Repressione dopo le proteste in Iran: il report

2 Settembre 2020

Tempo di lettura stimato: 11'

Le forze di polizia, le forze di sicurezza, i servizi segreti e le direzioni delle carceri dell’Iran hanno commesso, con la complicità di giudici e procuratori, una scioccante lista di violazioni dei diritti umani nei confronti dei manifestanti arrestati durante le proteste del novembre 2019.

Lo denunciamo in un nuovo lavoro di ricerca che contiene le orrende testimonianze di decine delle 7000 persone arrestate perché stavano prendendo parte alle manifestazioni o si stavano semplicemente limitando a osservarle, le quali sono state vittime di sparizione forzata o di detenzione in isolamento e che durante gli interrogatori svolti senza avvocato sono state ripetutamente torturate per estorcere “confessioni”.

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Il rapporto si basa su approfondite interviste a 60 tra vittime di arresti arbitrari, sparizioni forzate e torture, loro parenti o persone in rapporti stretti con loro; due manifestanti che sono entrati in clandestinità; altre 14 persone informate dei fatti. I nostri ricercatori hanno anche analizzato testimonianze scritte da centinaia di persone all’interno dell’Iran e ha analizzato immagini filmate, dichiarazioni ufficiali e atti giudiziari.

Le testimonianze sono state rese da difensori dei diritti umani, attivisti per i diritti delle minoranze, comuni cittadini tra cui minori di 10 anni, persone prelevate dagli ospedali dove erano state ricoverate, giornalisti e persone che prendevano parte alle commemorazioni funebri dei manifestanti uccisi.

Dallo scorso novembre, centinaia di persone sono state condannate a periodi di carcere e alle frustate e alcune di loro anche alla pena capitale, al termine di processi gravemente irregolari svolti a porte chiuse, durati spesso meno di un’ora e di fronte a giudici di parte che si sono sistematicamente basati su “confessioni” estorte con la tortura.

Nei giorni delle proteste di massa, il mondo fu scioccato dalle immagini delle forze di sicurezza iraniane che uccidevano o ferivano intenzionalmente manifestanti inoffensivi. Ma quello che è accaduto dopo, lontano dagli occhi dell’opinione pubblica, è un catalogo di crudeltà“, ha dichiarato in una nota ufficiale Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

Invece di indagare sulle denunce di sparizioni forzate, maltrattamenti e torture e altri crimini commessi contro i detenuti, i procuratori iraniani si sono resi complici della campagna repressiva, formulando accuse di reati contro la sicurezza nazionale ai danni di centinaia di persone che avevano unicamente esercitato i loro diritti alla libertà di espressione, associazione e manifestazione pacifica. I giudici, dal canto loro, hanno distribuito verdetti di colpevolezza basandosi su ‘confessioni’ estorte con la tortura e spesso mandate in onda in televisione, accompagnate da grottesche dichiarazioni di alti rappresentanti dello stato che elogiavano i servizi segreti e le forze di sicurezza“, ha aggiunto Eltahawy.

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Amnesty International ha raccolto i nomi e i dettagli relativi a oltre 500 manifestanti, giornalisti e difensori dei diritti umani sottoposti a processi irregolari dopo le proteste del novembre 2019.

Le condanne inflitte variano da un mese a 10 anni di carcere per vaghi o pretestuosi reati contro la sicurezza nazionale, come “riunione e collusione per compiere reati contro la sicurezza nazionale“, “diffusione di propaganda contro il sistema“, “disturbo all’ordine pubblico” e “offesa alla Guida suprema“.

Almeno tre imputati, Amirhossein Moradi, Mohammad Rajabi e Saeed Tamjidi, sono stati condannati a morte per aver commesso il reato di “moharebeh” (atti ostili contro Dio) mediante atti di vandalismo. Un quarto imputato, Hossein Reyhani, è in attesa del processo per un reato per cui è prevista la pena di morte.

In oltre una decina di casi, alle condanne alla pena detentiva è stata aggiunta quella delle frustate, eseguita in almeno due casi.

Sollecitiamo gli stati membri del Consiglio Onu dei diritti umani e l’ufficio dell’Alta commissaria Onu per i diritti umani a occuparsi della prolungata e sistematica impunità che circonda le gravi violazioni dei diritti umani in Iran, anche attraverso l’avvio di un’inchiesta a guida Onu che accerti le responsabilità e garantisca la non ripetizione di tali violazioni.

Inoltre chiediamo a tutti gli stati membri delle Nazioni Unite a chiedere alle autorità iraniane di rilasciare immediatamente e senza condizioni tutte le persone attualmente in carcere solo per aver esercitato i loro diritti alla libertà di espressione, di associazione e di manifestazione pacifica in relazione alle proteste del novembre 2019; di annullare tutte le condanne emesse al termine di processi irregolari, tra cui quelli basatisi su “confessioni” estorte con la tortura; e di assicurare alla giustizia i responsabili delle violazioni dei diritti umani.

