizione al meccanismo internazionale residuale per i tribunali penali in Tanzania, mentre Théoneste Niyongira è stato estradato dal Malawi in Ruanda.

I governi devono intensificare gli sforzi per combattere l’impunità avviando indagini tempestive, approfondite, indipendenti, imparziali, efficaci e trasparenti sui crimini di diritto internazionale e altre gravi violazioni dei diritti umani e abusi, assicurando alla giustizia i sospetti perpetratori e garantendo alle vittime l’accesso a un rimedio efficace.

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