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Torture diffuse in Iran

Dalle nostre ricerche è emerso che la tortura è stata usata massicciamente ai danni di uomini, donne e anche bambini dalle forze di polizia, dalle forze di sicurezza, dai servizi segreti e dal personale delle carceri sia durante l’arresto che in seguito nel corso della detenzione.

I procuratori e i giudici sono venuti meno ai loro obblighi di legge di condurre indagini indipendenti e imparziali all’interno dei centri di detenzione, tra cui quelli diretti dalle forze di sicurezza e dai servizi segreti, e di assicurare che i divieti di detenzione segreta e di tortura fossero rispettati.

La tortura è stata usata per punire, terrorizzare e umiliare i detenuti e per ottenere le loro “confessioni” e dichiarazioni incriminanti non solo circa la partecipazione alle proteste ma anche riguardo alla presunta associazione con gruppi di opposizione, difensori dei diritti umani, organi di stampa stranieri e governi stranieri.

Le vittime sono state bendate o incappucciate; prese a pugni e calci e frustate; picchiate con manganelli, tubi di gomma, coltelli, bastoni e cavi elettrici; sospese o costrette a rimanere in posizioni dolorose per lunghi periodi di tempo; private di cibo e acqua potabile a sufficienza: poste in isolamento a volte per settimane o persino per mesi; e private delle cure mediche necessarie a curare le ferite riportate durante le proteste o a seguito delle torture.

Diversi prigionieri sono stati anche costretti a rimanere nudi e poi colpiti con getti d’acqua fredda; sottoposti a temperature estreme e/o a luci e suoni intensi; colpiti al volto con lo spray al peperoncino o esposti ad altre sostanze chimiche; sottoposti al waterboarding (semi-annegamento) e a finte esecuzioni. Ad alcuni detenuti sono state strappate le unghie delle mani e dei piedi.

Gli addetti agli interrogatori e il personale delle prigioni hanno commesso violenze sessuali contro detenuti di sesso maschile, li hanno sottoposti a offese di natura sessuale, hanno applicato la corrente elettrica ai testicoli e hanno spruzzato lo spray al peperoncino sulla zona genitale.

Questa è la testimonianza di un ex detenuto della provincia del Khorasan Razavi, sottoposto alla tortura del waterboarding:

“[Le persone che mi stavano interrogando] hanno inzuppato d’acqua un asciugamano e mi hanno coperto il volto. Poi hanno iniziato a far scorrere lentamente l’acqua sull’asciugamano, mi sentivo soffocare. Hanno smesso per un po’. Appena mi sono sentito meglio, hanno ricominciato. Mi hanno anche preso a calci e a pugni e frustato con un cavo sulle piante dei piedi“.

Questa è invece la testimonianza di un uomo sottoposto alle scosse elettriche:

Sono la peggiore forma di tortura. Senti come se il tuo intero corpo fosse bucato da milioni di aghi. Se rifiutavo di rispondere alle loro domande, aumentavano il voltaggio e le scosse erano più forti. Tremavo violentemente e avevo la sensazione che tutto il mio corpo stesse andando a fuoco. La tortura ha avuto effetti permanenti sulla mia salute fisica e mentale. Ancora oggi, non riesco a dormire di notte“.

Una vittima di tortura della provincia di Teheran ha raccontato di quando è stata appesa mani e piedi a un palo in quello che è chiamato il metodo del “pollo arrosto”.

Il dolore era pazzesco. Urinavo su me stesso. La mia famiglia sa che sono stato torturato, ma non ha mai saputo in che modo. Scoppio a piangere perché ora non so con chi parlarne“.

In tutti i casi documentati da Amnesty International, le vittime hanno subito anche varie forme di tortura psicologica per costringerle a “confessare”: offese e umiliazioni, minacce di stupro, intimidazioni e minacce di arrestare, torturare o uccidere i familiari, compresi gli anziani o le mogli e stuprare le parenti.

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Sparizioni forzate

Dalle nostre ricerche è emerso che molti degli arrestati sono stati sottoposti a sparizione forzata, per settimane o anche mesi, trattenuti in centri segreti gestiti da varie agenzie di sicurezza come il ministero dell’Intelligence o le Guardie rivoluzionarie.

Altre persone sono state trattenute in carceri o stazioni di polizia sovraffollate, accampamenti militari, centri sportivi e scuole.

Familiari in pena hanno raccontato ad Amnesty International di aver visitato ospedali, obitori, stazioni di polizia, tribunali, uffici della procura, prigioni e altri centri di detenzione per chiedere notizie dei loro cari, vedendosi sempre negare ogni informazione e minacciare l’arresto se avessero insistito o denunciato pubblicamente la scomparsa dei congiunti.

Uno dei casi documentati nel rapporto riguarda un familiare di due detenuti scomparsi dopo l’arresto.

Risultano ancora in corso tre sparizioni forzate, tra qui quelle di Mehdi Roodbarian e Mostafa Roodbarian, due fratelli di Mahshahr, nella provincia del Khuzestan.

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